Danyèl Waro – Tinn Tout (Buda, 2020)

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Danyèl Waro è stato a lungo in ascolto e ora condivide quel che ha ascoltato: «Mon île nous supplie de nous arrêter, de prendre du recul, mon île nous demande de lever le pied, de changer nos calculs» (La mia isola ci supplica di smettere, di fare un passo indietro, la mia isola ci chiede di rilassarci, di cambiare i nostri calcoli). È questo il messaggio di “Tinn Tout”, la canzone che apre e da cui prende il titolo il suo ottavo album, brani che «parlano di persone per raccontare l’emozione, la libertà, le lotte, le contraddizioni». I dieci brani navigano al ritmo delle onde delle acque che cullano l’isola La Réunion, crocevia di correnti e culture nell’Oceano indiano a est del Madagascar. Protagoniste sono le percussioni ed i canti in creolo nel solco dei ritmi e della tradizione maloya, musica africana direttamente legata agli schiavi portati a La Réunion dal Mozambico o dal Madagascar e nutrita dall’incontro con influenze indiane nel canto e nella danza, senza perdere il proprio carattere di messaggio di rivolta contro la schiavitù, di scherno nei confronti dei latifondisti, al tempo stesso festa e sguardo critico verso chi esercita il potere. Danyèl Waro raccoglie qui composizioni e arrangiamenti di brani nati nell’arco di vent’anni, in compagnia di quattro musicisti che si integrano perfettamente tra loro, offrendo un esempio unico di suono collettivo, il gruppo Bann Zwar. 
Li guida l’“onda” del kayamb, lo strumento chiave della musica maloya, il simbolo di come gli schiavi nelle piantagioni di canna da zucchero hanno saputo trasformare gli elementi quotidiani del loro lavoro nei campi – le canne, i semi, il legno – in un idiofono rettangolare, al tempo stesso centro di gravità e permanente propulsore del flusso sonoro. Nel curato libretto con foto e con i versi di tutte le canzoni, l’unico testo che manca all’appello è quello di “Je me suis fait tout petit”, che è anche l’unico brano per sola voce: un canto che reinterpreta, a distanza di oltre sessant’anni, la composizione di Georges Brassens, mettendo insieme lo spirito indomito di chi non china la testa di fronte a nessuno e la capacità di ascoltare i propri sentimenti e farsi piccolo di fronte all’amore: un momento di narrazione e riflessione, quasi a conclusione dell’album, senza l’incalzare delle percussioni eppure senza rinunciare ad infondere ritmo e dinamica. Con il nudo canto di Danyèl Waro si apre anche l’album. Gli risponde il coro di voci e lo scambio poco a poco introduce l’orchestra percussiva sospinta dal kayamb che già nel secondo brano, “Tizan” mostra tutta la sua potenza e l’invito alla danza. 
“Tizan” è una vera e propria narrazione epica (in questo caso con traduzione scritta in inglese), organizzata in una dozzina di strofe e con il ritornello che apre il brano, annunciando come Tizan porti la buona sorte, la pioggia che viene a bagnare la terra secca. Con l’eccezione di due temi intorno ai quattro minuti a metà disco, tutti i brani sono musicalmente articolati e si sviluppano in un arco dai sette ai dieci minuti, mostrando la ricca varietà di arrangiamenti e modulazioni vocali e ritmiche a disposizione di questo affiatato gruppo e la capacità di Danyèl Waro di imprimere al proprio canto registri ora intimi, ora lirici, ora incalzanti, ora celestiali. A metà disco, nella transizione verso il coro che celebra “Daniel Singaïny”, brano del 2017, si ascolta anche l’ancia narslon suonata da Dionis Tévanin Singaïny. In copertina, Danyèl Waro sta tornando a riva, portando dall’oceano un secchio d’acqua, un’immagine che può essere letta in tanti modi, ma che immediatamente richiama la profonda connessione con gli elementi naturali, con le onde e con l’abbondanza che ogni ambiente sa offrire a chi la sa vedere e apprezzare. Intercalato ad epica e poesia, il messaggio veicolato dalla maloya è esplicito: “E’ tempo di decisioni, dobbiamo svegliarci, una volta per tutte”. 



Alessio Surian

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