Nati dall’incontro tra il musicista e regista belga Thomas Andrew Barman, frontman dei dEUS, con Robin Verheyen (sassofono), Nicolas Thys (basso) e Antoine Pierre (batteria), i TaxiWars rappresentano l’evoluzione del percorso di intersezioni con il jazz intrapreso dalla band di Anversa nei primi due album “Worst Case Scenario” e “In A Bar Under The Sea”. Un legame mai reciso, anche dopo l’approdo dei dEUS in territori pop con quel gioiello di “The Ideal Crash” del 1999, e riemerso prima in “Pocket Revolution” del 2005 e, poi, nelle due compilation curate da Barman: “That’s Blue + Painters Talking” del 2006 e “Living On Impulse del 2012. A distanza di tre anni da “Fever”, la band belga torna con “Artificial Horizon”, disco che raccoglie dieci brani nuovi di zecca che, nel loro insieme, spostano più avanti i confini della loro ricerca sonora, dando vita ad una piccola grande rivoluzione copernicana che li vede abbandonare la sperimentazione del precedente, per concentrare le loro forze sulla cura melodica e l’interplay. A riguardo Barman afferma: “Volevo che i TaxiWars fossero affilati, diretti, crudi e un po’ punk. I lunghi assolo sono stati banditi”. Il gruppo belga porta la sua musica verso territori sonori nuovi in cui viene esaltato il lirismo e la profondità ritmica delle composizioni, il tutto senza dimenticare la lezione di Pharaoh Sanders, Archie Shepp e Charles Mingus. L’ascolto svela un lavoro che esce dai sentieri già battuti per immergersi in una sperimentazione mai fine a sé stessa, ma piuttosto al servizio di una creatività vibrante, come dimostra la scelta di declinare il sound attraverso un caleidoscopio di sfumature differenti. Aperto dal brillante groove di "Drop Shot” tutta giocata su dissonanze ed increspature sonore, il disco ci regala subito uno dei suoi momenti migliori con “Sharp Practice”, scelta come secondo singolo estratto, e caratterizzata da un intreccio travolgente di jazz e hip hop.
Se fascinosa e seducente è la title track in cui giganteggia il sax di Verheyen, la successiva “The Glare” ci conduce nei territori del be-bop prima di schiuderci le porte alla sontuosa ballata pianistica “Irritated Love” nella quale il sax impreziosisce una linea melodica densa di lirismo. Si prosegue con il trascinante jazz-rock “Infinity Cove” e lo swing che permea l’architettura sonora di “Safety In Numbers” per giungere a “Different Or Not” in cui Verheyen ci regala un solo di sax imperdibile e Barman sfoggia una prova vocale di grande intensità. C’è ancora tempo per le emozioni con l’atmosfera soulful di “They'll Tell You You've Changed” e la minimale “On Day Three” che chiude il disco. “Artificial Horizon” è un album da ascoltare con grande attenzione non solo per cogliere la poesia che caratterizza le liriche, ma anche la ricerca musicale alla base delle singole composizioni.
Salvatore Esposito
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