Sam Lee – Old Wow (Cooking Vinyl, 2020)

“Old Wow” è il “difficult third album” di Sam Lee, pluripremiato cantante, attivista ambientalista, ricercatore, folklorista, radio-broadcaster e operatore culturale londinese, la cui voce baritonale, unita ad una passione per la ri-scrittura e l’arrangiamento non-convenzionale, è diventata un marchio di fabbrica anche fuori dal mondo folk. Abbandonata la freschezza dei primi due dischi, sempre peraltro caratterizzati da arrangiamenti raffinati e suoni presi in prestito da culture lontane (come la kora nel secondo “The Fade in Time”), il suono di “Old Wow” è decisamente pianistico con un sound generale che spesso rimanda all’ultimo Nick Cave e con un ricorso massiccio ad archi di stampo classico. Nonostante la produzione sia affidata al chitarrista Bernard Butler (ex Suede) si fa fatica a percepire il suono di una chitarra, strumento verso il quale il nostro Sam deve nutrire una vera avversione: solo nella bella “Worthy Wood” il ruolo dello strumento, affidato al produttore, è portante. Anche la presenza, nella bellissima “The Moon Shines Bright” di Elizabeth Fraser, ex Cocteau Twins, non è casuale nel tipo di contesto sonoro che colloca questo disco più nello stesso campionato di Unthanks che in quello di Jon Boden, per intenderci. Poi la voce, piena e ricca di armonici che nel canto ha quasi un approccio da cantante soul, quasi una versione folk di Scott Walker. Proprio la voce di Lee esce trionfatrice dall’ascolto del disco, sempre protagonista e catalizzante in tutto il ricco lavoro di arrangiamento che vi soggiace. Altra chiave di lettura interessante, il disco è ispirato dal potere della Natura e dal rapporto che l’uomo ha all’interno di essa; non è un caso che la prima traccia dell’album sia “The Garden of England” (ovvero, la prima ballata raccolta dal folklorista Cecil Sharp, nota come “The Seeds of Love”) e che alberi, uccelli e elementi della natura siano lo sfondo, (e, spesso, i protagonisti) delle storie narrate, come in “Turtle Dove”, dove brilla il violino-hardanger di Caoimhin O’Ragallaigh, membro di The Gloaming. I brani, rispetto alle versioni tradizionali sono spesso riscritti nella parte musicale, vedi “Spencer the Rover”, conosciuta già nelle versioni di Robin Dransfield e John Martyn, qui irriconoscibile, o la conclusiva e orchestrale “Balfanen”, che gioca con il testo di “Will Ye Go, Lassie Go”, ballata già citata da Elizabeth Fraser in “The Moon Shines Bright”. Lo shanty “Lay this body Down”, singolo che insieme alla già citata “The Garden of England” ha anticipato l’uscita dell’album, diventa uno spiritual. Fra le tracce più belle, oltre al brano d’apertura, va menzionata anche l’incalzante “Turtle Dove”. Un gran bel disco, che per essere apprezzato va ascoltato con attenzione e che, addirittura, cresce con gli ascolti, offrendo ogni volta spunti nuovi e interessanti. 

Gianluca Dessì

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