Sono note sognanti, cullate dal pianoforte, ad aprire questo album. Poi la voce, dolce e sicura al tempo stesso, di Aynur Doğan ci racconta della luna che ora è alta nel cielo, “Rabe hîv e”, mostrando come un brano tradizionale curdo possa stare in bilico fra il suo spirito narrativo e un arrangiamento che sa dosare nuove pennellate armoniche, profondità orchestrali con l’Istanbul Strings Quartet, accenti ritmici jazz; il tutto condotto con equilibrio dalle mani del pianista tedesco Franz Von Chossy. Al centro di questo lavoro rimane saldo il canto di Aynur Doğan, capace di passare in poche battute dal sussurro all’acuto, dalla carezza alla fermezza. Ed è la sua nuda voce a emozionare più di ogni altro contributo a questo disco: si tratti di dialogare con un bordone come in “Xelîl Qurban”, di chiudere l’incalzante parte finale di “Berfek Barî & Lure Lure” o, ancora, di aprire “Hedûr” (Conforto), il secondo brano, che da il titolo all’album. Il video che presenta la canzone la ritrae con due diversi abiti a tinta unica: uno nero ed uno bianco. Da una parte le ingiustizie e le dure condizioni che in Turchia vivono proprio quei territori da cui hanno origine le musiche di Aynur Doğan, dall’altra, le opportunità offerte dal viaggio musicale e spirituale e dalla ricerca che in questo caso lo caratterizza: quella dell’equilibrio e della pace interiore che richiedono anche momenti di isolamento. È in queste condizioni che è possibile offrire consolazione alla propria esistenza e attraverso la musica trovare conforto nello scorrere del tempo: “A volte mi sento in discesa / a volte sento di risalire / La mia voce, il mio saz sono una ninna nanna / Consolati con loro / Trova conforto in loro”. Magicamente, l’abito bianco di Aynur Doğan esce dall’ombra e diventa uno specchio che riflette i germogli e i fiori più belli, la trama delle foglie, strade di luce, così come le dinamiche della sua voce aprono la via ai contributi strumentali che vedono in primo piano la batteria di Ediz Hafızoğlu e le percussioni di Memduh Akatay. Con loro ci sono Kağan Yıldız al contrabbasso, Alex Simu al clarinetto e il tembur, il cordofono curdo, suonato per la prima volta in un disco dalla stessa Aynur Doğan. Alla sua voce, nella parti vocali in coro, si uniscono Yılmaz Yesilyurt e Aysun Karadogan. “Hedûr” è il settimo album (in 18 anni), registrato e mixato fra Istanbul e Amsterdam, il primo che vede Aynur Doğan anche in veste di produttrice, arrangiatrice e compositrice.
Parte dei brani attingono direttamente al repertorio tradizionale curdo e, in particolare, alle ricerche di Huseyin Erdem. Dal suo archivio vengono le gemme melodiche “Rabe hîv e”, “Şilî Dibare” (dedicata alla pioggia) e “Xelîl Qurban”. Ma un registro folk attraversa anche le composizioni di Aynur Doğan, con arrangiamenti che a tratti rimandano al lavoro di Ara Dinkjian, come in “Ezim Ezim Eziliyor” che sembra evocare le atmosfere dei Night Ark, con l’interplay fra i musicisti interpretato in chiave jazz, soprattutto grazie al lavoro di spazzole di
Ediz Hafızoğlu, che nulla toglie allo svolgimento narrativo del brano, in questo caso cristallino e consonante.
Quasi trent’anni fa Aynur Doğan lasciava, per trasferirsi ad Istanbul, la piccola cittadina di montagna Çemişgezek, nella provincia di Dêrsim, nella parte orientale dell’Anatolia all’interno dei confini turchi. A Istanbul ebbe la possibilità di formarsi al canto e allo studio del saz nella prestigiosa accademia musicale Arif Sağ Müsik. A partire da “Seyir”, pubblicato nel 2002, ogni nuovo lavoro ha mostrato la sua capacità di indagare e cantare le tradizioni curde mettendole in dialogo con le diverse influenze che attraversano l’Anatolia e il mondo musicale contemporaneo, in un processo di apertura e di maturazione che sembra approfondire di volta in volta una sua precisa e lirica identità musicale, capace di tessere insieme pagine ed emozioni diverse, felicemente in dialogo fra loro.
Alessio Surian
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