De' Soda Sisters – Arriverà l’estate? (Materiali Sonori, 2019)

Le De’ Soda Sisters sono un trio tutto al femminile nato nel 2011 a Rosignano Solvay dall’incontro tra Veronica Bigontina (voce, nacchere, washboard, cucchiai, tammorra, tamburo a cornice, chitarra acustica), Lisa Santinelli (voce, mandolino, cigar box, glockenspiel, cembalo, tamburo a cornice, chitarra acustica) e Benedetta Pallesi (voce, chitarra acustica, kazoo, mandolino), tre musiciste e cantati accomunate dal desiderio di rileggere, attraverso sonorità moderne ed accattivanti, il grande repertorio della musica tradizionale italiana per approdare a composizioni originali. Se la scelta del loro nome è un ironico omaggio a ciò che caratterizza la loro città, ossia il bicarbonato e le spiagge bianche, dal punto di vista musicale il loro brillante approccio stilistico consente di scoprire sotto una nuova luce canti anarchici e popolari, brani della tradizione toscana, stornelli da osteria e serenate d’amore, eseguiti utilizzando prevalentemente chitarra, mandolino, cigarbox e percussioni ricavate da cucchiai, grattugie e tamburi a cornice. Nell’arco di quasi un decennio, il trio ha avuto modo di esibirsi in Italia come all’estero nonché di dare alle stampe tre dischi, tra cui il più recente “Arriverà l’estate?”, registrato a Nodica (PI) tra maggio e giugno 2019 e finanziato da una fortunata campagna di crowdfunding. Composto da undici brani, tra originali e riletture, il disco riflette il clima politico e sociale che agitava (e agita) il nostro paese, come raccontano loro stesse nelle note di copertina: «Mentre registravamo il disco col maglione di lana, e ci chiedevamo se con quella non-primavera sarebbe mai arrivata l’estate, il brutto clima non si limitava al meteo, ma, ahimè, si estendeva alla politica italiana (e non solo..), alla situazione sociale, economica e culturale del nostro Stivale, ovunque ci giravamo sentivamo odore di odio sociale, razzismo, paura. E quando alla fine è arrivata l’estate le cose non sono affatto migliorate..». È per questo motivo che il repertorio scelto abbraccia canti popolari che parlano di resistenza, lotte sociali e d’amore, mescolati a canzoni autografe ispirate a esperienze dirette del trio: «La politica, il clima, il mare inquinato, i ponti che crollano, le strade che non reggono, i porti chiusi, l’ondata di violenza, il non nutrire la memoria, l’ignoranza, l’individualismo… tutto questo ci riguarda direttamente e indirettamente». L’ascolto si apre con “Amore ribelle”, uno dei canti anarchici più noti del repertorio di Piero Gori, riletto per l’occasione dal trio in una versione dalla melodia orecchiabile, con le tre voci che s’intrecciano sulle corde arpeggiate della chitarra acustica. La medesima leggerezza pervade “La Ballata della Soda (Vai, vai...)”, trascinante brano del trio ispirato a “Buon tumore Solvay” di Francesco Bianchi e gli Equin Sterk, nella quale viene raccontato l’uso scellerato dei solventi chimici da parte della Solvay e dei danni irreparabili che ha generato. Si prosegue con il canto partigiano “Festa d’Aprile”, riletto in una gioiosa versione dall’irresistibile refrain vocale e con la swingante “Maledetta FI-PI-LI”, che ci porta sull’autostrada che collega Firenze e Livorno tra code interminabili e autoarticolati. Se il canto anarchico “Dimmi bel giovine” spicca per l’arrangiamento costruito su cigar box guitar e cucchiai, la successiva “Quei briganti neri” è un canto della Resistenza reso in forma di ballata. Uno dei vertici del disco arriva con “Ode al trattore”, dedicata a Luca V. Robustelli, brano originale dalla brillante scrittura in cui gli stilemi della canzone politica diventano la base di partenza per il racconto della scomparsa dell’agricoltura sotto i colpi dell’economia e del marketing. Oltre, incontriamo la frizzate ripresa di “Sebben che siamo donne” e la resa in forma di tarantella di “Olì Olì Olà”, già nel repertorio di Rosa Balistreri che fanno da perfetta introduzione alla riflessiva “Il tempo in cui non c'è domanda”, dove il trio descrive la situazione politica della nostra nazione, il cui destino sembra segnato dal ritorno dell’autoritarismo. La ballata settecentesca “Il singolare Maggio di Tressa” e il canto anarchico “Inno individualista” chiudono un disco che, attraverso i canti del passato, racconta il presente e la sua stringente attualità, lasciandoci, tuttavia, la speranza di una bella stagione che un giorno arriverà se «se smetteremo di cercare altrove la colpa del vento che soffia vicino a noi!». 


Salvatore Esposito

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