Roberto Fonseca – Yesun (Mack Avenue, 2019)

«Yesun rimanda all’acqua, la capacità di andare ovunque, di cambiare, da liquida a solida a corrente. Questo è quel che voglio fare con la mia musica perché la mia è una musica aperta: viene dalla musica tradizionale cubana, dal jazz, dalla musica classica, ma non ho mai cercato di etichettare o definire uno stile per la mia musica. L’importante è riuscire ad esprimere i sentimenti che provo attraverso una combinazione di ritmo, armonia e melodia. Mia nonna mi ha introdotto alla santería e quel che mi anima a condividere e mi spinge a comporre è la ricerca della nota che commuove, che fa vibrare il corpo, che dia sensazioni spirituali». Ha le idee chiare Roberto Fonseca sul suo nuovo album, il nono, prodotto dal pianista e compositore cubano insieme a Daniel Florestano. Ha fatto molta strada, letteralmente, il bambino nato nel quartiere della capitale cubana El Vedado, e cresciuto, in una famiglia molto musicale, in una piccola casa a San Miguel del Padrón. La sua perizia musicale l’ha portato ad essere parte per cinque anni di una esperienza “increíble”, quella del gruppo Buena Vista Social Club. Ha costantemente allargato i confini della propria esperienza umana e sonora, basti pensare alla collaborazione più recente con la cantante maliana Fatoumata Diawara. «Non è tanto importante il luogo, ma piuttosto la ‘chimica’ che c’è in quel luogo», raccontava in una recente intervista a “El salto”. «Mi sento fortunato perché posso fare musica nel modo in cui voglio farla. Finora ho avuto la fortuna di non aver avuto nessuno che mi abbia imposto quel che devo fare. Certo, ascolto le opinioni degli altri. Faccio musica per musicisti, ma mi interessano anche tutti quelli che non lo sono». Ad accompagnarlo nelle nuove registrazioni sono colleghi che conosce da molti anni e con cui suona nel club La Zorro y el Cuervo de La Havana: Raúl Herrera alla batteria e Yandy Martínez Rodriguez al basso. E poi ospiti di prestigio: dal conguero Adel González alle voci del quartetto femminile Gema 4 (Tal Ben Ari, Odette Tellería, Michèle Alderete e Laura Flores), del rapper Danay Suarez (“Cadenas”) e a quelle di Yipsi Li Avila e Mercedes Cortés (“Aggua”); il sax di Joe Lovano (“Vivo”), la tromba franco-libanese di Ibrahim Maalouf. «L’ho invitato a suonare in “Kachucha” perché condivida la sua cultura con la mia. Allo stesso tempo, non smetto di essere cubano, e non lo dico solo come musicista, ma perché so che è la mia cultura, quella che sto rappresentando: Cuba è un paese aperto alla condivisione con altre culture. Cuba con la sua grande diversità etnica, sonora, e con la sua grande carica emotiva, spirituale, sensibilità, forza. Sono molto spirituale, in modo interiore. Condivido la mia spiritualità, ma la mia santería resta personale. Mi hanno insegnato a ha non trasformare la mia religione e filosofia in una bandiera da opporre a chi non la pensa come me. Quello è il modo in cui si generano le guerre. C’è chi vuol vendere Cuba a un paese straniero. Ma siamo in molti, come che non la vogliamo vendere». “Aggua” torna all’orisha dell’acqua, del mare e dei bambini, Yemaya, già cantata insieme a Fatoumata Diawara. Il video introduce il “tumbao” (lo schema ritmico di base) partendo proprio dal mare per osservare Cuba, così come da La Havana il pianista osserva il mare e il mondo prima che una rumba ci porti fra i giochi dei bambini e le atmosfere oniriche cui ci aveva introdotto con “Afro Mambo”. Il brano e i suoi cambi di passo servono da manifesto per l’intero lavoro, sempre fortemente comunicativo e capace di esplorare registri anche molto distanti fra loro, dal romanticismo classico di “Por ti” ai filtri digitali di “Clave”, al rock-rap di “Cadenas” che invita a non dar le spalle a quel che ci salva, ad ascoltare quel che ci viene offerto, tema anche del brano d’apertura, “La llamada”, in cui le voci delle Gema 4 si intersecano sapientemente al piano acustico, ora percussivo, ora irresistibilmente melodico, di Fonseca. 


Alessio Surian

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