
L’esercizio del pensiero storico, attraverso l’indagine della musica d’autore e popolare. La storia non smetterà mai di insegnarci il futuro: questa la “missione” dei Radicanto, ovvero quella di dare nuova vita alla tradizione in equilibrio tra passato, presente e futuro. Il neologismo nasce dalla voglia di studiare e riproporre in chiave d’autore le “radici del canto ovvero i canti delle radici”, la nostra vocazione è attraversare il tempo grande della storia guardandola in punta di piedi, cercando prospettive e suggestioni eterogenee. Ciò che ci affascina della tradizione popolare, da cui le nostre ricerche partono, è la capacità di custodire la memoria. In particolar modo, siamo attratti dalla forma canzone. La nostra poetica però non riguarda solo la musica ma si nutre e si rivela anche nel teatro, nel cinema e nella composizione di colonne sonore per la TV. La nostra musica, quindi, diviene un “pretesto per dire”.
Come mai l’espressione “Indie di quaggiù” è diventata il titolo dell’album?
Questo nuovo lavoro discografico ci ha condotto a immaginare un autentico viaggio sonoro che potesse, attraverso l'archetipo del racconto, tenere per mano la storia, consapevoli che saremo sempre il sud di qualcuno come uno stato d’animo, una traccia di vita e nello specchio dell’altro poter riconoscere se stessi e le proprie vestigia. Alla fine del XVI secolo, i Gesuiti iniziarono il loro lavoro di “missione” in Europa. A quel tempo, come oggi, nelle contrade europee convivevano riti magici e pagani ma anche confessioni altre come quelle musulmana, ebraica, nonché la nuova cristianità: calvinismo e luteranesimo. I gesuiti, sia quelli impegnati nelle Indie vere che in quelle di quaggiù, si scrivevano per condividere le proprie esperienze, partendo dal presupposto che fosse necessario trovare un linguaggio comune con le popolazioni autoctone. Per questo l’arte, la musica in particolare, erano il vettore privilegiato per stabilire un contatto che fosse immediato ed empatico, una nuova grammatica. Nel nostro quotidiano questo messaggio diviene dirompente: la strada della cultura, della bellezza quale antidoto alla separazione, al razzismo, all’assenza di senso civico ad un nuovo oscurantismo che avanza.

Chi sono oggi i Radicanto?
Maria Giaquinto alla voce, Giuseppe De Trizio (chitarra classica, mandolino e arrangiamenti), Adolfo La Volpe (chitarra classica, elettrica, oud, chitarra portoghese e saz), Francesco De Palma (percussioni e batteria). A noi, si uniscono Raiz alla voce e Giovanni Chiapparino alla fisarmonica.
In che misura la voce di Maria Giaquinto ha modificato l’assetto sonoro della band?
Maria collabora con Radicanto dal 2008. Per quasi un decennio abbiamo lavorato con due voci insieme, con una profonda attenzione alla polifonia ed ai timbri, sia quello maschile che quello femminile. Questo non è il primo CD che incidiamo con la sola voce solista. Era già accaduto in precedenza per “Voci di frontiera”, pubblicato a nome di Maria, nel 2013, dalla III Millennio. Maria è cantante e attrice, allieva del maestro del teatro italiano, Orazio Costa, per mezzo secolo direttore dell’accademia di Arte Drammatica a Roma, con esperienze importanti nella musica antica, dovute al sodalizio con Pino De Vittorio presso la Pietà dei Turchini di Napoli. Ecco, l’avvento di Maria ha segnato un passaggio nella poetica del gruppo, una rinnovata connotazione narrativa e una interpretazione vivida del repertorio.

Una cifra canora e compositiva che influisce anche sulla scelta dei repertori?
Sicuramente visto che, insieme a me, è autrice di alcuni dei brani della band. Inoltre la nostra comune attitudine ad unire le arti, ci porta spesso a misuraci con il teatro musicale, ovvero con l’allestimento scenico di concerti che sanno basarsi sulla narrazione. La sua innata attitudine all'interpretazione, la capacità di fare proprie anche le composizioni di altri autori, ci ha portato a sviluppare delle riedizioni di brani più o meno noti del repertorio italiano. Per questo abbiamo intensificato il nostro interesse verso la musica d'autore.
C’è un tema portante del disco?
Questo è un vero e proprio concept album, come si faceva negli anni ‘70. Abbiamo scandagliato le regioni del sud Italia (Campania, Calabria, Basilicata) e tutte le province della Puglia, dalla Daunia al Salento, attraverso canti popolari e d’autore, masticando stili musicali e intrecci ritmici tipici del marchio Radicanto. Un viaggio geografico capace di evocare costumi e società. Questo è un disco suonato e cantato in modo da consolare e trovare forza per tutte le mutazioni in divenire. Il viaggio è il tema del disco, la traccia che misura il tempo: antico e contemporaneo mescolati in qualcosa di nuovo.

Come avete scelto i brani della scaletta? Avete lavorato su un nucleo di canzoni più ampio? O siete andati direttamente su quei brani?
Abbiamo selezionato e ascoltato molti brani per poi scegliere questi quattordici affreschi musicali che raccontano di come siamo, una autentica democrazia del pentagramma. L'undicesimo disco, alle soglie dei 25 anni… suonati nella nostra carriera, ci ha offerto la possibilità di cesellare i nostri arrangiamenti, di ottenere un impasto sonoro denso e calibrato, senza sprecare una singola nota, un’opera matura affidata alla voce di Maria Giaquinto che si distende sulle ritmiche di Francesco De Palma e sugli intrecci accordali miei e di Adolfo La Volpe. Preziosa la partecipazione di Raiz, ormai quinto componente della band, intenso nel suo canto dedicato alla rugiada, in due versioni: una soave, l’altra sorprendentemente tribale. Ospiti ai flauti Giorgia Santoro e Gianni Gelao, alla fisarmonica c’è Giovanni Chiapparino. Una storia musicale lunga un quarto di secolo che ci ha consentito di esplorare in lungo e in largo gli anfratti della memoria e della musica d'autore, ma in questo disco c'è qualcosa in più: la forza dell’insieme sonoro. Arrangiamenti che evocano la musica antica ma anche l’improvvisazione, la canzone d'autore (ci sono cover di Domenico Modugno, Matteo Salvatore, Andrea Parodi e Alfio Antico) e accorate canzoni d’autore che si muovono tra l'amore per la città di Bari, le elaborazioni delle voci di
In “La monachella” e in “Sesamo” sei in veste di autore: ci presenti le due composizioni?
“Sesamo” è un brano cui sono molto legato, una vera e propria colonna sonora, il filo che intreccia il Mediterraneo, una melodia che si sparge da costa a costa ed evoca il mio motto: «Sentire la musica, prima di averla ascoltata». “La monachella”, invece, viene da lontano. Il testo è di matrice popolare rinvenuto nella città di Modugno, distante solo pochi chilometri da Bari, la musica è mia. Ricevetti questa poesia dal professor Raffaele Macina, venti anni fa, frutto della sua ricerca sul campo. Era accompagnata, su audio cassetta, dalla vivida voce di una donna anziana. Da qui scelsi di elaborarla e di comporre un brano in equilibrio tra la Puglia e l’Europa dell’Est. Si racconta di una ragazza che viene rinchiusa, contro il suo volere, in Convento per diventare suora. Innamoratasi di un bel giovane che le canta una serenata, si rivolge alla madre e, successivamente, a Dio per potersi liberare da quel luogo e, finalmente, congiungersi con l’amato.
Invece, “Tikkun Hatal” è scritta con Raiz, con cui avete anche inciso il disco “Neshama”. Di che si tratta?
La musica è composta da noi due, il testo, invece, è una vera e propria preghiera tratta dalla liturgia ebraica che viene recitata al passaggio tra l’inverno e l’estate, quando si invoca a Dio di benedire la terra con la rugiada.

“La gatta masciara” è il singolo di cui è stato realizzato anche un video. Ce la racconti?
Il video de “La Gatta Masciara”, brano composto da Maria Giaquinto, si ispira a una leggenda popolare di Bari Vecchia. Le gatte Masciare erano le donne che si trasformavano, nottetempo, in streghe con fattezze di gatto. Secondo la leggenda si trattava di megere che lanciavano il malocchio, si arrampicavano sui tetti delle case, facevano ammalare i bambini e si trasformavano in terribili gatti neri: da qui il nome di gatte “masciare”. Infine, evocavano il sabba beneventano pronunciando la frase magica: «Sop’ a spine e ssop’a saremìinde / m’agghi’acchià a Millvìinde», che significa: “su spine e su sarmenti, mi troverò a Benevento”). Questa tradizione è profondamente diffusa nel borgo antico di Bari tanto da averci costruito l’omonimo "arco d’la Masciar". Per proteggersi dalle gatte masciare, gli abitanti erano soliti recitare uno scongiuro in cui rinveniamo traccia delle antiche origini pagane. Bisognava farsi innanzi tutto il segno della croce e poi dire: «Driana meste ca va pela vì, degghìa ngondrà Gesù, Gesèppe e Marì», vale a dire: “Maestra Diana che vai par la via, devo incontrare Gesù, Giuseppe e Maria”. Le narrazioni popolari e le confessioni inquisitoriali relative alla capacità di molte streghe di trasformarsi in gatto, si sprecano. L’immagine del gatto è infatti inscindibile, nella mentalità popolare, dalla demonolatria; ogni borgo ha i suoi racconti di gatti sinistri,

Di Matteo Salvatore riprendete “Lu Bene Mio”…
La bicromia del blu e del rosso fanno da filtro visivo ed emozionale al secondo video che abbiamo realizzato, che è “Lu Bene Mio”. Il brano è una cover di una nota canzone del grande cantastorie Matteo Salvatore e poggia sulla potente interpretazione vocale di Maria Giaquinto, sempre affiancata dal mandolino e dalla mia chitarra classica, il fingerpicking della chitarra elettrica di Adolfo La Volpe e il cajon di Francesco De Palma. Il video è impreziosito da una performance di teatro-danza interamente girata sul palcoscenico del Teatro Traetta di Bitonto, per la direzione del regista Marco Agostinacchio e la sublime messa in scena della danza aerea a cura di Claudia Cavalli, Erica Di Carlo e Roberto Vitelli su coreografie di Vito Cassano per la Compagnia Eleina D. Il brano racconta di una storia d’amore che non ha tempo, una canzone accorata che indaga l’animo umano con la schiettezza

Restando in Puglia, un’altra felice interpretazione è “Cori Miu”.
Un canto meraviglioso che Pino De Vittorio ha fatto conoscere a Maria Giaquinto e che è diventato uno dei brani imprescindibili del repertorio di Radicanto. Un canto a distesa, memoria di un sud assolato e pieno di vestigia. Una melodia calda e forte, passionale e delicata al contempo. Semplice e struggente poesia che si fa acqua rigogliosa nei melismi vocali raffinati della sapiente voce di Maria.
Parliamo della tua esperienza nella direzione artistica del Festival “Di Voce in Voce”?
Da dodici anni dirigo “Di Voce in Voce” per l’Associazione Radicanto. La manifestazione è sostenuta dalla Regione Puglia, dai comuni di Bari e Bitonto e conta sul significativo contributo del Consolato onorario d’Italia in Polonia che ospita una parte della programmazione presso la città di Stettino. Sul nostro palco si sono avvicendati musicisti di grande spessore, da Francesco De Gregori a Teresa De Sio, da Ambrogio Sparagna a Raiz, da Lucilla Galeazzi a Pino De Vittorio, per citarne alcuni. Questa rassegna è un’autentica esperienza viscerale. Nasce dal desiderio di ribadire il farsi “di voce in voce” del racconto, come ci insegna Omero nella sua Odissea.

Progetti, sogni e idee con Radicanto e oltre?
Sono un musicista e un autore fortunato. Ringrazio la vita per questo. Suono, pratico e sperimento la musica che amo. Nel 2020 saremo impegnati con la realizzazione di molti progetti. Con Radicanto partiremo l’8 di febbraio per il tour teatrale di “Trapunto di stelle”, il nostro omaggio a Domenico Modugno, che portiamo in scena insieme al carismatico Nabil Bey, voce dei Radiodervish.

Radicanto – Le Indie di Quaggiù (Area Live/Puglia Sounds, 2019)

Ciro De Rosa
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