“Va’ a dire a tuo fratello che la famiglia non esiste più
va’ a dire alla tua sorellina che è soltanto una puttana
va’ a dire agli Angeli del Signore che non c'è alcun Dio nell'alto dei cieli
va’ a dire al cuore che brama che non esiste una cosa chiamata amore
Ho detto a mio fratello ciò che avevo udito e cominciò a piangere
l'ho detto a mia sorella, lei disse: taci il bambino sta dormendo
l'ho detto agli Angeli del Signore, mi accecarono di luce
l'ho detto al mio cuore, il mio cuore disse: rimani con me ancora stanotte”
La fiamma non è spenta. La fiamma non può spegnersi. La fiamma non può essere spenta da un uomo. L'uomo può al massimo accendere una verde candela per cercare inutilmente di far ingelosire una donna. O può tentare di cambiare parole ad un'antica preghiera imparata da bambino per interrogarsi infine sul destino. Ma la sua domanda è posta con il tono sbagliato: il tono di un maggiordomo. Ci vuole ben altro per opporsi alle fiamme che inseguirono Giovanna d'Arco. L'uomo scompare, la fiamma no. Questo sembra dichiarare la lettura di questa raccolta postuma di Leonard Cohen. L ' ultima e definitiva dichiarazione letteraria della propria lista di fallimenti umani, dove si può concludere che solo la scrittura fu davvero capace di possederlo ed era a sua volta l'unica cosa che lui sapeva offrire. Era questa l'unica fiamma insaziabile ed eterna. La sua ultima canzone, recita così: “Un milione di candele stanno bruciando per quell'amore che mai arrivò, tu vuoi più buio, noi spegniamo la fiamma.” E ripenso a quel passo tratto dalla tradizione ebraica mitteleuropea pubblicato nel 1950 da Martin Buber: «Tutte le cose contraddittorie e storte che gli uomini avvertono sono chiamate la schiena di Dio. La sua faccia, invece, dove tutto è armonia, nessun uomo la può vedere». E in effetti c 'è una bella differenza tra trovare il proprio posto sulla terra o soltanto la tua posizione su una mappa. Capisco che per la maggior parte delle persone possa risultare inverosimile accostare depressione e insaziabilità alla figura di Leonard Cohen, visti i continui e superficiali luoghi comuni con cui è stata alimentata la sua immagine pubblica, ma le sue parole sono e sono sempre state molto chiare, anche queste recenti: “Adesso sapete com'è ampia la rete della sofferenza che è gettata e non saranno i maestri del Tibet o i rabbini di New York a placare la sete che sorge dalla gola della solitudine”, “E' questo il mio destino: essere così attraente e inarrivabile”, “ Ho la morte nella mente come una radice”. Il titolo del libro è stato scelto da Adam, il primogenito di Cohen, abituato fin da bambino a trovare in ogni dove quaderni e foglietti scritti e scarabocchiati dal padre, persino congelati nel freezer, finiti lì forse chissà perché troppo infuocati da quel bruciante desiderio di verità in ogni ambito dell'esistenza, dall'amore per le donne, il Gioco Favorito, a quello per D-o.
“Proibitivo il prezzo dell'amore che il desiderio doveva pagare”. Un desiderio che fin dall'antichità è stato sempre inteso come una mancanza, al punto da arrivare da più parti ad essere considerato come una specie di schiavitù o di condanna di cui l'essere umano sarebbe vittima. Ma forse il desiderio indica sia la nostra più autentica provenienza che la nostra più vera destinazione. La mancanza non deve essere confusa con l'assenza, infatti non riesce a spegnere per niente i l desiderio, la fiamma rimane accesa: “Ho raggiunto il confine travestito da qualcuno che visse in pace sebbene ogni atomo del mio cuore ardesse di desiderio”. Le sue lapidarie conclusioni: “Crollai incontrandoti, crollai andandomene”, “M'innamorai di chiunque si innamorasse di me” sembrano infine cedere irrimediabilmente: “Il vero amore è ciò che accade tra due persone che non hanno più bisogno di conoscersi”, “È troppo tardi per far sentire vergogna agli uomini per ciò che fanno con fiamme nude”. La prima sezione del libro contiene sessantatré poesie selezionate da inediti scritti nel corso di vari decenni, le uniche che lui reputava complete, estrapolate da una ben più corposa quantità di scritti. La seconda sezione invece raccoglie poesie che, con opportuni ritocchi, sono divenute nel decennio tra il 2006 e il 2016, i testi delle canzoni che comporranno nell'ordine i dischi: “Blue Alert” di Anjani Thomas, “Old Ideas”, “Popular Problems” e “You Want It Darker”. Qui naturalmente possono essere apprezzate nella loro forma poetica originale. Si sa che poesia e canzone non sono la stessa cosa: la canzone non è composta da sole parole ed è inscindibile dalla sua musica che inevitabilmente ne modifica la percezione, talvolta addirittura spingendo la memoria a completare delle polifonie che possono giacere latenti nella scrittura.
L'ultima parte del volume è composta da una selezione di testi, non in ordine cronologico, trascritti da quaderni risalenti ad epoche diverse anche molto lontane tra di loro. È molto emozionante trovare qua e là abbozzi e idee di lavoro per altre poesie e canzoni pubblicate nel corso del tempo. “Mi tendo verso il passato ma non lo raggiungo e tutto appare come un'ultima spiaggia”.
Si mescolano un tempo storico reale ed un tempo dilatato dalla percezione nel ricordo, un tempo lontano ed un tempo di sogno lieve, un tempo fisico di gioventù e bellezza ed un tempo, bisbiglio dell'anima, tenuto in ostaggio dal tramonto dell'età. La prima pagina ad un certo punto recita: “L'angelo adesso ha un violino e il diavolo ha un'arpa, ogni anima è come un pesciolino, ogni mente è come uno squalo”. Per chi ha intensamente amato l'opera di Cohen, è ancora una volta molto emozionante intravedere tutte queste luci buone invitarci ad un banchetto apparecchiato dalle tenebre e insieme scorgere nella sua scrittura l'antica fiamma che ha accompagnato l'intera nostra vita segreta “Non penso mai al passato ma qualche volta il passato pensa a me e si siede leggero sul mio volto”, “Un tempo cantavo l'antico ora canto il vecchio, un tempo cantavo il sacramento ora canto la muffa”. Come conclusione, viene trascritto per intero il meraviglioso discorso da lui pronunciato al conferimento del Premio Principe delle Asturie per le lettere, il 21 ottobre 2011 ad Oviedo, alla presenza dei principi eredi della corona spagnola. L'intero libro è correlato di vari autoritratti e disegni al computer, come già era stato per il precedente “The Book of Longing” del 2006. La poesia di Leonard Cohen porta in un fiume infinito, a filo d'acqua, nella speranza di trovare la corrente. E quel fiume è anche il tuo corpo. E in quelle onde c'è anche la musica. E ognuno ha il proprio fiume. Così tanta gente ha intonato e intona l'Alleluia, uno dei primi e senz'altro il più coraggioso fu il popolare cantante di flamenco Enrique Morente nel 1996, che assieme al giornalista Alberto Manzano adattò in lingua spagnola il testo e propose la sua stupefacente versione nel disco “Omega”.
Una versione che non lasciò indifferente il suo autore se è vero che qui ne troviamo una lunga lirica ad omaggio dell'omaggio: “...quando ascolto Morente la mia vita si fa troppo poco profonda perché ci possa nuotare, scavo ma non riesco ad andar giù, tendo le braccia ma non riesco ad andar su, quando ascolto Morente so di aver tradito la solenne promessa che giustificava tutti i miei tradimenti...la mia chitarra mi volta le spalle e voglio restituire tutto ma nessuno lo vuole...mi sento umile ma non umiliato, vado con lui adesso fuori dall'oscurità di ciò che non ho potuto essere e dentro l'oscurità della canzone che non ho potuto cantare, sento l'Alleluia di Morente che s'innalza verso l'occasione impossibile, il suo grido levato contro le confuse contraddizioni del cuore e lo appende là sotto la sua voce, la sua voce fuggita dal fango della speranza...” In Cohen, ogni parola, ogni verso, ogni ritornello è un intreccio di luminosità e tenebra, contiene sufficiente splendore per accettare e sufficiente disperazione per rifiutare, procede lentamente su un crinale che non è mai solo l'evidenza della luce né l'ignoto dell'oscurità. È la sua poesia. Se fosse solamente evidenza assomiglierebbe alla geometria o alla matematica, se fosse soltanto scura sarebbe una notte senza orizzonte. Vorrei concludere ricordando con piacere un'ulteriore pagina che omaggia un altro gigante della nostra epoca: “Tom Waits che canta, lo sento, sono in un teatro e ho fatto uno spettacolo davanti a un folto pubblico, non riesco a vederlo, sono nel mio camerino, ma lo sento, la sua musica è così bella e originale, tanto migliore della mia...magari potessi farla anch'io. Poi comincia a cantare, magnifico, scendo per ascoltarlo, mi aspetto di vedere una folla adorante ma canta in un piccolo teatro pieno a metà...ce ne andiamo insieme, mi mette il braccio intorno alla spalla, ha un bell'aspetto, un po' malconcio, ma in pieno possesso di sé.” Mica poco per uno le cui "canzoni sarebbero durate per sempre e qualcuna era già eterna".
Flavio Poltronieri
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Letture
un articolo degno di Leonard Cohen.
RispondiEliminaamo un poeta morto anche se in fondo so che è vivo
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