L’idea di scrivere questo articolo è nata tempo fa, ma per paura di non riuscire ad evitare preconcetti, polemiche, vecchi e nuovi rancori, ho sempre rimandato. Però le censure sono sempre un errore e le autocensure ancora di più. Confido nella comprensione di chi stimo ma che la pensa in modo diverso. La spinta decisiva a scrivere mi è arrivata da Jacopo Tomatis e da un suo articolo molto pertinente (Giornale della Musica), uscito subito dopo la pubblicazione del comunicato stampa con cui la famiglia Tenco si dissociava dalla Rassegna organizzata dall’omonimo Club. Vorrei provare a rispondere alle sue osservazioni, seguendo la logica del suo discorso; ma prima devo spiegare a chi legge - e non sa - il mio ruolo in questa storia. Sono stata socia del Tenco fino al 2017; ne sono uscita in polemica. Da quel momento per me la Rassegna della Canzone d’Autore è diventata una manifestazione artistica come tante altre. E come faccio con le altre, anche al Tenco auguro ogni fortuna e bene, ma su tutte mi riservo il diritto di critica. Prima e durante la manifestazione di quest’anno ho letto cose terribili: si è parlato di persone che vogliono distruggere il Premio, di fazioni... addirittura di sciacalli! Questa incapacità di accettare critiche che si trasforma in illazioni e in offese all’onestà intellettuale di tanti è desolante. Invito il Club e gli amici del Club (sarebbe inutile farlo con quelli sempre pronti a intervenire in “soccorso del vincitore”) a capire che non c’è nessuno che li “aspetta al varco”: il Tenco è sempre stato criticato, anche in modo feroce, e il continuo immaginare, in questi ultimi anni, malevole influenze per spiegare interrogativi, appunti o disaccordi può far male solo all’equilibrio del Club stesso.
Ma torniamo all’articolo del Giornale della Musica, a partire da un punto importantissimo, su cui per prima faccio ammenda: basta discutere sui social, strumenti di comunicazione che non prevedono filtri tra i nostri istinti più bassi e la nostra tastiera e dove sparisce ogni chiaroscuro e ogni sfumatura di colore. Torniamo a parlare in maniera seria, senza preconcetti e dando valore alla bellezza delle spiegazioni e dell’approfondimento.
Tomatis divide il suo ragionamento individuando tre temi. Il primo è relativo alle manifestazioni organizzate dalla Confcommercio di Sanremo in accordo col Direttivo del Club (o almeno della parte presente durante la conferenza stampa che le annunciava), a cui sono stati dati nomi che hanno indignato tanti e in particolare la famiglia: termini come Aperitenco e Movida Tenco sono imbarazzanti e offensivi per la memoria di un uomo morto sappiamo tutti come.
Ma la vicenda – ormai è chiaro - attiene a fatti interni di gestione del Club che non voglio approfondire in un articolo che mira ad occuparsi di ben altro.
Molto più interessante è il punto due del discorso, che si lega all’accusa che la famiglia muove al Club di inseguire Sanremo. Tomatis racconta di un Amilcare Rambaldi intenzionato a realizzare un Premio Tenco come quarta serata (una volta erano solo tre) del Festival e che il piano non venne realizzato per ragioni “contingenti”. Peraltro, come spiega il Direttore artistico del Club, Sergio Secondiano Sacchi, Amilcare ideò anche il Festival. Parto da qui facendo delle precisazioni, usando le fonti raccolte con la collega Daniela Esposito per la stesura di un volume che alla storia del Tenco fa riferimento. Nell’ottobre del 1988 Rambaldi rilascia un’intervista a Fulvio Lanteri per “I magazzini del Sale”. In questa occasione racconta di come, subito dopo la guerra, facendo parte di una commissione del CLN che doveva rilanciare il Casinò, ebbe questa idea e la propose. Ma senza successo. Solo nel 1951 l’idea del Festival prese piede, ma indipendentemente da Amilcare, che non ebbe mai alcuna voce in capitolo nella sua organizzazione e nella sua storia: immaginare quindi che per il fatto di averlo pensato e proposto sei anni prima, egli ne approvasse anche il modo in cui prese poi forma e senso è una forzatura e un anacronismo, tanto più che in numerosissime occasioni lo stesso Rambaldi non perse occasione per criticarlo. Sempre nella stessa intervista citata, il Patron del Tenco racconta poi la nascita del Club e della Rassegna. Inizialmente aveva in effetti pensato a un Premio Tenco da assegnare proprio durante il Festival, a mo’ di risarcimento. Ma quel nome era troppo scomodo e nessuno ne voleva sapere. E per quanto riguarda l’ipotesi della quarta serata, ricordiamo che il Club nasce nel 1972, grazie anche al gemellaggio con il Club Luigi Tenco di Venezia di Ornella Benedetti e di cui faceva parte Enrico de Angelis. Ebbene, la corrispondenza sterminata tra le due associazioni testimonia come per Amilcare la quarta serata fosse solo un’idea, per di più iniziale. Ad una lettera molto focosa, sul tema Festival, di de Angelis (a cui certo non si può contestare la coerenza) indirizzata a Rambaldi e pubblicata sul bollettino dei Soci “Quattro note”, nel marzo del 1974 (quindi prima della nascita della Rassegna, che sarà in estate), Amilcare risponde elogiando de Angelis per essersi rivolto a lui personalmente e non come Presidente del Club, perché certe considerazioni sul
Sanremo della canzonetta erano solo sue individuali e conclude trattarsi di “due manifestazioni con due ben distinte fisionomie, con due ben diverse funzioni”. Quindi la possibilità di una quarta serata era molto meno di una sliding doors (uso il termine di Tomatis): per Rambaldi Presidente del Club era fuori discussione; per Amilcare era casomai la speranza che il Festival cambiasse direzione. È proprio lui a spiegarlo bene in una lettera al Secolo XIX del gennaio 1992: “In occasione del Tenco ’91, lo scorso ottobre, io ebbi a dichiarare che quando, a Sanremo, il primogenito Festival della Canzone avesse cambiato impostazione e fosse divenuta cristallina, "tra¬sparente", vetrina della migliore canzone italiana, senza assurde gare, gestito da professionisti scelti per la loro capacità organizzativa ed affidabilità morale e non su indicazioni di "padrini politici", con premi da assegnare, a posteriori, l'anno successivo, da una pubblica giuria di critici ed esperti, non certo in base alle vendite ma alla qualità del prodotto, allora il Club avrebbe potuto togliere il disturbo. Ma è una riforma, quella morale, difficile da attuare anche nel campo della canzonetta.” Ecco quindi chiara la distanza tra la Rassegna e il Festival: due strade e due riferimenti diversi. La Rassegna non nasce dichiaratamente come Controfestival , ma, di fatto, come “alternativa” per metodo e per modo di intendere la canzone e i suoi autori. E Amilcare, quando guardava al Festival, non lo faceva mai nel senso che dovesse essere il Club ad avvicinarlo, ma assolutamente – e sin dall’inizio – il viceversa. C’è una differenza grande come il mondo, perché mentre il Festival di Sanremo continua serenamente ad ignorare il Tenco, il Tenco ci sembra stia tentando degli avvicinamenti di varia natura. Quest’anno anche di contenuti, a partire dal tema della Rassegna. Naturalmente è lecito, per alcuni giusto e corretto, ma ci si permetta di dirlo senza gridare allo scandalo e alla manipolazione. A questo punto è doverosa un’altra parentesi: qui non ci stiamo occupando della qualità e dello spessore della Rassegna da poco conclusa. Si è trattato di un evento ricco, pieno di iniziative dirette e collaterali; il cast era di tutto rispetto. Naturalmente non condivido la narrazione agiografica arrivata da più parti, però – ci tengo molto a dirlo – capisco: il Tenco è anche una questione di atmosfera e di coinvolgimento. Esserci significa parteciparvi anche emotivamente.
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