Trovare rifugio nella melodia per raccontare un universo di suoni che abbracciano svariate geografie emozionali. Ci ha abituati così il genovese Filippo Gambetta, figura di punta tra gli organettisti europei per disinvolta abilità tecnica e per pensare la tradizione sempre in divenire. Membro dei Liguriani e del trio ChocoChoro, Filippo vanta numerose collaborazioni internazionali: su tutte il duo con la pianista canadese Emilyn Stam, con cui ha inciso il semi cameristico “Shorelines”, tri i dischi più interessanti del 2018. Invece, il suo album solista precedente, “Otto Baffi”, lavoro ponderato e compiuto, ha vinto la XII edizione del Premio Nazionale Città di Loano, votato di gran lunga come miglior disco di musica tradizionale italiana. “Maestrale” (Visage Music) è linfa acustica della miglior specie, un progetto che unisce tre punti della Liguria (Ponente, Levante e Genova, messa a metà strada), con il violinista Sergio Caputo, anch’egli strumentista di larghe vedute, e il chitarrista Carmelo Russo, di formazione classica ma ben aduso agli stili della rumba e del flamenco. I tre artisti liguri sono accomunati dalla passione per le musiche di tradizione orale ma lavorano sulla scrittura originale di ispirazione popolare, non limitandosi a frequentare l’area norditaliana. Piuttosto, spinti dal gusto e dal piacere della scoperta, si rivolgono a forme ed espressioni di danza di matrice nordeuropea e brasiliana.
In altre parole, musica tradizionale d’autore che sa essere fluida, vigorosa e ricercatamente schietta. Di “Maestrale”, eccellente per fattura compositiva e freschezza interpretativa – nostro BF-Choice di ottobre – abbiamo parlato con l’organettista genovese.
Maestrale” è un disco da ballo, da ascolto o che soddisfa entrambe le esigenze?
Il nostro viaggio musicale si rivolge sia al pubblico della danza che a quello degli ascoltatori. Tutto nasce nell’estate del 2017, siamo tre musicisti accomunati dalla passione per le musiche di tradizione ma anche dalla scrittura di musiche nuove che ad esse si ispirano. Il disco e il concerto propongono un repertorio incentrato su melodie sia da ascoltare che da ballare. Il disco è un primo approdo di una collaborazione che ormai dura da due anni e fotografa quello che portiamo dal vivo ed è stato registrato live, in presa diretta. “Maestrale” unisce tre punti della Liguria, l’estremo ponente da cui proviene Sergio, la riviera di levante, da cui arriva Carmelo e Genova, a metà strada, sede delle nostre prove. Io sono l’addetto alla preparazione del pesto!
Vi siete fatti guidare dal maestrale nel girovagare per le tante strade del folk?
Rispetto a miei lavori precedenti, con il vento di maestrale ci si spinge più verso sud. Lo stile chitarristico di Carmelo, influenzato dal flamenco e dalla rumba gitana, unito al violino di Sergio, che si muove a cavallo tra linguaggi classici e tradizionali d’Europa e Nord Africa, portano al nostro progetto una sonorità mediterranea. Ci interessa molto la commistione di generi diversi, così portiamo gli ascoltatori e le ascoltatrici che vogliono seguirci, dall’Appennino di “Alessandrina” al
Brasile, con “Chorinho azul”, passando per le suggestioni del musette di “Avances Scoperte” e le sonorità d’Irlanda di “The Parrot’s Nest.
Diversamente da “Otto Baffi”, Maestrale” è costruito su un organico essenziale: organetto, violino e chitarra…
“Otto Baffi” fu realizzato in modo antitetico, partendo da una produzione che coinvolse ventidue musicisti ospiti e ovviamente “ridimensionato” nella proposta in concerto. Oltre all’organetto “continentale” utilizzo anche uno strumento Irish System (l’organetto usato in Irlanda), per differenziare timbri e colori. Come sempre – parlo per me – , la musica nata sull’organetto è definita dallo strumento stesso, giocata in equilibrio tra i suoi limiti, ad esempio armonici, e i suoi punti di forza: l’impatto ritmico nel fraseggio, definito, caratterizzato dall’apri chiudi, che ne è l’elemento distintivo. La vena creativa di Carmelo – autore di due brani del disco – è molto importante e caratterizzante nel nostro suono e nell’energia che il disco vuole trasmettere. Da quando è stato pubblicato, a giugno 2019, abbiamo presentato l’album in Italia, incontrando un pubblico curioso ed entusiasta verso la nostra proposta.
Delle tue tante collaborazioni “Blogfoolk” ha parlato in altre occasioni, però, mi fa piacere ricordare qui il sodalizio con Emylin Stam, la pianista canadese con cui nel 2018 hai pubblicato l’ottimo “Shorelines”.
La collaborazione con Emilyn Stam mi ha permesso di ritornare a suonare in Canada e di riscoprire quel territorio, dove intorno ai ventidue anni avevo la fortuna di suonare in tutti i più rappresentativi festival del Paese, che sono anche tra i più importanti del mondo. Quello tra noi due è un dialogo è rafforzato da interessi musicali ed esperienza comuni. La sensibilità musicale di entrambi si riflette nel nostro dialogo musicale. Suonare insieme con regolarità ci abbia permesso di trovare l’intenzione e l’interazione giuste, che si riflette del tutto nell’equilibrio tra i due strumenti.
Nella costruire la tua musica, succede che l’organetto ti porti verso vie impreviste o sei sempre tu a tenere – per così dire – la barra dritta?
La mia intenzione musicale è in questo momento della mia vita quella di mediare tra le caratteristiche proprie del l’organetto – su tutte l’apri e chiudi – e nel contempo giocare, con una certa leggerezza, sulla coté camaleontica dello strumento, un po’ come faceva Serge Desaunay, peraltro grande
fisarmonicista, ‘piegando’ sull’organetto il repertorio musette per fisarmonica. L’ago della bilancia per me si muove su queste due polarità. È così che continuo a divertirmi suonando l’organetto e a dare un senso all’esserne interprete.
C’è un repertorio che rappresenta la tua Itaca musicale?
Lo choro brasiliano è la mia Itaca musicale. Un pentolone in cui bollono le musiche romantiche europee, il folklore lusitano e di tutte le comunità presenti nel paese - pensa che San Paolo ... qualcuno la definisce la più grande città italiana… - e la musica degli schiavi africani. Una musica che a distanza di oltre cent'anni continua a vivere intorno ai tavoli dei bar, come da noi fino a cent'anni fa .. con mandolini e chitarre nei bar di mezza Penisola, alle prese con arie d'opera e ballabili dal sapore un po' mitteleuropeo. Una musica allo stesso tempo colta e popolare, allo stesso tempo passe-partout per avvicinarsi alla musica erudita e chiave di volta per il musicista colto per “imparare a sporcarsi”.
Filippo Gambetta/Carmelo Russo/Sergio Caputo – Maestrale (Visage, 2019)
Organetto, chitarre e violino: un organico in trio nitido ed essenziale, dotato di creatività, facilità di suono e versatilità stilistica produce un lavoro che rinvigorisce la tradizione mettendo in programma con squisita leggerezza danzante dieci brani che attraversano geografie sonore, conservando una invidiabile presa melodica. Si parte dal sud francese con “Bourrée Vecchia/ Bourrée”, un trittico completato dalla rilettura della magnifica “Avant de s’en aller”, bourrée a due tempi composta dal compianto maestro ghirondista transalpino Pierre Imbert. La grazia in stile musette di “Avances Scoperte” porta già la sintonia del trio a pieno regime. Carmelo Russo firma l’ispirata ed evocativa “Fenicotteri, now”; è tempo, poi, di spingersi superbamente in terra carioca, dove batte il cuore del chorinho (“Chorinho azul”). Ci si muove, quindi, tra i rimandi irlandesi di “The Parrot’s Nest” e si esplorano le comunanze ritmiche nella fluidità melodiosa di “The Wintercoat Jig/Gigando”. L’amabilità di “Aire” è ulteriore prova della verve autorale di Russo, mentre a dare carattere al titolo guida del disco, “Maestrale”, è la vivida, emozionante e ‘magistrale’ curiosità organettistica di Gambetta. Invece, “Mazurka Bourdeaux” ci fa librare in tempo ternario, ma resta sempre aperta alle invenzioni compositive del trio. Per finire, ”Alessandrina” segna il gioioso ritorno a casa nel mondo danzante delle Quattro Province. “Maestrale” è il respiro inarrestabile del folk che sa guardare avanti.
Ciro De Rosa