Louis Moholo-Moholo’s Four Blokes, Sala dei Giganti, Palazzo del Liviano, Centro d’Arte dell’Università di Padova, 10 Settembre 2019

Non è facile nelle arti scegliere la via del “pieno”. Fin dai primi anni ’60 la musica del batterista di Cape Town Louis Moholo-Moholo sta lì ad indicare una strada maestra che sa mettere in tensione positiva suonare tanto e bene, saper alzare il volume senza rinunciare alla poesia, ad ascoltare i compagni di viaggio, a saper cambiare direzione in qualsiasi momento. A Padova, il 10 settembre, Louis Moholo-Moholo è arrivato dopo un paio di settimane di intenso tour europeo, stanco per la levataccia e il viaggio mattutino, alle prese con una delle sale sonoramente più affascinanti, ma anche più infide per i batteristi. Ha preferito saltare la cena, giusto un tramezzino e un paio di bibite. Ha lasciato che fosse Enzo Carpentieri a sistemare la batteria su cui avrebbe suonato ed ha assistito al sound-check da spettatore, senza neppure avvicinarsi al palco. Ha chiesto ai tre compagni di aprire con “Dikeledi Tsa Phelo”, le lacrime di Phelo, brano di apertura del recente cd Ogun “Uplift The People”. Fin dalle primissime note il quartetto ha mostrato immediatamente una sintonia a 360°: di intensità, tempo, complementarietà nei colori, volume. 
In passato, numerosi batteristi di prima grandezza hanno faticato a trovare il volume giusto nella Sala dei Giganti, ideale per una formazione d’archi, spesso problematica per le percussioni. Louis Moholo-Moholo ha offerto da subito l’ancora percussiva ideale e l’ha mantenuta viva per tutto il concerto, come se in quella sala suonasse quotidianamente. Un’ancora che prende soprattutto la forma del rullante, il tamburo cui il batterista dedica la maggior parte dell’attenzione e che non si traduce mai in un punto ferma, ma, piuttosto, in una leva sempre pronta a sollecitare il flusso sonoro in dinamiche e direzioni diverse. Prima del recente concerto al Bimhuis di Amsterdam, il giornalista Koen Schouten ha chiesto ad Alexander Hawkins di spiegare come “funzioni” questo gruppo. La risposta del pianista è stata geniale quanto il suo modo di suonare: “Non so se i britannici come me siano all’altezza di parlare di democrazia”. Con una decina appena di parole, Hawkins ha reso pienamente l’idea dell’umorismo critico e dei rapporti di collaborazione che permeano il gruppo, dell’onestà, del rispetto e dell’umiltà che tre giganti del proprio strumento, quali sono lui, Edwards e
Yarde, offrono al servizio del songbook di Louis Moholo-Moholo. Una serie di canzoni di impronta sudafricana che permettono al quartetto di attraversare senza soluzione di continuità i più diversi registri emotivi, celebrando i tempi con numerose iterazioni che permettono progressivamente di imprimere torsioni diverse al registro narrativo e che hanno un momento apicale per intensità in “You ain't gonna know me 'cos you think you know me”. Apparentemente è il piano di Hawkins, su imbeccata di Moholo-Moholo ad aprire un nuovo capitolo armonico, ma sono quasi sempre Edwards e Moholo-Moholo ad accendere la miccia che segnala il via libera per un nuovo tema irrobustito dalla complementarietà di voci fra piano e sax. E’ Yarde a spiccare con maggiore frequenza il volo come solista ed ogni solo è un’avventura memorabile e sorprendente, urlata, ma anche sussurrata, letteralmente stoppando il suono del sax avvicinando la campana al pavimento o ai pantaloni o allontanandosi dai due microfoni piazzati uno a centro palco e uno all’estrema destra del palco di fianco alla batteria. 
Non minore padronanza dei diversi timbri e registri del proprio strumento mostrano Hawkins ed Edwards, l’unico ad essere lasciato propriamente da solo a interloquire col proprio strumento come se fosse a tratti creta e a tratti cristallo. Va detto che questi musicisti vantano una conoscenza reciproca esemplare, con la collaborazione di Yarde con Moholo-Moholo che risale al tour Sudafricano del 1992-3 con il gruppo Viva La Black, Edwards e Moholo-Moholo già sezione ritmica del quartetto Foxes Fox dal 1999 ed la partecipazione alla Louis Moholo-Moholo Unit dal 2008 di Hawkins. Quest’ultimo ha così riassunto il sentimento dei Four Blokes: "Vivo sempre una gioia speciale quando posso suonare con Louis, ancor di più se si tratta dei Blokes. In primo luogo, credo sia la gioia dell’esperienza collettiva insieme al pubblico." Non tutti ne sono consapevoli, ma la cavalcata senza soste attraversa cinquant’anni di collaborazioni di Moholo-Moholo con gruppi storici che comprendono i Blue Notes, la Brotherhood of Breath, Viva La Black e brani di autori indimenticabili come Dudu Pukwana ("Angel-Nomali") che spingono i musicisti a “dare tutto”, tirando fuori la propria voce e la voce del proprio strumento nei registri gravi, acuti, e nei suoni percussivi (utilizzando le corde stoppate da un foglio di carta nel caso del piano; oppure le dita sfregate sulla cassa armonica del contrabbasso; o ancora sonagliere ai polsi per Yarde al sax). Ma soprattutto, manifestando un affetto e un ascolto reciproco che li porta a stringersi intorno al batterista e uno all’altro appena terminato il flusso sonoro, dando corpo al messaggio ripetuto do Moholo-Moholo: “We love you, We love you, We love you, it is all we want to say”. 


Alessio Surian
Foto e video di Alessio Surian

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