Ensemble Bîrûn – I Nefes della confraternita Sufi Bekhtâshî ad Istanbul e nei Balcani (Nota Records, 2019)

Come ribadito più volte da Kudsi Erguner, maestro di flauto ney, esimio studioso, compositore di lungo corso e direttore dell’ensemble internazionale di borsisti dell’Istituto Interculturale di Studi Comparati (IISMC) della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, la musica classica ottomana è il portato delle molte genti che hanno condiviso una storia comune in seno all’impero ottomano. Pertanto è musica da apprezzare non secondo l’appartenenza nazionale ma sulla base del valore artistico, del gusto e della condivisione di una cultura comune, esattamente come la musica classica europea. È sotto questa luce che va analizzato il disco della casa editrice Nota, pubblicato nella collana “Intersezioni Musicali” curata dall’IISMC, settima produzione del progetto del Bîrûn veneziano realizzata in convenzione con il Conservatorio della Istanbul Teknik Üniveristesi e del CODARTS dell’Università delle Arti di Rotterdam. Il lavoro presenta l’esecuzione di materiali musicali della confraternita Sufi Bektâshî ad Istanbul e nei Balcani, un corpus poetico-musicale che attraversa i secoli, dal 1200 al 1900. Come sempre l’elegante CD-book bilingue (italiano e inglese) dà le coordinate del progetto, presenta il ruolo del sufismo nel mondo islamico per poi entrare più nello specifico nella trattazione delle vicende dei Bekhtâshî, l’ordine fondato nel XIII secolo da Hâĉi Bektash Veli – giunto, pare in Anatolia dall’Iran nord-occidentale diventato figura assai venerata anche in altri contesti islamici, in particolare nell’ambito dell’Alevismo – che ha svolto un ruolo influente nella politica ottomana e nelle formazioni dei giannizzeri e che si è diffuso in molte aree balcaniche al tempo della dominazione imperiale, dove ancora oggi sono attivi suoi centri (Albania, Slovenia, Croazia, Serbia, Kosovo, Macedonia, Bulgaria, Ungheria e Romania). Segue la descrizione dei singoli brani del repertorio proposto nella registrazione, composizioni disposte per affinità modale e in forma di fasil (suite), con interludi improvvisati, che hanno coinvolto dodici musicisti, diretti da Erguner. Si tratta degli strumentisti Giovanni De Zorzi (coordinamento e ney), Nazer Abdulhai (‘ûd), Deniz Halilağaoğlu (kanûn), Dimitrios Maragakis (kemençe), Andriana Achitzanova Petala (ney), Alexandros Rizopoulos (percussioni), Mert Sel (tanbûr) e dei cantanti Hakan Erkaraman, Safa Korkmaz, Berke Meyman, Burak Savaş e Buse Taş. Il CD è dedicato principalmente al Nefes, un genere poetico-musicale di argomento spirituale, sorto nell’ambito del bekhtashismo, ma sono proposti anche alcuni iláhi, espressioni anch’esse di carattere spirituale, eseguite secondo i dettami del maqâm ma con melodie piuttosto semplici, considerata la preminenza del messaggio spirituale. Va osservato come la maggior parte dei brani proviene dalle fondamentali trascrizioni realizzate nelle storiche ricerche di un comitato guidato dall’eminente musicologo Rauf Yektâ Bey (1871-1935) del Conservatorio di Istanbul. Ancora, tra i testi proposti compaiono anche alcune mersîye, delle lamentazioni composte in lingua albanese e in lingua bosniaca, a sottolineare la koiné culturale del bekhtashismo. L’ascoltatore non ha che da lasciarsi prendere dal flusso sonoro di un grande repertorio musicale che rappresenta un ponte tra passato e presente. Occorrerà cogliere le abilità vocali dei cantanti e la poetica dei testi, apprezzare lo sviluppo dei cicli ritmici quasi sempre di andamento dispari, la complessità di certi arrangiamenti proposti da Erguner ben eseguiti da valenti strumentisti, i solismi di ney, kemençe, tanbûr, ‘ûd nei taksîm (gli interludi che introducono l’ambientazione dei brani). Colpisce davvero la qualità degli esecutori, che rappresentano solo una parte di una più vasta presenza di giovani musicisti, come testimonia il numero elevato di candidature ricevute dall’IISMC della laguna veneta. In altre parole, come sottolineato da Giovanni De Zorzi e Giovanni Giuriati nelle note di presentazione, parliamo di musica ancora viva, che è suonata, che piace, che è amata, non di un genere museale. Una fonte di piacere, insomma, questi “soffi dell’ispirazione divina”, di cui è inopportuno privarsi. 



Ciro De Rosa

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