Shahbaz Hussain & Helen Anahita Wilson – Diwan (Golden Girl Records, 2019)

A confermare ulteriormente che la musica può essere un magnifico luogo di incontro e conversazione, “Diwan” fluttua tra l’Occidente jazz e classico e l’Oriente indo-persiano. Nato dall’incontro tra la pianista Helen Anahita Wilson e un maestro del tabla, Shahbaz Hussain, il disco è in perfetto equilibrio tra improvvisazione e composizione, atmosfera e impatto, semplicità e complessità. Un album interculturale che invoca all’apertura, rimanendo allo stesso tempo intimo, emotivo e privato. La Wilson ha radici forti nella musica classica euro-colta, studiata negli anni tra il Conservatorio Reale di Birmingham e la Guildhall di Londra. Alla carriera musicale affianca un dottorato di ricerca presso la SOAS, dove studia la musica classica carnatica del sud dell’India. Hussain è invece un virtuoso di fama internazionale, pupillo di due delle più grandi leggende dello strumento: Ustad Faiyaz Khan e Ustad Alla Rakha (il quale spesso accompagnava Ravi Shankar). Le collaborazioni, numerose e variegate, toccano stili differenti dimostrando la grande versatilità del musicista, capacità che gli ha garantito il riconoscimento di ‘Son of Lahore’, conferitogli dal governo pakistano per i suoi contributi musicali. Il disco, presentato al The Vortex di Londra e al Manchester Jazz Festival, ha già ottenuto un’ottima risonanza, catturando l’interesse, tra gli altri, di BBC Radio 3 e Jazzwise. Un ostinato in sette al piano accoglie l’ascoltatore in “Azar”, brano estremamente scorrevole e piacevole nonostante la natura poliritmica e mutevole. Attorno al riff il pezzo cresce con un alternarsi di melodie accompagnate dai tabla in continuo movimento. Un bridge a metà tra il gusto jazz e quello cameristico spezza improvvisamente il ritmo per poi ricollegarsi all’intenso tema principale che di dissolve gradualmente. “Neeleshwar” ha un sapore completamente diverso, più rilassato e maggiore sebbene sapientemente sfumato per creare contrasto. Il brano prende il nome da un giardino con piante di ibisco nella città di Nileshwaram, luogo la cui essenza sembra essere dipinta dalla musica stessa. Segue “Carneline”, brano in Rupak Tal (altro ciclo ritmico in sette) dove brilla la maestria di Hussain, che si intrattiene in quello che è di fatto un solo di tabla, accompagnato da un ostinato di piano in sottofondo. La pulizia dei colpi è ineccepibile, così come il gusto e la gradualità con cui Hussain accresce l’elaboratezza del pezzo.“Merkaba-là” e “Hibou” presentano invece sfumature melodiche persiane. Il primo è un brano diretto ed essenziale, che va dritto al dunque senza troppi fronzoli. “Hibou”, invece, si apre con un capolavoro di tensione, un pianissimo di poche note al piano anticipa l’ingresso della pulsazione, di nuovo in Rupak Tal. Il brano cresce gradualmente di intensità, densità ritmica e melodica, chiudendosi con un movimento vorticante. A chiudere il disco è, infine, “Dharana”, che si apre lentamente ma la cui quiete consente di apprezzare la ricchezza dei silenzi, occupati dal risuonare degli armonici delle corde che continuano a vibrare. Il pezzo cresce seguendo lo sviluppo classico dell’ālāp, sezione introduttiva nella tradizione Indiana dove il raga viene esposto ed esplorato in un crescendo costante. Il brano è particolarmente ricco ed atmosferico, una chiusura perfetta per questo lavoro. L’album è un doppio successo: un connubio magistrale di linguaggi che si dimostrano sempre più predisposti all’influenza reciproca, che mantiene un’identità forte ed un grande gusto compositivo. Disco piacevole nella sua interezza, risultando naturale nell’ambizioso e rischioso progetto di creare una comunicazione equa e bilanciata fra mondi musicali e culturali differenti. 


Edoardo Marcarini

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