Musica Ex Machina – Burp (Hopetone Records, 2018)
Nati nel 2006 dall’incontro tra Guido Coraddu (pianoforte), Francesco Bachis (tromba), Mauro Sanna (basso) e Simone Sedda (batteria), quattro strumentisti sardi dal diverso background musicale, i Musica Ex Machina vantano una lunga serie di collaborazioni internazionali, una intensa attività live e ben cinque album all’attivo tra cui vale la pena ricordare l’ottimo “Sfarinati di Cereali per l’Alimentazione Umana” del 2014. A distanza di quattro anni da quest’ultimo, hanno dato vita a “Burp” originale progetto artistico sul potere di codizionamento dei Media, declinato tra uno pseudo giornale online con fantomatiche notizie tra realtà e finzione e che, a loro volta, rimandano ai dieci brani del concept-album omonimo e ad filmati, presentati dal vivo in un live act, all’insegna dell’improvvisazione. Tutto questo è racchiuso efficacemente nell’onomatopea fumettistica del titolo che ricorda il rutto liberatorio di “Morte accidentale di un anarchico” di Dario Fo in grado di far digerire al cittadino le angherie e le ingiustizie della politica ma anche il pensiero di Frank Zappa che sottolineava come “l’informazione non è conoscenza”. L’ascolto ci conduce attraverso composizioni dal mood e dai linguaggi sonori differenti in cui le architetture sonore costruite dal pianoforte e dai fiati e supportate magistralmente dalla sezione ritmica. Si spazia, così, dalle follie orgiastiche dell’iniziale “Saturnalia” alla brillante struttura melodica di “87th”, dagli echi sudamericani della sinuosa “Babonzo” alla riflessiva “Pensamento” per toccare l’irresistibile ritmo latin di Powerchihuahua. Il disco, però, riserva altre sorprese come nel caso della divertente “Pacha Kamal & co. con i fiati e pianoforte a ritagliarsi imperdibili solo, o di “Polivinilpirrolidone” in cui si apprezza a pieno tutta la versatilità del gruppo, ma il vero vertice del disco arriva con l’elegante ballata “Manji” che rimanda alle atmosfere dei fumosi jazz club newyorkese degli anni Quaranta. Completano il disco il solo di pianoforte “Coda” e l’attualissima “Opern Arms op” nella cui narrazione sonora è intessuta la triste e nota vicenda che ha contrapposto il Governo Italiano alle ONG che, in mare, si occupano di salvare la vita ai profughi. Insomma, “Burp” è un invito in musica ad approcciare Media e Social Network con una rinnovata consapevolezza per fronteggiarne criticamente la loro capacità di influenza.
Aquaserge – Déjà-Vous? (Crammed Disc/Materiali Sonori, 2018)
Ensemble francese composto da Audrey Ginestet (basso e voce), Benjamin Glibert (chitarra, sintetizzatore e voce), Julien Chamla (batteria), Julien Gasc (tastiera e voce), Manon Glibert (clarinetto basso e soprano, voce), Olivier Kelchtermans (sax baritono e alto), Robin Fincker (sax tenore), Sébastien Cirroteau (tromba), Sylvaine Helary (flauto), strumentisti di talento e protagonisti in gruppi come Tame Impala, Stereolab, Melody's Echo Chamber, Aksak Maboul e Acid Mothers Temple, gli Aquaserge sin sono segnalati, negli anni, per la loro capacità di attraverso ambiti sonori differenti dalle musiche da film al jazz passando per l’avanguardia e la classica contemporanea, dando forma e sostanza a composizioni dal taglio originale e che sfuggono a qualsiasi forma di catalogazione. Dopo il successo di “Laisse ça être” del 2017, li ritroviamo con "Déjà-Vous?", disco dal vivo che raccoglie una selezione di otto brani scelti tra le registrazioni di diversi concerti del 2016 e del 2017. Aperto dai quasi dieci minuti della visionaria “Virage Sud” trasformata in una vera e propria suite rispetto all’originale e caratterizzata da una incredibile varietà sonore sospesa tra gli interventi delle tastiere e le incursioni del flauto, il disco ci regala subito dopo altre due perle, prima con la bella rilettura dello standard “My Funny Valentine”. Le sperimentazioni minimal di “La Ligue Anti Jazz-Rock” ci introducono ai volteggi sonori e lirici di “C’est Pas Tout Mais” a cui segue la siderale psichedelia degli otto minuti di “Travelling”. Il frammento rumoristico di “Tintin On Este Bien Mon Loulou” ci schiude le porte al finale con il lirismo della ballata “Je Viens” che chiude un disco difficile da raccontare in breve ma che consigliamo ai nostri lettori di ascoltare con curiosità.
Pasta Nera Jazz Project – Pasta Nera (Autoprodotto, 2019)
Il folk appartiene al patrimonio genetico del jazz e non è un caso che, nel corso degli anni, in molti abbiano dato vita a ricerche volte a riportarne alla luce le connessioni e i punti di contatto. Significativo, in questo senso, è il percorso di ricerca compiuto da Pino Minafra in Puglia e che, oggi, idealmente viene ripreso dal Pasta Nera Jazz Project, quartetto nato nel 2018 dall'incontro tra Antonio Pizzarelli (clarinetto, clarinetto basso, sax soprano e tenore) e Felice Lionetti (pianoforte, composizioni ed arrangiamenti), a cui successivamente si sono aggiunti Giovanni Mastrangelo (contrabbasso e fischio) e Antonio Cicoria (batteria) che hanno unito le forze per rendere omaggio alla tradizione musicale della Capitanata, rileggendola attraverso gli stilemi del jazz. Ne è nata una esplorazione sonora a tutto campo, un viaggio temporale tra culture e stili differenti che dalle riletture di brani tradizionali e approda a composizioni originali, nel quale grande importanza assume la cura per le linee melodiche nelle cui radici vengono esaltate le contaminazioni stratificatesi nel tempo. Non è stata anche la scelta del nome della formazione pugliese che cita il titolo di una canzone di Matteo Salvatore e in paralleo evoca le commistioni sonore e la black music. A cristallizzare il tutto è il disco ominimo nel quale hanno raccolto dieci brani tra riletture e brani originali nei quali spicca l'utilizzo misurato delle singole voci strumentali volto a ricreare l'atmosfera del canto popolare con i fiati ad evocare la voce antica dei contadini. Aperto dalla rilettura di "Pasta Nera" di Matteo Salvatore introdotta dalla voce recitante di Maurizia Pavarini, il disco entra subito nel vivo con "Gargano" nella cui trama narrativa si scorgono suoni processionali e canti devozionali ma anche la poesia dei suoi paesaggi. La brillante tessitura di "Sulla Torre", brano con cui si sono aggiudicati il Premio Internazionale “Suoniamo il Sac Porta d’Oriente”, ci introduce alla superba versione del tradizionale "La Montanara" con il pianoforte ad aprire la strada all'ingresso del sax tenore e della sezione ritmica. Se "Mamma Mamme" è giocata sul ritmo della tarantella, la successiva "Lu Bene Mio", ancora dal songbook di Matteo Salvatore, è pennellata con passione e lirismo. L'elegante ed evocativa "La vadda di Stignano" ci accompagna verso il finale con "Habanera" e una imperdibile "Carpinese" che fanno da preludio a "Rodianella" riletta in chiave calypso che chiude un disco che non rivoluzionerà certamente la scena jazz ma che si ascolta con grande piacere.
Tommaso Starace Harmony Less Quartet – Narrow Escape (Alessio Brocca Edizioni Musicali, 2018)
Talentuoso sassofonista italo-australiano, da lungo tempo ormai residente a Londra, Tommaso Starace si è segnalato nella scena musicale internazionale per una lunga serie di prestigiose collaborazioni e una ormai nutrita discografia in cui spicca “From a Distant Past”, disco del 2016 inciso in duo con Michele Di Toro al pianoforte. A tre anni di distanza, lo ritroviamo con alle prese con il “Narrow Escape”, nuovo album realizzato con l'Harmony Less Quartet, formazione pianoless completata da Dave O’Higgins (sax tenore), Davide Liberti (contrabbasso) e Ruben Bellavia (batteria). Composto da nove brani, tra composizioni originali e rivisitazioni di classici del jazz, il disco propone un sound organico e dalla peculiare cifra stilistica in cui traspare una profonda conoscenza della tradizione e la tensione costante a proiettarla verso il futuro. Non casuale è, così, la scelta di fare a meno di una voce strumentale armonica, prediligendo la libertà di movimento dei singoli strumentisti a cui è lasciato campo libero nell'immergersi in brillanti assoli. Si parte dalla trascinante "Touch and Go" che affonda le sue radici nel bop e sul cui tema bluesy i fiati danno vita ad una scorribanda sonora, supportati da una sezione ritmica impeccabile. Si prosegue con il trittico composto da "Medusa’s Charme" in cui O'Higgins e Starace guidano un crescendo dal tema misterioso, "Fugue in Eb" e la title-track che spiccano per il perfetto interplay tra fiati e sezione ritmica. Nella seconda parte la scaletta del disco propone una gustosa sequenza di riletture con "Trinkle Tinkle" di Thelonious Monk, "Grand Central" di John Coltrane, "Like Someone In Love" di Jimmy Van-Heusen e "Be Bop" di Dizzy Gillespie. "Pass a Good Time", spinta dal potente groove della sezione ritmica ad incorniciare la splendida tessitura di Starace, chiude un disco pieno di belle intuizioni che non mancherà di appassionare gli ascoltatori.
Artisti Vari – Bitteschõn, Philophon! Vol.1 (Philophon, 2018)
“Bitteschõn, Philophon! Vol.1” è la bella compilation realizzata dalla Philophon, label fondata a Berlino dal batterista e produttore Max Weissenfeldt, e che mette in fila dieci brani selezionati tra i 7" già pubblicati dall'etichetta, nuovi mix e un inedito offrendoci una panoramica sulla varietà stilistica del suo rooster che abbraccia suoni che vanno dall’Ethio jazz al reggae fino a toccare la musica psichedelica africana. Definito dal Süddeutsche Zeitung come "il musicista tedesco più interessante del momento", Weissenfeldt è riuscito nell’impresa non solo di cristallizzare un sound che ormai è un marchio di fabbrica ma anche a valorizzare grandi talenti come nel caso di Guy One a cui è affidata l’apertura con la superba “Estre”, un brano dalle straordinarie potenzialità radiofoniche. L’ascolto ci regala, però, una sequenza di belle sorprese come nel caso dell’ampio sguardo sulla scena musicale ghanese con "Rehwe Mi Enyim” e “Asembi Ara Amba” di Y-Bayani, Baby Naa, Their Band Of Enlightenment Reason, Love, l’highlife di Lee Dodou & The Polyversal Souls con “Basa Basa” e il frafra-gospel di Alogte Oho and his Sounds of Joy dei quali ci viene offerta “Mam Yinne Wa”. Non mancano uno sguardo verso le nuove produzioni con il nuovo mix (Teen Party Edit) di My Mind Will Travel di Jimi Tenor, l’ethio-jazz con “Alteleyeshegnem” di Alemayehu Eshete e il nu-soul di “Bajka” con “Invisible Joy”. Chiude il disco l’inedito “Portrait Of Alemayehu (Daytime)” che lascia intravedere le future strade che intraprederà Max Weissenfeldt con The Polyversal Souls.
Salvatore Esposito
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Suoni Jazz