Park Jiha – Philos (Tak:til, 2019)

Con “Communion”, debutto discografico rilasciato l’anno scorso, la coreana Park Jiha aveva creato altissime aspettative per il lavoro successivo, pienamente soddisfatte se non oltrepassate dal poliedrico “Philos”. Un album introspettivo e paziente, dove ogni dettaglio (dalla scelta degli strumenti, al sound design all’arrangiamento minimalista) parla per e dell’autrice. Il nucleo musicale è la tradizione coreana, di cui l’artista ha studiato i modi e gli stili, e da cui provengono i tre principali strumenti che costituiscono il sound del disco. Park Jiha suona il piri, un oboe in bamboo ad ancia doppia, il saenghwang, un organo a bocca, e lo yanggeum, un dulcimer strettamente imparentato con lo yangqin cinese. Il connubio dei tre, ulteriormente elevato da sound effects e suoni naturalistici, conduce a una conversazione armoniosa tra personalità diverse, un copione scritto ad hoc per ogni attore sul palco. Alla tradizione si affianca però la contaminazione, intesa come rilettura personale delle musiche che hanno da sempre costituito il bagaglio artistico di Park Jiha. L’atmosfera è rilassata e minimalista: con forti influenze dalla musica ambient ma con la ricchezza dinamica del jazz cameristico. Le estremità del disco, “Arrival” e “On Water”, presentano i protagonisti dello spettacolo. I tre strumenti si intrecciano e supportano a vicenda, inserendosi con la dovuta calma in un climax ascendente che si dissolve lasciando un senso di incompiuta sospensione, una coda che riecheggia nel silenzio. Lo yanggeum si fa solista in “Thunder Shower” e “Walker: In Seoul”, il primo ha un passo spedito e stretto, un impeto energico agevolato dalla produzione che altera progressivamente il suono dello strumento, il secondo è invece un più pacato e nostalgico tributo alla città dove Park Jiha vive. Peculiare è la tecnica sullo strumento: mentre la melodia viene suonata tradizionalmente con un martelletto nella mano destra, la sinistra si occupa dell’armonia pizzicando bicordi con le dita. Una menzione speciale va riservata a “Easy”, in cui la musica accompagna un poema scritto e recitato dall’artista libanese Dima El Sayed, ispirata dalla musica di Park Jiha durante una visita in Corea. La cura compositiva è ulteriormente intensificata da un ottimo gusto nel missaggio e nella produzione. Sound effects di mari e città si mescolano armoniosamente con gli strumenti in un continuo coerente, dove è difficile individuare dove finisca la musica e inizi l’atmosfera. Come in molta musica ambient, il sound design diventa parte integrante e fondamentale dell’arrangiamento, ponderato con la stessa cura con Park Jiha ha scelto e suonato gli strumenti musicali. “Philos” è un fantastico viaggio interiore programmato al dettaglio dall’autrice. La musica incarna perfettamente situazioni ed emozioni quotidiane, rendendo l’album incredibilmente evocativo e comunicativo. Diventa facile identificarsi in questo oceano musicale, la cui calma apparente nasconde una profondità viscerale. L’artista stessa commenta: «Le mie influenze musicali vengono dalla vita, e credo che la musica provenga dall’essere umani; la musica di ogni persona rappresenta essenzialmente la persona stessa. Quando compongo so per certo di aver vissuto onestamente». Il vero punto di forza di “Philos” è proprio la sua origine umana, che lo rende un capolavoro di comunicazione. 


Edoardo Marcarini

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