Olcay Bayir – Rüya – Dream for Anatolia (Arc Music, 2019)

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Residente a Londra dall’età di sedici anni, Olcay Bayir nasce a Gaziantep, nel sud-est della Turchia, non lontano dal confine siriano. Trascorre la fanciullezza vivendo in differenti parti dell’Anatolia, fatto che la porta a conoscere le diversità culturali e religiose. Oltretutto, grande influenza hanno su di lei suo padre – un aşik, ossia un cantastorie, di tradizione alevita – e suo fratello, anch’egli musicista. Gli studi classici da soprano e la carriera di musicista con collaborazioni internazionali informano la sua musica, debitrice alla tradizione turca e curda ma anche alla poetica sufi e, come già detto, alevita. Bayir ha esordito con “Neva/ Harmony” (Riverboat, 2014), un disco di riletture di folk song anatoliche che è stato accolto con favore nella scena world inglese. Ora è la volta di “Rüya” (“Sogno”), prodotto da Giuliano Modarelli e Al MacSween, membri del collettivo world-jazz londinese Kefaya. La seducente e sinuosa voce di Olcay è al centro dei brani, circondata da arrangiamenti che fanno confluire struttura modale mediorientale e armonizzazioni occidentali. Così accanto a zurna, duduk, saz, bağlama, kaval, bendir e darbuka ci sono una sezione ritmica di contrabbasso e batteria, chitarre, pianoforte, tastiere, violino e flauto. 
Bello l’inceere del saz (al cordofono c’è il fratello Erdoğan) in apertura di “Uzun Ince Bir Yoldayim”, il brano che concorre da subito a illustrare la fusione musicale su cui si regge il progetto: si tratta dell’estratto di un canto di Veysel Şatiroğlu, che è stato uno dei maggiori aşik del XX secolo, dove la metafora della vita assume l’immagine cara alla tradizione degli Alevi del cammino lungo una lunga strada collocata tra due porte che rappresentano, rispettivamente, la nascita e l’aldilà. Cantano l’amore l’appassionata “Yar Dedi”, dove la voce trova sostegno nelle note del piano, e l’altrettanto intima e bluesy “Ari Oldum”, in cui il canto setoso di Olcay procede in accordo con le linee di contrabbasso (Huw Bennett) e bağlama (Murat Siğirci). Entrambi i motivi portano la firma della stessa cantante, la quale ha composto anche l’evocativa title-track (riproposta in versione radio edit in chiusura del disco), in cui si sogna un futuro di pace e di bimbi sorridenti: 
un altro dei temi che meglio esemplificano la combinazione sonora che accompagna il timbro caldo della vocalist. “Ekmek Dedim” celebra il pane, l’amore e un po’ di vino (cosa serve di più?). Altri piatti forti dell’album sono la ripresa di “Ferzê”, canzone uscita dalla penna del celebre cantautore Şiwan Perwer, e “Dolama Dolamayi”, una canto a ballo tradizionale cipriota, dove il violino di Aurel Qirjo si prende la scena. Invece, “Elif” è la rilettura di una poesia su un amore perduto, scritta dal menestrello settecentesco Karacaoğlan, impreziosita dal ricamo del duduk. Ancora dolore per una perdita nell’accorata “Hawar e”, liriche curde di Cemo su musica composta dalla stessa Bayir. In “Rüya”, c’è grande qualità: beneficiate del canto di Olcay! 



Ciro De Rosa

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