Abdo Buda Marconi – Karsilama (Felmay, 2019)

I loro nomi messi uno di fila all’altro, un titolo, “Karsilama”, che in turco significa saluto e benvenuto ma anche suggello programmatico dell’incontro tra i tre solisti. Parliamo di Ahsti Abdo (tembûr, voce, percussioni, duduk, marranzano), curdo di Aleppo, cresciuto ad Afrin, giunto in Italia subito dopo. Lo conosciamo come membro dei Domo Emigrantes e lo abbiamo visto artefice di altri progetti. Manuel Buda (chitarra classica, chitarra preparata e voce) è un milanese di cultura ebraica, chitarrista classico di Conservatorio dalle numerose collaborazioni che ha assorbito repertori di area mediterranea (klezmer, flamenco e modi della musica araba). Infine, Fabio Marconi (violão de choro a 7 corde e voce) si indirizza verso il jazz e la musica balcanica e caucasica, partecipando al bel recente lavoro di Camilla Barbarito e stringendo sodalizi con il suonatore di tar Fakhraddin Gafarov e con il Connections Trio. Due anni di concerti e di impegno comune per costruire un cammino condiviso, ben esplicitato in questo disco d’esordio. Iniziano con “Kaytagi”, una melodia azera che si apre a sorprese; del repertorio del cantante contemporaneo curdo Ciwan Haco, il trio riprende “Eman Hey Lê”, spogliato delle ritmiche rock-blues, il brano è incardinato in un’estetica sonora che guarda al mondo mediterraneo. Se “Sultaniyegah Sirto” è un caravanserraglio di umori ottomani, klezmer e tarantelleschi, “Sirba” – preceduta dall’incedere improvvisativo del preludio “Mishebeyrekh Taksim” – subisce un improvviso cambio di rotta, impresso dal soffio del marranzano. “Astrakan Café” è la rilettura del celebre tema del virtuoso di ud tunisino Anouar Brahem, che nel finale assume una figurazione ritmica maghrebina e si invola seguendo il caldo anelito del duduk. Il tradizionale “Gundê Hember” descrive in versi e note la volontà di resistenza culturale di un popolo, mentre la commovente “Jovano Jovanke” – introdotta dalla voce di Camilla Barbarito e dal coro di Eclectika – è ormai una canzone popolare classica pan-balcanica. Si giunge al motivo tradizionale che dà il titolo all’album: una danza di origine greca dalla melodia magnetica: tripudio coinvolgente di corde, che attraversa musicalmente il “mare chiuso”. Infine, c’è “Masâr”, un’altra cover, questa volta dal trio dei fratelli palestinesi Joubran: una sequenza melodica che nel trattamento di Abdo, Buda e Marconi diventa flusso intenso e incalzante. Piuttosto che cercare ancora di spiegare un disco, conviene abbandonarsi all’ascolto, lasciandosi prendere passo dopo passo. 


Ciro De Rosa

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