Lei si definisce come una «urban Scottish Gael»: è Mary Ann Kennedy, cantante, autrice e giornalista della BBC, con radici familiari nell’isola di Skye ma esponente della diaspora gaelica della multiculturale Glasgow. Da arpista classica a interprete neo-tradizionale, alla quale sono stati conferiti numerosi riconoscimenti, Kennedy ha debuttato con un disco a suo nome nel 2017 con “An Dàn”.
Il suo nuovo lavoro è una raccolta di sedici tracce, che mette al centro Glaschu, la città di Glasgow: difatti l’album porta come sottotitolo “Home Town Love Song” e presenta un programma di canzoni alternate con componimenti poetici (scritti in prevalenza dal poeta glaswegian Derick Thomson, recitati in inglese e gaelico da Bill Paterson e Wilma Kennedy) che celebrano la città scozzese attraverso l’idioma e l’estetica gaelici. Un degno corollario è il dettagliato booklet di sedici pagine, contenente i testi in lingua gaelica e inglese e accurate note, che accompagna l’ascolto del disco. Il progetto è costruito su idee musicali e arrangiamenti accattivanti di matrice folk e blues, in cui qua e là trapela qualche sequenza un po’ troppo morbida. Non risparmia musicisti, Mary: porta in dote il chitarrista e suo fedele collaboratore Finlay Wells, Nick Turner (chirarra e basso), Lorne MacDougall (whistle), Allan MacDonald (percussioni), l’ottimo Jarlath Henderson (uilleann pipes in “Margadh an t-Salainn”), la band alt-country The Wiyos, ma anche un quartetto d’archi (Donald Grant, Hannah Dawson, Triona Milne, Eilidh Martin in “Òran do Ghlaschu (Song for Glasgow)”, i fiatisti Richard Ingham (sax alto) e Margaret Douglass (corno farncese) in “Stoirm air a’ Bhroomielaw” e un nutrito gruppo di coristi.
Apertura su ritmo di puirt a beul con “Camanachd Ghlaschu”, che esalta il timbro di Mary Ann, cui segue la coeva “Òran don Clutha”, altro numero tardo ottocentesco, uscito dalla penna di John MacFadyen, una delle voci gaeliche della Glasgow vittoriana, combinata con la melodia di un piper. Il brano è stato registrato dal vivo a Belfast con il trio roots newyokese The Wyos, che imprime dei passaggi rockabilly. Sia lo spoken word di “Orange Parade an Glaschu” che la successiva “Margadh an t-Salainn” raccontano il pregiudizio anti-cattolico ancora esistente nella città. Le pipes di Jarlath Anderson spingono il numero verso i vertici. Una languida chitarra elettrica sostiene il canto in “Mother Glasgow”, che è la traduzione in gaelico di una canzone frutto della penna di Michael Marra. L’immigrazione dalle Highlands della metà del secolo scorso sono il tema della canzone bilingue maccheronica “When I Came to Glasgow First”, mix di umorismo e di risvolti più cupi. La storia sociale in tempi di crisi è concentrata in “Òran do Ghlaschu (A Song For Glasgow)” di Donald MacPherson, un altro dei numeri in cui Kennedy offre il meglio di sé. Segue “Stoirm air a’ Bhroomielaw”, scritta da MacFadyen, dove il soundscape, opera del bretone Gaby Le Bigot, e i fiati che si inseriscono nel finale costruiscono un’eccellente atmosfera. Dalla stessa penna proviene la deliziosa e divertente “Horo Tha Mi Fo Smalan Dheth”, il cui protagonista ubriaco nella notte di Fine Anno balla con le statue di George Square. Di nuovo The Wiyos si affiancano nella folksy “Pàraig nan Dealbh”, dove Kennedy musica una poesia ottocentesca sulla povertà e l’emigrazione del bardo di Islay William Livingstone. L’atto d’amore verso la città («You can take the girl out of Glasgow, but never Glasgow out of the girl», scrive Kennedy nelle note di presentazione) si chiude con la mite “Goodnight & Farewell”.
Questa signora ha idee e classe!
Ciro De Rosa
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