Altın Gün – Gece (Glitterbeat, 2019)

I colori sono elettrici, la batteria scandisce un tempo binario, ma con accenti che sanno sostenere la melodia dai toni decisi e cambi di passo anatolici. Qualche hanno fa, durante una serie di concerti con Jacco Gardner, tre musicisti olandesi rimasero colpiti dai gruppi psichedelici turchi, gente come Barış Manço, Erkin Koray, Selda. Tornati ad Amsterdam, Ben Rider (chitarre), Jasper Verhulst (basso) e Nick Mauskovic (batteria, poi sostituito da Daniel Smienk) s’incamminarono per quella strada e incontrarono la voce di Merve Daşdemir e le tastiere e il saz di Erdinç Ecevit, attivo anche con Faarjam. L’energia è quella giusta: il disco di debutto del 2018, “On“, li ha già portati a far ballare folle consistenti dai palchi di mezza Europa. L’affiatamento raggiunto sembra ideale per riprendere il lavoro di Neşet Ertaş (1938 – 2012) e rendergli omaggio a sette anni dalla sua morte a Izmir. Neşet Ertaş si rifaceva alla tradizione degli halk ozanı, cantori popolari, ed era soprannominato Bozkırın Tezenesi (il plettro delle steppe): nella tradizione aşik, sapeva unire le corde della bağlama alla sua voce per dar corpo alle epiche dastan o alle proprie composizioni originali, come “Leyla” che gli Altın Gün reinterpretano a modo loro, intersecando alla voce di Merve Daşdemir chitarre e sintetizzatori belli grassi. Tutto il nuovo disco, “Gece” (notte, in turco), con Gino Groeneveld alle percussioni, ruota intorno a riscritture e ri-arrangiamenti di brani turchi di vecchia data. Fa eccezione solo “Şoför Bey”, composizione originale e ballabile degli Altın Gün, che filtra e rende metallica la voce altrimenti gentile di Merve Daşdemir. I brani pescano soprattutto dai brani che negli anni Settanta del secolo scorso furono resi popolari dai club e dalle radio turche, un periodo sia di successi, sia di grandi difficoltà per Neşet Ertaş. Il “bardo” si era trasferito giovanissimo da Kırtıllar (nel Kırşehir) a Istanbul e quindi ad Ankara, riuscendo ad essere assunto dalla radio statale TRT dove trasmetteva türkü, le canzoni popolari turche del programma “Yurttan Sesler” (suoni di casa), divenendo molto popolare e registrando molti singoli e tre album (Neden Garip Garip Ötersin Bülbül; Gitme Leylam; Türküler Yolcu). Ma nel 1979 si vide costretto ad emigrare in Germania dal fratello a causa di una forma di paralisi che aveva colpito le dita della mano e che fortunatamente fu possibile curare, permettendogli di tornare a suonare e ad incidere (per un totale di circa trenta album, l’ultimo nel 1998) e di trovare lavoro come insegnante di saz. Solo 23 anni dopo fece ritorno in Turchia, accolto come un eroe nazionale. Grazie al ritmo sostenuto, alle sonorità elettriche e agli abbondanti sintetizzatori, “Gece” colpisce per una personalità forte che sa rimescolare, a modo suo, elementi diversi da un passato non troppo remoto e da un’area geografica densa di sfaccettature e declinazioni culturali. Anche le ballate più semplici e lineari, come la delicata “Derdimi Dökersem” piazzata a metà album, sanno coinvolgere per la contagiosa tensione fra liricità e idee ritmiche distribuite fra percussioni e strumenti a corde. Ma mai adagiarsi: il repertorio chiama soprattutto al ballo e te lo ricordano brani come “Kolbastı” che mettono al centro l’animo rockettaro e attento al dancefloor del gruppo. Per lanciare l’album gli Altın Gün hanno scelto come singolo l’ultima traccia, “Süpürgesi Yoncadan“, da tempo inserito nei concerti dal vivo, con uno sviluppo che alterna zone di calma ipnotica e psichedelia incalzante che riprende l’alta energia di “Yolcu”, brano di apertura. In mezzo ci sono ammiccamenti funky, atmosfere disco, classici groove rock: modi diversi per sperimentare a quattro decenni di distanza la generativa energia dei Seventies. 


Alessio Surian

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