Andreas Arnold – Odisea (Galileo Music, 2019)

Gli amanti della chitarra riconosceranno in Andreas Arnold uno straordinario rappresentante di quel tocco fluido e deciso che stringe insieme jazz e flamenco, impostazione classica, esperienza improvvisativa e una visione d’insieme che non lascia nulla al caso. Questo nuovo album “Odisea” (che ci spinge subito a comprenderne la direttrice, fluida anch’essa, rivolta a un grande orizzonte, in parte ignoto, in parte ricercato con convinzione e speranza) segue e approfondisce la strada tracciata dal chitarrista tedesco nei suoi lavori precedenti. Nei quali ha sempre voluto concentrare la scrittura innanzitutto su sé stesso, lasciando confluire nelle sue mani quel getto denso e sinuoso modellato dentro ispirazioni fondamentalmente popolari, sebbene orientato da una visione (che potremmo definire) “colta”, ma comunque permeabile, mai rigida ed esclusiva. L’eco degli strumenti utilizzati nelle nove tracce dell’album ci avvolge e ci conforta proprio in questo senso, suggerendoci un’evidente libertà compositiva e di esecuzione, insieme alla volontà di omaggiare, o più semplicemente, “portare” la voce di tradizioni musicali senza tempo (e, possiamo dire, senza spazio), come il flamenco e il jazz. Il jazz Arnold lo pratica al conservatorio (ad Amsterdam e New York), con maestri e numi tutelari del genere come Mike Stern e John Abercrombie. Il flamenco lo folgora, invece, in tenera età, per tramite di Paco de Lucia. Non lo abbandonerà più, anzi lo seguirà con dedizione, fino a contemplarlo nel profondo con “Ojos Cerrados”, l’album che qualche anno fa ha prodotto insieme al percussionista Carlos Ronda, il bassista Carles Benavent, il fisarmonicista Vitor Goncalves e l’arrangiatore Petros Klampanis. Con “Odisea” Arnold – il cui nome si nasconde anche dietro al New York Flamenco Jazz Project, con cui ha ispezionato una gamma musicale, se possibile, ancora più ampia, comprendente musica andalusa, gitana, ebrea e araba – abbraccia, con un metodo semplice e lineare, un grande Mediterraneo, sia musicale che culturale. Lo abbraccia come sa fare chi ha capito l’importanza della permeabilità nell’espressione musicale. Come sa fare chi ha colto gli elementi che connettono le parti e che, con naturalezza, spingono a concentrarsi su un dialogo proficuo. Se la chitarra classica di Andreas ce lo ricorda a ogni corda pizzicata o percossa, l’intero fluire dei suoni e l’amalgama dei pochi strumenti sono il segno indiscutibile dell’armonia che “Odisea” riesce a rappresentare. Perché ogni passo di ogni brano confluisce in questa traiettoria, che porta con sé una sorta di misticismo legato al pericolo di non sapere, ma anche la sicurezza di sapere di non poter sbagliare. I brani che puntellano questo viaggio verso l’orizzonte ce lo dimostrano ogni volta con soluzioni diverse. Partiamo dalla lunga title track, che si stende per più di otto minuti sui suoni semplici di percussioni (Juan Carmona), tromba (David Encho), basso (Ricardo Pireno) e “palmas” (Lucas e Juan Carmona), tutti incollati dalla chitarra che alterna moduli più ritmati (spesso in unisono con il basso) e melodie più “solitarie” e morbide. Gli interventi della tromba si configurano come elementi imprescindibili all’ampliamento dello spettro sonoro, e in particolare degli arrangiamenti, intervenendo quasi sempre in contrappunto con le voci principali. Uno dei brani più rappresentativi dell’album è senza dubbio “Tangos Arabe”. Innanzitutto perché ha il merito di riassumere in due semplici parole la lunga prospettiva dell’autore. In secondo luogo perché si presenta come denso, articolato, ricco di tutti gli spunti che orientano la scrittura di Arnold. Oltre alla chitarra di quest’ultimo – che riesce a far confluire in un arpeggio sospeso e discontinuo, spesso spezzato con incursioni ritmiche taglienti, l’intera bellezza melodica arabo-andalusa – compaiono le percussioni di Miguel Hiroshi e la voce di Cristian Soto. Le percussioni partecipano con pacatezza, fissando dei punti chiave. La voce, piena e melismatica, è il racconto dell’intero viaggio: immaginato e in parte raccontato, ma non ancora concluso. 


Daniele Cestellini

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