Insieme avevano già firmato l’imprescindibile “Musiche tradizionali del Ponente Ligure” (SquiLibri), commento critico alle storiche registrazioni di Nataletti e Collaer, stiamo parlando di Mauro Balma – etnomusicologo con all’incirca cinquant’anni di studio riservati alle musiche di tradizione orale, con forte predilezione per il canto della sua terra ligure e del territorio appenninico interregionale conosciuto come Quattro Province – e di Giuliano d’Angiolini, compositore e musicologo romano (classe 1960), autore di una bella monografia sulla musica dell’isola greca di Karpathos, di pubblicazioni riguardanti la scrittura musicale dal Medioevo ad oggi e, più di recente, di ricerche inerenti al canto corale nelle Quattro Province.
Adesso, i due firmano “Alle origini del trallalero genovese”, che esce per la collana Geos Books dell’editore friulano Nota. Sull’ornata forma di canto polivocale ‘a squadra’ ligure, decisamente rivitalizzato negli ultimi anni da gruppi storici che hanno ripreso a cantare, ensemble di canterini (e qualche canterina) di nuova costituzione, rassegne, festival e dischi, non sono mancati vari testi di studio. Questo libro intrigante è l’esito di un confronto intenso tra i due ricercatori che sgombra il campo da molte inesattezze sulla genesi del trallalero. Difatti, la domanda di fondo che si pongono Balma e d’Angiolini verte su quali siano le origini di questa polifonia a cinque parti molto elaborata e che relazioni si possono individuare con le tradizioni canore rurali dell’entroterra. Si tratta di questioni non secondarie in tempi di patrimonializzazioni (anche forzate, con caccia ai riconoscimenti UNESCO), di romanticherie passatiste e di manifestazioni identitarie che sovente fanno a botte con la storia e le dinamiche sociali e culturali.
Diciamo subito che il trallalero è una creazione “moderna” di sviluppo ottocentesco, come rimarca d’Angiolini nel saggio d’apertura “Le origini: Genova e l’entroterra”. La tesi condivisa dai due studiosi è che si possa rapportare il trallalero al canto appenninico delle cosiddette Quattro Province. Dunque, c’è un rovesciamento dell’idea di un cantare nato in ambiente portuale che fino a qualche decennio fa trovava credito in molti ambiti. Piuttosto, si mette in evidenza come la struttura del canto possieda diversi elementi in comune con una tipologia di canzone appenninica.
Il saggio si sviluppa come indagine musicologica sulla struttura dei complessi polifonici e delle prassi esecutive, analisi degli sviluppi storici e dei testi dei canti e confronto con le modalità canore dei repertori attestati nelle aree intorno alla grande città marinara. Di grande interesse proprio la comparazione tra il repertorio delle cosiddette bujasche e il trallalero. In sintesi, il trallalero è definito «creazione moderna e autonoma, molto originale e rapidamente evolutiva, che affonda le sue radici in quello stile formale, melodico, armonico, corale, di genere, che Genova doveva inizialmente condividere con le valli che la circondano» (p.37). Va sottolineata anche la cautela con cui gli autori propongono la loro tesi interpretativa della scaturigine di questo originale canto polifonico, pur sostanziandola attraverso non pochi elementi. Balma firma i successivi saggi, contenuti nella sezione intitolata “Dove si formano ‘i bei concerti’” (“Canterini all’opera”, “Dai salotti alle osterie”, “Canterini in ‘famiglia’”, “I canterini in cerca d’autori”, “Maestri e canterini”, “Il ritorno alle origini”). In questa parte del volume lo studioso ligure mette subito in chiaro le cose: il trallalero è sostanzialmente un modo di cantare musiche diverse che sono piaciute ai canterini e ai “maestri” delle squadre di canto. Egli ricostruisce il contatto tra le squadre di canto e l’opera lirica, il rapporto con l’industria culturale e discografica, la diffusione del bel canto nelle piazze e nelle osterie, la relazione con le composizioni d’autore, che producono l’interrelazione tra profili esecutivi, procedure musicali, repertori e ambienti sociali diversi. Da notare come nel ventennio fascista la canzone d’autore in genovese provi a imitare il canone della canzone napoletana che animava la festa di Piedigrotta, “inventando” di fatto una canzone dialettale folkloristica ligure. È un passaggio cruciale che conduce all’elaborazione di un repertorio genovese e che modifica anche tratti sonori dell’assetto canoro delle squadre. L’operazione svela la forte connotazione ideologica che, con l’enfasi sul dialetto identificato come popolare, intendeva ostacolare la presa sul pubblico dei ritmi e delle melodie afro-americane. D’altra parte, Balma aveva ricostruito questa fase di forte condizionamento ideologico delle arti popolari in “Semmo de l’Ïsoa”, volume che ha ricostruito la storia della Squadra dei canterini di Isola del Cantone (uscito sempre per Nota nel 2003).
Il libro è corredato da due CD che raccolgono materiali di Balma provenienti dalla sua pluridecennale ricerca tra capoluogo regionale e valli appenniniche. I ventisette brani del primo CD mettono a confronto diverse interpretazioni (si ascoltano, tra gli altri, Coro di Farini, Cantori delle Quattro Province, Canterini di Voghera, Squadra di Bel Canto Genova Quarto, Squadra di Valpolcevera, Voci del Lesima, Canterini di Ovada, Cantori di Montebruno, Le Voci di confine, Cantori di Bogli) seguendo, dunque, la linea interpretativa tracciata nel lavoro. Il secondo CD porta alla ribalta altre dodici preziose tracce, che documentano alcuni passaggi significativi delle relazioni tra trallalero e canzone d’autore. Tra gli esecutori, incontriamo La Voltrese (“Il pescatore”), Genova Quarto (“Il saluto a Venezia”, “Lolita”, “L’usignolo”, “Miniera”, “Canto d’un muatê”), Giovani di Oregina (“Santa Voce”), La Nuova Mignanego (“Duetto della margherita”), Valopolcevera (“O Citto”), A Lanterna (“Serenata Medievale”), Vecchia Sturla (“Orto di fratti”) e un notevole adattamento polivocale della deandreana “Dolcenera” del Gruppo Spontaneo Trallalero.
Un altro bel tassello della storia (e del presente) musicale della Penisola.
Ciro De Rosa