Sassofonista e compositore con alle spalle una lunga esperienza sulla scena jazz internazionale, Roberto Ottaviano è una delle punte di diamante della scena jazz italiana sia per la sua intensa attività artistica, sia per quella didattica (ha fondato il corso di musica jazz al Conservatorio di Bari di cui è coordinatore da quasi trent’anni). In grado di muoversi con straordinaria abilità nell’alveo della tradizione e nel contempo teso alla continua esplorazione di nuovi improvvisativi, il musicista pugliese, negli ultimi anni, ha indirizzato la sua produzione discografica verso una ricerca musicale a tutto campo spaziando dalle poesie di Vittorino Curci che hanno ispirato “Arcthetics – Soffio Primitivo”, al doppio “Forgotten Matches: The World Of Steve Lacy (1934-2004)” fino a toccare il superbo “Astrolabio” che lo vedeva affiancato da Trovesi, Farris e Godard. Non fanno eccezione i due lavori più recenti “Sideralis”, inciso con un quartetto di musicisti internazionali (Alexander Hawkins, Michael Formanek e Gerry Hemingway) ed ispirato all’opera di John Coltrane, ed “Eternal Love” che guarda alle radici ancestrali della musica africana. Insieme al sassofonista pugliese abbiamo approfondito le ispirazioni e la genesi di queste nuove produzioni.
Partiamo da “Sideralis” come nasce questo album che ti vede affiancato dal pianista inglese Alexander Hawkins e dalla sezione ritmica statunitense con il bassista Michael Formanek al basso e dal batterista Gerry Hemingway?
Nasce dalla voglia di tornare a confrontarmi con una parte importante del mio dna musicale, quello dell'improvvisazione non idiomatica, come si usava dire tempo fa. Non solo gli anni più rilevanti della mia formazione attraverso l'ascolto sono legati a questa pratica, ma anche tante cose che di persona ho realizzato tra gli anni ottanta ed i novanta incrociando alcuni grandi protagonisti di quella stagione come Tony Oxley, Barre Phillips, Radu Malfatti, Andrew Cyrille, Peter Kowald, Barry Altchul, Evan Parker. Volevo però che questo confronto fosse attualizzato attraverso una riflessione critica. Sai ancora oggi si parla di "improvvisazione radicale" e "musica contemporanea" ma pochi tra quelli che la praticano come novità hanno una reale consapevolezza culturale, poetica e tecnica sul cosa fare, e come più di uno ha detto, non si può improvvisare l'improvvisazione...
Il disco percorre i sentieri del post-free rendendo omaggio a John Coltrane. Quali sono state le ispirazioni alla base dei brani di “Sideralis”?
Ad illuminare tutto c'è appunto lo spazio siderale ed un cosmo spirituale disegnato dal Coltrane del dopo Ascension. Credo che questa fase del 'grande illuminato di Hamlet' abbia fornito la chiave di volta per una musica svincolata dai clichèt eppure con un magistrale senso della forma, una musica che ha integrato il free in una narrazione molto comunicativa. Tuttavia la musica di Sideralis è ben poco Coltraniana ed esplora costellazioni diverse, anche se è motivata dalla stessa energia. Sai Coltrane rappresenta un grande punto di riferimento ma sto ancora facendo i conti con la pesante eredità del mio mentore, Steve Lacy. Poche le "composizioni" nel senso più ortodosso del termine, direi solo Vulpecula, Planet Nichols e Berenice's Code. Tutto il resto è un suggerimento, un ambiente, un groove, un perimetro all'interno del quale i musicisti hanno trovato spazio per muoversi secondo le loro individualità pur nell'ascolto reciproco.
Direi che ciò che accomuna i miei lavori è il senso della ricerca. Anche laddove tutto sembra far riferimento ad un codice ben riconoscibile, mi sforzo sempre di andare oltre. Prendi ad esempio il lavoro con gli archi di Soffio Primitivo. Il quartetto d'archi non è quello tradizionale con i due violini, la viola ed il violoncello, bensì comprende un violino, una viola, un violoncello ed un contrabbasso, sono tutti improvvisatori validissimi e la musica è organizzata per dare risalto ad un lavoro corale, contrappuntistico, oserei dire Ellingtoniano. La differenza sostanziale invece risiede nel posizionarsi come scelta cromatica e se propende più verso l'astrazione oppure la concretezza terrigna. In questo senso il quartetto di fiati” Astrolabio” differisce molto da “ArchTetics” di “Soffio Primitivo”. Tutto però era già tracciato in due esperienze, a cavallo tra la fine degli ottanta e l'inizio dei novanta, per me estremamente fondamentali anche se ancora un pochino acerbe: il sestetto di fiati Six Mobiles col quale facemmo uno spettacolare omaggio a Mingus, ed il quartetto con Battaglia, Leveratto e Fioravanti, e poi la mia lunga militanza nei gruppi di due importanti architetti della nuova musica in Europa: l'austriaco Franz Koglmann e lo svizzero Pierre Favre.
Come si è indirizzato il tuo lavoro in fase di composizione ed arrangiamento dei brani di “Sideralis”?
Non ci ho pensato molto su. L'idea e la sua elaborazione su carta è stata immediata, spontanea. Avevo in mente un suono, o direi più un approccio aperto con musicisti di esperienza, con un valido bagaglio alle spalle ed estremamente sensibili. Pensavo ad una alchimia bizzarra tra il quartetto Mujician del pianista inglese Keith Tippett e quello di Wayne Shorter. Credo che in questo senso la squadra con Alexander, Michael e Gerry abbia funzionato molto bene.
Veniamo ora ad "Eternal Love", album ispirato alla tradizione ancestrale che permea la musica africana. Come nasce questo disco?
Con Alexander avevamo già lavorato insieme per l'album “Forgotten Matches”, dedicato a Lacy, con Gerry avevamo suonato insieme e registrato per Koglmann e per il pianista tedesco Georg Graewe, mentre con Michael era la prima volta che collaboravamo. Mi ha dato molto il contributo di ognuno alla resa generale del gruppo ed una certa intesa telepatica nella totale serenità dell'atmosfera. Il passaggio ad “Eternal Love”, per quanto strano possa sembrare, ne è stata una naturale conseguenza. Provare a suonare un "repertorio", con la stessa libertà delle mie "non composizioni" di “Sideralis”. Poi c'è stata questa voglia di testimoniare, con la musica, un legame forte e militante con una umanità in faticosa ricerca di sè stessa attraverso mille contraddizioni. Quindi quale miglior riferimento se non l'Africa e questi autori che hanno tracciato un solco ?
Ci puoi raccontare come è nata la collaborazione con gli strumentisti che compongono il quintetto: il clarinettista Marco Colonna, il pianista Alexander Hawkins, il contrabbassista Giovanni Maier e il batterista Zeno De Rossi?
Anche in questo caso c'erano frequentazioni più o meno antiche. Con Maier suoniamo insieme da almeno una ventina d'anni credo, con Zeno ci siamo incrociati alcune volte e poi ho cominciato con lo sperimentare il team ritmico insieme a Giovanni. Di Alexander abbiamo già detto, la vera novità è stata Marco Colonna. Seguivo le sue cose già da un po' ed ho voluto coinvolgerlo in un mio progetto già alla fine del 2017. Ho suonato in coppia con tantissimi trombonisti, con alcuni trombettisti, ma mai mi era capitato di condividere la "front line" con un clarinettista. Da subito abbiamo capito che si verificava una speciale alchimia tra i nostri suoni e quindi mi sono detto, Marco deve esserci. Come gli altri compagni di questo gruppo, Marco è una persona speciale.
Nel disco sono presenti sei riletture dai repertori di Abdullah Ibrahim ("African Marketplace"), Charlie Haden ("Chariman Mao"), Dewey Redman ("Mushi Mushi"), Elton Dea ("Oasis"), Don Cherry ("Until the rain comes" e ovviamente John Coltrane ("Your Lady"). Qual è stato il criterio che hai utilizzato nella scelta di questi brani?
Nessun criterio particolare. Di questi autori, come di altri che mi sarebbe piaciuto inserire, avrei potuto scegliere tra diecine di brani diversi.
Alla fine ho selezionato questi che, nel percorso, generano un feedback particolarmente evocativo. Poi il quintetto dal vivo si sbizzarrisce ed è sintomatico quel che viene fuori quando facciamo i sound check sul palco. Sembriamo una vecchia Territory Band che si trasforma in men che non si dica in un gruppo da camera di stampo Weberniano...
A completare l’album sono due composizioni originali "Questionable 2" ed "Eternal Love”. Ci puoi raccontare questi due brani?
“Questionable 2” sembra davvero uscito da Sideralis ed ha una incidenza poliritmica molto urbana. Qui Alexander suona il fender rodhes. “Eternal Love” è un brano in trio con Giovanni che con l'arco sviluppa un aura sinfonica mentre Zeno suona sul rullante una serie di pattern di marcia che ora salgono di dinamica e ora sfumano. Le melodia dolente è una specie di nenìa dedicata ai caduti in senso lato.
Nella presentazione del disco scrivi: “È la prima volta che sento il bisogno di un "bagno mistico" in cui il Jazz si fa infine Musica Totale, ma sopratutto travalica l'idea fine a sè stessa di fare musica, per scavare a fondo nel nostro ego e per capire se esiste un "noi" universale da cui ripartire”. Ci spieghi il percorso che ti ha condotto a questa indagine introspettiva attraverso la musica?
È un bisogno che va oltre la musica ma che, essendo un musicista, non può che tradursi in quel che so fare meglio. Stiamo attraversando un momento molto difficile per il pianeta, per gli esseri umani, tutte le conflittualità si vanno trasformando e polverizzando ovunque. Tutti urlano e la violenza, che traspare nei gesti e nelle parole, non esplode a livello globale solo per un miracoloso istinto di conservazione, e forse solo perchè la gente teme di perdere il privilegio di poter usare la sua carta di credito con la quale è stata messa al guinzaglio già da tempo. E siccome siamo ad un tanto così dal buio e sembriamo non accorgerci di scherzare col fuoco, credo fermamente che ogni idea, ogni gesto, ogni parola, ogni suono, deve porsi come un imperativo verso l'amore e contro l'autodistruzione. Qui condivido quel che Enrico Rava mi diceva qualche mese fa: "Cos'altro possiamo fare con la musica se non far stare bene le persone?".
Concludendo quali sono i tuoi progetti futuri?
Con “Eternal Love” mi piacerebbe fare un live, magari anche doppio. Di recente in Sicilia, abbiamo fatto un concerto diverso dall'altro. Ogni sera era un laboratorio. Penso che questo gruppo dal vivo possa dare il meglio di sè. In Primavera ci sono in ballo due cose importanti, l'omaggio al regista John Cassavetes, in quintetto con Filippo Vignato al trombone, Alex al piano, Formanek al c.basso e Nasheet Waits alla batteria; poi l'orchestra Sonic Hologram, nella quale vorrei coinvolgere buona parte degli artisti con cui ho collaborato in questi ultimi anni da Soffio Primitivo ad Astrolabio ad Eternal Love più altri e per cui sto scrivendo molta musica originale; infine ancora due idee embrionali che forse si concretizzeranno entro l'anno, un trio con Anat Fort e Pierre Favre ed un quartetto pianoless con Rava e Louis Moholo.
Roberto Ottaviano Quarktet – Sideralis (Dodicilune/I.R.D., 2017)
A distanza di cinque anni dal pregevole doppio album “Forgotten Matches: The World Of Steve Lacy (1934-2004)” dedicato all’opera di Steve Lacy, Roberto Ottaviano rende omaggio a John Coltrane nel cinquantesimo anniversario dalla morte con “Sideralis”, album che tiene a battesimo il Quarktet, quartetto post-free di grande spessore internazionale, nato dalla collaborazione con il pianista inglese Alexander Hawkins e con una sezione ritmica tutta statunitense composta dal bassista Michael Formanek e dal batterista Gerry Hemingway. Registrato il 15 maggio 2016 negli studi Artesuono di Cavalicco (Ud), il disco mette in fila dieci composizioni originali, caratterizzati da una continua tensione verso la ricerca sonora e nei quali il sassofonista barese torna ad imbracciare, oltre al sax soprano, anche il sopranino, l’alto e il baritono, aprendosi ad ulteriori e preziose possibilità timbriche. Accolti dalla poetica dedica riportata nella copertina (“I want to express my deepest gratitude to one of the first space voyager, which infinite search still is a serafic light in this dark dark times. John Coltrane who passed away in July 24 1967.”), il disco vede la voce strumentale del leader guidare il quartetto in una coinvolgente esplorazione del cosmo, tracciando immaginifiche rotte attraverso le orbite siderali in un continuo gioco di temi ora frammentati ora sospesi, suoni acidi ed esplosioni sonore all’unisono. Aperto dal brillante omaggio a Steve Lacy con “Vulpecula” e dalla melodia di “Berenice's Code“, il disco ci conduce in un vero e proprio viaggio nell’universo del jazz contemporaneo come dimostrano le dediche a Herbie Nichols con l’improvvisazione boogie “Planet Nichols, a John Lee Hooker con il blues di “Planet John Lee Hooker” e a Duke Ellington con la sontuosa “Ellingtonia”. Di brano in brano, il sassofono di Ottaviano conduce il Quarket verso l’improvvisazione libera giungendo agli otto minuti della title-track che evocano l’infinito intangibile.
Roberto Ottaviano – Eternal Love (Dodicilune/I.R.D., 2018)
“Quando Françis Bebey, musicista, scrittore e giornalista camerunense, che ho avuto la fortuna e l'onore di conoscere, agitava la sua Mbira lasciando risuonare al suo interno dei frammenti di ossa come dei sonagli, amava dire che quello è il suono dei morti che non sono morti, nel senso che non ci abbandonano ma anzi ci guidano nel peregrinaggio della nostra esistenza. Nella cosmogonia Africana questo è l'Eternal Love”. Così Roberto Ottaviano presenta, nelle note di copertina, il suo nuovo lavoro “Eternal Love”, album registrato in quintetto con Giovanni Maier (contrabbasso), Alexander Hawkins (piano, rhodes, hammond), Marco Colonna (clarinetto e clarinetto basso), e Zeno De Rossi (batteria). Rispetto ai precedenti “Sideralis” e “Astrolabio” che esploravano nuovi territori sonori partendo da precisi progetti di ricerca, questo nuovo lavoro ha un taglio più riflessivo ed introspettivo, segnando l’approdo del sassofonista e compositore pugliese verso la mistica del jazz, come lui stesso sottolinea: “Come in una preghiera o una evocazione, il suono di questo gruppo come quello della Mbira di Francis, richiama ad una presenza tangibile tutta la bellezza fiera e battagliera della madre terra e delle sue migliori anime per celebrare in questi tempi difficili, la speranza e la voglia di riscatto del genere umano. È la prima volta che sento il bisogno di un "bagno mistico" in cui il Jazz si fa infine Musica Totale, ma soprattutto travalica l'idea fine a sé stessa di fare musica, per scavare a fondo nel nostro ego e per capire se esiste un "noi" universale da cui ripartire”. Aperto dal brano tradizionale africano “Uhuru” che ci schiude le porte al viaggio nell’interiorità, il disco ci regala subito uno dei suoi vertici con “African Marketplace” di Abdullah Ibrahim, in cui spicca l’assolo di Maier, per poi schiuderci le porte a “Chairman Mao” di Charlie Haden in cui giganteggia il piano di Hawkins. Si prosegue con “Mushi Mushi” di Dewey Redman che ci regala il bel dialogo tra il soprano di Ottaviano e il clarinetto basso di Colonna, spinto dalla ritmica potente di De Rossi, e la bella rilettura di “Oasis” di Elton Dean per giungere alla ipnotica “Questionable 2” e l’intensa title-track, entambe firmate da Roberto Ottaviano. C’è, però, ancora tempo per altre due perle “Your Lady” di John Coltrane e “Until The Rain Comes” di Don Cherry che completano un disco di grande spessore che si inserisce a pieno titolo tra gli esempi più interessanti del jazz moderno. Assolutamente consigliato!
Salvatore Esposito