Nizar Rohana Trio, Festival Old Roots & New Routes, Amstelkerk, Amsterdam, 25 gennaio 2019

Promossa da Dutch Delta Sounds (DutchDeltaSounds.nl) la seconda edizione del festival Old Roots & New Routes ha messo in programma sette ottimi concerti fra gennaio e maggio 2019. Il secondo concerto, il 25 gennaio, ha offerto l’ascolto del trio di Nizar Rohana, ud, con Matyas Szandai al contrabbasso e Wassim Halal ai daf. Palestinese, nei Paesi Bassi da oltre cinque anni per il percorso di dottorato che l’Università di Leiden offre ad artisti, Nizar Rohana ha all’attivo due dischi eloquenti sulle sue doti di compositore, la sua maestria nel suonare l’ud, la conoscenza della tradizione in questo ambito. “Sard” (Narrare) è del 2008. Partendo dal suo strumento, Rohana intreccia emozionanti dialoghi con contrabbasso, qanoun e percussioni a partire da cinque sue composizioni e da brani di Jamil Al Tambouri e Ahmad Qaabour. Nel 2015, negli studi Music Unit di Parigi, con Cyril Harrison, ha registrato “Furāt” (dedicato all’Eufrate e al fluire del fiume). Anche in questo caso, l’album è un’opportunità per dar corpo ai brani composti da Rohana e per un omaggio alla tradizione, quella ottomana di Tanburi Cemil Bey. Nell’album lo accompagnano Matyas Szandai e Wassim Halal ed il concerto all’Amstelkerk in loro compagnia ha attinto a piene mani a questa splendida incisione e alla sua architettura. 
Come per il cd, il concerto è stato aperto da “Madar Hijaz” e chiuso da “Jurjina Bayati”: un inizio di reciproco ascolto, di esplorazione del notevole spazio sonoro dell’ex chiesa sull’Amstel e di esposizione di alcuni elementi che caratterizzano “Furat” come l’alternanza di parti scritte e improvvisate, di cambi di passo punteggiati da ingegnosi staccati e contrappunti, di grande padronanza delle dinamiche di volume; ed un finale in crescendo, accentuato da un trascinante e ballabile bis, che trasmette il piacere di rileggere con occhi nuovi i ritmi della tradizione. Anche l’intreccio delle tre personalità sul palco contribuisce a mantenere sempre viva l’attenzione, con gli interventi sempre puntuali, ingegnosi, a tratti divertenti di  Wassim Halal e i contributi più meditativi Matyas Szandai, attenti a percorrere, anche con l’archetto, tutto lo spettro armonico a disposizione e ad inventare nuove cellule ritmiche e melodiche complementari a quelle offerte dalle partiture. L’ud di Nizar Rohana è allo stesso tempo il protagonista e l’ago della bilancia, capace di aprire i momenti in duo o in trio a ampi spazi improvvisativi, ma anche di serrare le fila e rendere specifica la lettura musicale dei suoi personali paesaggi sonori, si tratti di rendere omaggio agli ulivi, come in “Emm el Zeinat”, o di raggiungere sulla mappa la città siriana di “Mayadin”, 
o di rendere omaggio a Tanburi Cemil Bey con  “Samā‘ī Muḥayyar”. Il risultato è un flusso musicale che sa tenere in proficua tensione la perizia strumentale e ritmica con gli elementi colti e l’acuta capacità narrativa dei tre protagonisti, sia individualmente, sia nell’interplay che sanno offrire e rinnovare ad ogni brano. A breve, il 2 febbario, Nizar Rohana  sarà di nuovo ad Amsterdam, ospite del Salon Joussour insieme a Kiya Tabassian, virtuoso iraniano del setar per un’intervista e una riflessione congiunta sulle tradizioni musicali persiane ed arabe e per un concerto con il bassista Tony Overwater e il clarinettista Maarten Ornstein. Il prossimo appuntamento del festival Old Roots & New Routes, nella sala De Duif ad Amsterdam, sarà il 22 febbraio con l’ensemble Caravan condotto dal pianista Julian Schneemann.

Qualche domanda a Nizar Rohana

Come avete dato vita a questo trio e al vostro disco?
Ho incontrato Wassim a Ginevra nel 2010 in un progetto che ci coinvolgeva entrambi. Sentivamo che suonare insieme avveniva in modo molto fluido e naturale. Abbiamo suonato come duo in alcuni concerti, poi Wassim ha incontrato Matyas e ha proposto di allargare il gruppo. Abbiamo lavorato sul nostro suono come gruppo per un paio d’anni prima di decidere di registrare un album che mi vedesse in veste di compositore e arrangiatore. E’ così che è nato “Furat” (Euphrates).

In che modo il concerto dal vivo si distingue dal vostro lavoro in studio?
Il nostro repertorio si basa sull’album “Furat” e comincia nello stesso modo in cui apriamo il disco. Ma al centro del concerto esploro il mio primo album, “Sard” con un solo di ud, “Ajam” e con una versione per trio di “Emm el Zeinat”. Inoltre, suoniamo “Suq Harj”, dalla tradizione irachena. Nell’album la musica è più centrata sulle composizioni In concerto lasciamo maggiore spazio all’improvvisazione. 
In questo modo, dal vivo, chi ascolta senza aver molta cognizione riguardo a questa musiche si può fare una migliore idea sulle loro origini, come si sono trasformate e come stanno evolvendo. Nell’album, invece, si ascolta direttamente il “nuovo” brano e meno il processo che l’ha generato. In questo senso, l’album e il concerto sono sia due  diverse esperienze musicali, sia la stessa esperienza.

Come sta rispondendo il pubblico europeo alla vostra musica?
Anche se la musica di questo trio è soprattutto uno sviluppo di tradizioni mediorientali, finora il pubblico ha mostrato molto entusiasmo in diverse parti del mondo e specialmente in Europa. Personalmente, in genere, non credo nel detto che la musica sia un linguaggio universale. Ma forse a volte questo succede e la nostra musica sembra testimoniarlo. Non è qualcosa di facile da raggiungere: comporta un processo ampio e un duro lavoro.

Ci puoi parlare dei tuoi studi accademici e di come si relazionano alla musica che fai?
Nella mia ricerca provo a continuare a sviluppare ed ad arricchire le mie capacità di improvvisare e comporre e la mia tecnica, lavorando ad una cornice che mi permetta di continuare ad allargare il mio repertorio. Lo faccio analizzando le improvvisazioni di due delle figure chiave fra i virtuosi di ud del XX secolo, gli egiziani Muhammad al-Qasabji (1892-1966) e Riyad al-Sunbati (1906-1981). Oltre a questo lavoro, analizzo le composizioni chiave che oggi formano il repertorio standard e più diffuso per l’ud.

Alessio Surian

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