Il loro primo disco eponimo, “Elva Lutza” (2012), è stato accompagnato da riscontri straordinari di critica e pubblico. Gli inglesi direbbero: “They have took the [folk] world by storm”. Con la loro intraprendente metafora botanica, gli Elva Lutza sprigionano una world music minimale nel suo essere concepita per tromba, chitarra e voce (anzi nell’album d’esordio di voci magistrali ce ne erano tante). Il loro è un sound mai ridondante, sviluppato per sottrazione, distinto per le calde sfumature melodiche, la traboccante di liricità e il senso della memoria (non solo folk); tratti che costituiscono l’ossatura delle composizioni originali e della rilettura di repertori folklorici nel cui reticolo sonoro entrano dialetti sardi (logudorese e sassarese-turritano), motivi sefarditi, stilemi jazz e aperture balcaniche, oltre all’imprescindibile lezione chitarristica del folk revival inglese. Vincitori del Premio Parodi (2011) e ben piazzati discograficamente nel Premio Nazionale Città di Loano (2013), in seguito, gli Elva Lutza allestiscono “Est Torrende su Beranu”, un’opera-folk sulla figura di Gavino de Delunas e degli altri martiri sardi dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Incidono, poi, “Amada”, in collaborazione con il raffinato e carismatico cantante occitano Renat Sette. Ora, è la volta di “Cancionero” (Tronos digital/Felmay), prodotto dall’incontro umano e artistico tra l’attrice e cantante catalana Ester Formosa (già una delle voci magistrali che riempivano il disco d’esordio) e i due sassaresi Nico Casu (tromba, voce) e Gianluca Dessì (chitarre). Con loro ci sono anche l’organetto di Riccardo Tesi, le percussioni di Bruno Piccinnu e i fiati di Dante Cossu (clarinetto), Michele Giordano (corno) e GiovanniBecciu (basso-tyuba).

Con quale spirito vi siete ritrovati per questo album?
Nico. È il caso di dire: con entusiasmo. Non è stato chiaro da subito ma durante la preparazione del disco ci appariva sempre più evidente che i quattro anni dalla pubblicazione di “Amada” avevano fatto maturare l’esigenza di tornare in sala di registrazione. Sono sette anni che collaboriamo con Ester Formosa e questa collaborazione faceva proprio al caso nostro. Finito di registrare ci siamo accorti di aspettare con emozione il riscontro di pubblico e di critica; Gianluca ed io per i quattro anni di attesa, Ester perché incideva il suo primo disco fuori dalla Cataluña.
Quale è il progetto? Come è nata la scelta dei brani?
Nico. Il progetto è semplice: rileggere i classici e rendere “classici” i brani recenti e quelli originali. La scelta è legata alla memoria e alla nostra formazione.
Gianluca. Sì. L’idea era quella di fare un disco di canzoni, facendo nostri alcuni classici, riproponendo cose che facevano parte dei nostri live già da anni - i brani sefarditi per esempio - e provando a inserire un paio di brani originali nati per la voce di Ester: “Cucurutxu” e “A su Tramontu”. E poi il progetto era anche presentare Ester al pubblico italiano; magari il repertorio può sembrare un po’ eterogeneo ma esiste un percorso, che parte dai brani che Ester sentiva cantati dalla mamma e dalla nonna, passa per il repertorio catalano classico - come “Exili” di Luis Llach - e alla canzone latino americana, e arriva alla scoperta dei brani d’autore italiani. In realtà Ester aveva già cantato Paolo Conte in precedenti lavori usciti solo in Spagna.
In questo percorso che è anche una babele di suoni e ispirazioni musicali esiste, quindi, un filo conduttore!
Nico. Il filo conduttore principale è di carattere musicale e prende per riferimento la bellezza della melodia. Siamo convinti che una bella melodia possa sopperire a un testo non particolarmente felice e che possa anzi essere veicolo efficace del testo stesso. In questo caso però, lasciatevelo dire, anche i testi sono bellissimi.

Nell’album la voce femminile è centrale. Cosa porta Ester nella sua valigia di artista catalana?
Nico. Sì, la voce di Ester è centrale ed essendo la sua voce elegante e mai aggressiva, tutto si conforma a questa cifra. Ester nella sua valigia porta la tradizione catalana e spagnola - couplet, zarzuelas, coplas eccetera - e le canzoni popolari che ha ascoltato fin dalla sua infanzia, attraverso i dischi e le voci di sua madre e di sua nonna, come accennava prima Gianluca. E poi porta l’esperienza del teatro: le canzoni da Cabaret, i poeti e i cantautori, non solo catalani.
Gianluca. Ester ci conosce fin troppo bene e si è fidata; suoniamo insieme dal vivo da tanti anni e alla fine sopporta anche le nostre bambinate.
La chitarra di Gianluca si muove tra moduli di folk inglese e mondo sardo. Quali sono i rapporti con la tradizione isolana, soprattutto del nord della Sardegna?
Gianluca. Posso dire di avere tre punti di riferimento: il mondo sonoro del folk d’autore inglese anni ‘60/’70 (Bert Jansch, Nick Drake, John Martyn), la musica dell’Est Europa, in particolare della Bulgaria, dove ho vissuto e dove ho scritto la mia tesi di laurea sui ritmi irregolari - che per loro sono regolarissimi - e la Sardegna. Suonando con il longevo gruppo di world music Cordas et Cannas ho approfondito i repertori da ballo; Nico e io facciamo parecchie cose mutuate dai repertori a chitarra: il cosiddetto "Canto in Re".
Nico. E infatti, dal canto mio, posso dire di avere a mente le melodie delle musiche della Sardegna, soprattutto dei canti a chitarra. Il merito è di mio padre, che era un appassionato e, oltre a possedere molte audiocassette, seguiva le esibizioni dei migliori cantanti e poeti improvvisatori; lui stesso era un buon interprete.

Nico. In effetti abbiamo equilibrato le distanze geografiche e quindi stilistiche. Non è stato particolarmente difficile: abbiamo semplicemente trattato questi brani come se li avessimo scritti noi, oggi, con la sensibilità e il gusto che ci guida, fino al punto in cui sentiamo che, semplicemente, il brano è compiuto. Tra dieci anni potrebbe essere diverso e, anzi, dovrebbe essere così a rigore. Per quanto riguarda il suono, è minimale giocoforza, perché minimo è l’organico. E questo ci costringe, piacevolmente, a concentrare l’ attenzione sulle sfumature e sulla intensità dell’interpretazione. Su ogni frase.
Gianluca. Ma sì. Lo strumentario ridotto è, paradossalmente, un vantaggio: sappiamo cosa siamo o non siamo in grado di fare con i pochi mezzi che abbiamo. Il rischio è cadere nell’accompagnamento da... spiaggia, ma per fortuna, questo non è mai accaduto. Anziché aggiungere siamo costretti a lavorare “per sottrazione”, ma , credo, abbiamo raggiunto un equilibrio di suono che copre quasi tutte le frequenze. Io suono fingerstyle, per cui riesco a tenere indipendenti la parte melodica e quella armonica e di contrappunto, tramite dei bassi molto presenti. A volte diamo l’illusione acustica che sia presente anche un contrabbasso; inoltre nel live fa parte della squadra anche il percussionista Bruno Piccinnu, dei Cordas et Cannas, che, oltre a costringerci ad andare a tempo, rende il suono più accattivante, pur usando un set minimalissimo.
Nico. Luis Llach è forse il più grande cantautore catalano. Citarlo nel nostro canzoniere era d’obbligo. Il momento delicato che vive attualmente la Cataluña rendeva ancor più pressante la presenza di questo artista, che ha sempre dichiarato il desiderio di appartenere a una Cataluña indipendente, affrancata dalla monarchia dei Borbone, figlia del Franchismo.
Inevitabile chiedervi, come mai avete scelto un inizio inusitato con “Cielito Lindo”?
Gianluca. L’idea di misurarsi con un classicone è sempre interessante. Una strofa è stata ri-scritta e anche nella parte armonica e melodica ci siamo presi delle licenze.
Nico. Alcune canzoni contengono un segreto che non si può spiegare, fatto sta che fanno il giro del mondo e durano nel tempo. Dobbiamo per forza riconoscer loro una qualche grandezza, anche se si tratta di forme semplici, e accostarle con rispetto. Si tratta di piccoli capolavori di “arte povera”. Riuscire a reinterpretarle dando loro una veste personale è un piacere molto simile a quello che provano i jazzisti nel rileggere un motivetto tratto da un musical.
E da dove arriva l’incursione nella canzone d’autore di Stefano Rosso? Chi lo ama così tanto? E Bruno Lauzi?
Gianluca. Io sono un grande fan di Stefano Rosso: ci sono tre dischi che venero come capolavori. Penso che se ne parli troppo poco e invece credo che i suoi dischi migliori siano di livello stratosferico.

Nico. Nei brani di Rosso e Lauzi avvertiamo la possibilità che possano diventare “classici”, anche se sono considerati minori nella produzione dei due artisti. Da questo punto di vista riproporli è il nostro piccolo contributo.
Come è caduta la scelta su “Lune”, scritta a quattro mani da Carlo Muratori e Riccardo Tesi?
Nico. Riccardo Tesi è un amico oltre che un maestro: volevamo averlo nel disco e abbiamo pensato di ricambiare rendendogli omaggio.
Gianluca. Sì! Riccardo è un amico di lunghissima data. Io lo frequento da venticinque anni. “Lune” è un omaggio e un ringraziamento a lui, che è uno dei grandi della world Italiana. E poi è un nostro sostenitore da sempre. Suona anche in “A su Tramontu”, in un solo che ricorda un meraviglioso notturno di Chopin.
“Cucurutxu” è forse la canzone di punta di tutto il disco. Come nasce?
Nico. Cucurutxu è il gelato nel cono. Ed è il soprannome della nipote di Ester, che si chiama Agnes e da piccola si buttava sui gelati fino a diventare ella stessa un gelato. L’ispirazione musicale arriva dalla “Moresca del Gatto” di Roberto de Simone e nasce per assonanza tra le parole “cucurutxu” e “cucurucu miao miao”, che è appunto il ritornello della Moresca. Anche il testo è legato a una villanella della Gatta Cenerentola, che si ripromette di acchiappare il suo “suricillo”, cioè il suo topolino: in “Cucurutxu” la fanciulla tesse una ragnatela dove cadrà un giovane ricco e innamorato; si tratta di un tema largamente presente nelle canzoni popolari di tutto il mondo.
Gianluca. È il mio brano preferito, il brano più “Elva Lutza” del disco.

Gianluca. “A Su Tramontu” è l’altro originale del disco, un modulo melodico mutuato dal “Canto in Re”: è un brano che descrive il riposo dopo l’amore. Armonicamente è talmente complesso che ancora devo leggere lo spartito quando lo suono. “Drume” invece è un mash-up di tre ninna nanne; la prima è catalana ed è un brano natalizio che si chiama “El Noi de la Mare”: da sempre fa parte dei nostri concerti; poi c’è "Drume Negrita", canzone del pianista cubano Bola De Nieve; infine una ninna nanna sarda molto conosciuta: "Du Pizzineddu".
Nico. Le ninna nanne sono un capitolo importante nella musica popolare e legarle ci sembrava una scelta naturale. Le tre melodie si inseguono e si incrociano a significare la medesima funzione. E poi è anche un divertimento squisitamente musicale.
Ci avviciniamo al finale. Qualcuno si chiederà ancora come nasce il vostro nome?
Nico. Era il lontano millenovecentottantasette, era notte e faceva freddo, il vento turbinava fuori dalla nostra sala prove, senza riscaldamento e con il tetto malandato, avevamo la febbre e neanche un soldo per le medicine, la disperazione stava per prendere il sopravvento e … no, scusa, forse ho perso il filo… quale era la domanda?
… come nasce il vostro nome?
Nico. Gianluca, te lo ricordi?

Ebbene, quale sarà la vostra prossima Erba Voglio?
Gianluca. Magari un disco in duo, perché abbiamo un sacco di materiale inedito. Nel frattempo firmiamo la colonna sonora di “Der Boxer”, spettacolo teatrale dell’attore Michele Vargiu: la storia di Johan Trollman, pugile zingaro e campione tedesco di boxe, durante gli anni del Nazismo.
Nico. E d’altronde se è Elva Lutza.. fiorirà.
Ciro de Rosa ed Elisabetta Malantrucco
Ester Formosa & Elva Lutza – Cancionero (Tronos Digital/Felmay, 2018)

Ciro De Rosa