Labelle – Univers-île (InFiné, 2017)

Il produttore dell’isola di Reunion torna con un album ipnotico che spazia da sentori ambient a sincopi africane con il supporto di ospiti d’eccellenza, locali e non. Il disco si apre con “Kou d’zèl”, un’introduzione d’atmosfera con riverberi avvolgenti. Un bordone armonico di reminiscenza indiana e un accenno ritmico, che squilla dallo sfregamento o dalla percussione di metallo, aprono la strada alla voce quasi meditativa di Zanmari Baré, celebre cantante dell’isola. Segue un altro cantato dal gusto completamente diverso, “Benoîte”, che ospita l’artista Nathalie Natiembé. Il ritmo è più scandito ma rimane sincopato, l’atmosfera ammaliante proviene stavolta da un intreccio di melodie in loop esposte da diversi midi. Il pezzo prende una forma più pop ed è stato scelto, non a caso, come singolo per il video. Nonostante un’apertura canora, buona parte dell’album rimane strumentale, pur non perdendo le qualità che contraddistinguono il sound di Labelle. Il produttore trae ispirazione dall’ambiente che lo circonda, utilizzando frequentemente campionature di oggetti di uso quotidiano o della natura. È il caso di “Observateur”, traccia dal passo lento, dato dall’assenza di pulsazione ritmica che esalta il cospicuo sovrapporsi di sound effects e suoni naturalistici. Ad influenzare Labelle non è solamente l’intorno fisico: pur essendo di nazionalità francese gli abitanti dell’isola di La Reunion sono di fatto a stretto contatto con culture, gusti ed espressioni africane, soprattutto a livello musicale. Il risultato è un’elettronica delicata ma graffiante, talvolta poliritmica ed acustica. “Èveil” e “Babette” stratificano sapientemente diversi ritmi, proponendosi come tracce più ballerine e di matrice chiaramente africana. Non mancano white noises ed effettistica in background, collanti fondamentali per la coerenza di questo disco, ed in generale per il gusto ambient dell’artista. La passione per questo stile è palesata in più istanze in diversi pezzi del disco, ma si cristallizza nella sua forma più pura in “Noûs”. Il brano è il più filmico, sullo stile di Hans Zimmer. Qui l’artista ricrea sonorità sovrapposte in una spirale a dinamica crescente non dissimile a quella architettata dal compositore tedesco per il film Interstellar. A chiudere il disco troviamo “Gran Maître” che vanta la prestigiosa partecipazione di Ballaké Sissoko, celebre virtuoso della Kora. L’unione dei timbri e dei linguaggi modella una chiusura calda e confortevole in una sintesi fedele all’intenzione generale del disco e alle sue dinamiche interne.


Edoardo Marcarini

Posta un commento

Nuova Vecchia