We Banjo 3 – Haven (Autoprodotto, 2018)

Per dare punti di riferimento a chi non conosce questa very hot band irlandese attiva dal 2011, diciamo che il quartetto è composto da due coppie di fratelli originari di Galway, David (voce principale e chitarra) e Martin Howley (mandolino, banjo e voce), Fergal (violino, percussioni e voce) e Enda Scahill (banjo e voce). Il quartetto ha realizzato quattro acclamati album: “Roots of the Banjo Tree” (2012), “Gather the Good” (2014), “Live in Galway” (2015) e “String Theory” (2016). Se da un lato il nuovo lavoro – intitolato “Haven” – trova punti di continuità con il passato per la fusione di Irish traditional music, bluegrass e oldtime music, dall’altro la band si spinge oltre questa continuità transoceanica (com’è noto i folk festival degli States offrono un mercato ineguagliabile per la musica irlandese dal vivo), andando a registrare nel Maryland, co-producendo il disco con Frank Marchand e Bryan Sutton, chitarrista bluegrass già accanto a Ricky Scaggs. I punti di distacco dai precedenti lavori sono nella scrittura, che comprende materiali inediti, firmati dagli stessi musicisti (con qualche aiuto), una più consistente dose di canzoni rispetto agli strumentali e una più marcata presenza degli ottoni (tromba, trombone e sassofono) che in passato. Insomma, i We Banjo 3 ampliano con grande efficacia il loro sound “celtgrass”, che resta comunque centrato su arrangiamenti dominati dai cordofoni. Di questa nuova apertura, l’iniziale titolo guida, “Haven”, è l’esempio. Attaccano con l’accattivante luccichio del mandolino, poi dentro la voce solista, il violino, l’upright bass di Scott Mulvahill, i fiati (Jon Lampley, Dan White e Chris Ott) e un coro di quelli irresistibili. Le armonie vocali dominano anche la successiva “Light in the Sky”. Invece i banjo risalgono in primo piano nello strumentale “Sugar House”, dove si mette in mostra anche la chitarra di David Howley e al quartetto si unisce il basso di Trevor Hutchinson (Wateboys e Lùnasa). Di nuovo in territorio Americana con “War of Love”, featuring la voce di Sierra Hull e il basso di Mark Fain. Il successivo strumentale, “Annabelle’s Cannon”, coglie nel segno con i suoi cambiamenti di tempo. “Pack it up” e “Sunflower” sono altre due canzoni ben costruite, dal sapore folk-pop, peraltro molto radiofoniche, se solo i programmatori mainstream avessero orecchie e mano libera dai condizionamenti delle label e degli uffici stampa. Volano alto i We Banjo 3 nel valzer “Marry Me Monday”, scritto dal violinista Fergal per il suo matrimonio: qui l’archetto dello stesso Fergal Scahill è protagonista con il mandolino di Martin Howley, mentre Bryan Sutton alla chitarra e il violoncello di Erin Snedecor sono il valore aggiunto in quello che è uno dei brani di punta dell’album. Dopo la song “Don’t let Me Down”, c’è lo strumentale “Dawn Breaks”, composto da tre temi, che riporta la bilancia in Irlanda. Nel primo jig il banjo e il violino sono strumenti guida e la chitarra a sostegno ritmico; si cambia nella parte centrale del brano con l’ingresso dei fiati e con il passaggio a “The High Heather”, la seconda melodia, dominata da uno violino pregno di swing. Infine, “Barr Trá Reel” con percussioni e sezioni fiati attivi ci riportano alla grande nell’isola verde. La canzone “Hold On To Your Soul” mette la parola fine a un album ambizioso, ben confezionato, di fattura acustica, ben suonato, di ascolto senz’altro piacevole, che porterà nuovi estimatori al quartetto di Galway. www.webanjo3.com 


Ciro De Rosa

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