Ammar 808 – Maghreb United (Glitterbeat, 2018)

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C’era una volta, neppure tanto tempo fa (era il 2017), Bargou 08, il cui “Targ”, ha scosso la scena world music con il suo mélange di ritmi tradizionali del nord-ovest tunisino, elettronica e post-rock. Messa alle spalle quella esperienza, Sofyann Ben Youssef, visionario produttore di Djerba, residente a Bruxelles, attivo anche con la Sahara rock-blues band Kel Assouf, si ripropone con il moniker di Ammar 808, che è l’incarnazione del nuovo collettivo, questa volta pan-maghrebino, che allinea tre voci: il marocchino originario di Agadir, Mehdi Nassouli (un maâlem che suona anche il gumbri, il basso a tre corde, strumento sacro delle confraternite gnaoua), l’algerino di Orano Sofiane Saidi, imbevuto di umori raï, e il compatriota di Tunisi, Cheb Hassen Tej, cui si aggiungono il flauto gasba e l’oboe popolare zokra, suonati da Lassaed Bougalmi (già in Bargou 08), e i cori dei marocchini Khalida Amrah e Yassine Gonzal. Certamente, il pensiero va alle passate avventure nelle combinazioni soniche, che hanno incastrato elettronica e ritmi nord-africani, espresse ad esempio da U-Cef alcuni decenni fa, ma ciò detto, “Maghreb United” si configura come nuovo travolgente capitolo dei vibranti segnali musicali che arrivano dalla sponda sud del Mediterraneo, passando per le capitali globali europee. «Il passato è un’eredità collettiva», dichiara ben Youssef, lanciandosi in una esplorazione delle connessione futuribili tra le diverse espressioni musicali dell’occidente nord-africano e facendo uso dal vivo anche di immagini elaborate dal VJ Sia Rosenberg. 
Prosegue ancora Sofyann: «Fa la differenza quando una canzone sopravvive. Ha il potere. Moriremo tutti, ma una canzone vive, viaggia attraverso il tempo. Sto cercando di trasmetterla in una forma diversa, cercando di prevedere la musica tra 10, 50, 100 anni. Non oggi, ma domani. E se capisci cosa è importante nelle canzoni, puoi usarlo per portare ancora più potenza alle tracce. Sono cresciuto con alcune di quelle canzoni; conoscerle dentro e fuori dà una prospettiva diversa. È un album che unisce potenza e musica tradizionale». Chi ha apprezzato i formidabile mix di “Targ” si farà avvolgere dalle sollecitazioni prodotte dal solido groove ritmico-melodico di “Maghreb United”, in cui il gruppo re-immagina canzoni tradizionali (eccetto una), con pesante uso di synth ed elettronica, centrata sulla densità di timbro portata dalla storica drum machine TR-808, distorsioni e droni, che coesistono con le slappate del guimbri, le acutezze penetranti dell’oboe e la profonda morbidezza del flauto di canna. Significativo è il fatto che il barbuto Sofyann abbia riprogrammato le macchine impiegando ritmi tradizionali di diverse aree del Maghreb che pur nella loro varietà musicale e culturale, tuttavia, mostrano elementi di affinità; 
in più i tre cantanti esaltano l’impianto vocale di un disco pieno di sostanza. Tutto ha inizio con l’entusiasmante attacco di “Degdega”, in cui sulle voci campionate che ci fanno affacciare su una piazza araba e sul profondo battito percussivo entra il canto di Sofiane Saidi. Ha un incedere reiterato “Sidi Kommi” cantata da Nassouli, che ci trasporta nel turbinio dei territori ritmici gnaoua. Il flauto si incunea tra campionamenti e la linea di basso in “Ain Essouda”, interpretata da Cheb Hassen Tej, voce principale anche del successivo “El bidha wel samra”, incrocio di fiati e percussioni, con ambientazione nel nord-ovest tunisino. Uno dei numeri più riusciti del disco è “Layli”, che inizia con un riff di chitarra, cui segue il ritmo portato dal battito delle mani dal canto responsoriale tra Nassouili e il coro; dopo un break il ritmo, dominato dal basso, si apre in un crescendo parossistico. Altrettanto propulsiva e ossessiva nella sua carica ritmica è “Alec Taadimi”, che inizia con il suono penetrante della zokra, appoggiato al tappeto ritmico innestato dalla scatola Roland, su cui tesse il suo canto teso Cheb Hassen Tej. Seguono l’incalzante “Ichki Lel Bey” e la proiezione rock-punk di “Kahl El Inim”, sviluppata su una forma di canto responsoriale, appoggiato a un basso implacabile. Si resta avviluppati nelle spire del flusso, seguendo le linee di basso risonante di “Boganga e Sandia”, che ci riporta nell’alveo sonico rituale gnaoua, mentre Sofiane Saidi è protagonista nel gran finale offerto da “Zine-ezzine”. Euforia e vertigine dell’ascolto: godiamoci Ammar 808. 


Ciro De Rosa

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