Ricordando Jacques Brel

Ricordo come fosse ieri il nove ottobre esattamente di quarant'anni fa: stavo pranzando da solo e guardavo il telegiornale delle ore tredici su Rai 2 quando la signorina lesse la notizia che Jacques Brel era morto. Una pietra inattesa. Era un'altra epoca, non era come oggi che le notizie girano impazzite nell'aria e ti arriva sempre una mail o un sms da un amico, da un conoscente, da un collega, da un giornalista o da un meccanismo digitale che non è nessuno. O forse è tutti. Allora esistevano ancora le lettere, addirittura le cartoline, i francobolli, le penne con l'inchiostro, le cabine telefoniche a gettoni agli incroci delle strade. Io seppi questa terribile notizia all'improvviso dalla televisione. Presi in mano il libro di Jean Clouzet edizioni Seghers che Anna mi aveva comperato nella mitica (per me!) libreria francese di Milano dietro il Duomo, in via San Pietro All'Orto 10 e rigirai le pagine senza leggere niente. Il cielo di Verona era rosa. Il cielo era pieno di pietre. Il cielo è uno solo ed era lo stesso anche sopra le terre piatte del Nord o le Isole Marchesi nei mari del Sud. Brel diceva che noi in questa vita ci prefissiamo sempre una meta da qualche parte su una strada ma quella strada nemmeno esiste. La meta ce la siamo inventata e la strada solamente immaginata. 
Brel cantava che l'unico sentimento è la tenerezza. E l'amore?: “Gli uomini del Mediterraneo non hanno bisogno di parole violente, è già violento il loro paesaggio. Le Fiandre invece sono grigie e piatte: la pianura mette voglia di esagerare, di andare oltre la misura. A Mentone dici -Ti amo- a una ragazza, a Ninove tutto è grigio e oggi sta piovendo, pioverà anche domani, il tuo -Ti amo- lo devi urlare”. Ricordo che mi affascinava oltremodo sentire la sua voce che infilava i nomi di città misteriose nelle canzoni e proprio allora mi ripromisi di recarmi al più presto in tutte le città contenute nei suoi testi: non solo a Parigi, Bruxelles o Amsterdam ma anche a Liegi, Vesoul, Bruges, Anversa, Gand, Honfleur (un gioiello unico!), Knokke-le-Zoute, Orly, Vierzon, Bisanzio….ma la mia preferita, che ho visitato più spesso e che non smetterò mai di visitare è stata quella anonima e addormentata di cui Brel non ricordava il nome….Brel, che immaginava le regioni dell'Europa Centrale intonassero un canto di riappacificazione, acquistassero una cattedrale della Picardia o d'Artois, da dei "preti senza stelle", la munissero di albero maestro, grandi vele e di ogni altro strumento necessario per navigare col vento in poppa verso l'Inghilterra. E poi via per le Azzorre, Madera, le Canarie, le Antille. E ancora oltre con la cattedrale-veliero, oltre il Buon Dio, oltre il canale di Panama, fino alle isole giù in fondo all'Oceano Pacifico dove si perdona tutto, ci si può annullare e non lamentarsi più di nulla. Beninteso: stando sempre attenti a non svegliarsi! E ricordo di aver udito che una volta anche qui nel nord Italia, e precisamente in via dei Giudei, a Bologna, “volavano velieri, come in un porto canale”. Anche se lui non c'è più, il viaggio delle sue canzoni non è mai finito. Le ho raccolte tradotte in quasi tutte le lingue del mondo, dall'africano alla lingua frisona (lingua minoritaria in Germania che costituisce una delle due lingue ufficiali della provincia della
Frisia nei Paesi Bassi), dal dialetto Limburghese (dalla città di Venlo, parlato nella regione del Limburgo al confine tra Germania, Belgio e Olanda) a quello delle isole Aland (un arcipelago della Finlandia dove la lingua ufficiale è però lo svedese), dall'ebraico allo sloveno, fino ai dialetti più vicini come quello milanese o dell'Altopiano di Asiago, nel vicentino…Sempre in tema di citazioni di luoghi, la geniale canzone psicanalitica “Au Suivant“ contiene il verso “ce ne fut pas Waterloo, mais ce ne fut pas Arcole“ nel quale Brel cita Arcole che è un comune nella mia provincia, Verona. Napoleone vi combatté e vinse una dura battaglia il 15 novembre 1796  contro il feldmaresciallo austriaco Joseph Alvinczy Freiherr von Berberek e guidò le sue truppe, bandiera in mano, alla conquista del ponte di Arcole sul fiume Adige, come si può vedere nel famoso dipinto di Horace Vernet. Era un'altra epoca dicevo all'inizio ed io un adolescente, d'accordo, ma solo per capire cosa dicevano le parole cantate da Jacques Brel mi sono impegnato bene a studiare il francese e ho imparato di più dalle sue memorabili canzoni che da tante lezioni di scuola. Forse non significherà niente ma oggi conosco più cose di lui, anche se non l'ho purtroppo mai incontrato, che di tutti i miei parenti messi insieme. Eternamente grazie, Jacques Brel. Risale a pochi anni dopo questa mia canzone a lui dedicata.

Flavio Poltronieri
flavio.poltronieri@libero.it

JACQUES
(Flavio Poltronieri)

Ho guidato gli aeroplani
muovendo appena le mie mani
prima avevo fra le dita
qualche foglio, una matita

Sono andato per il mare
con l'orizzonte da guardare
e le ossa tutte rotte
proprio come Don Chiscotte

Non c'è il porto a Parigi
solo canzoni e giorni grigi
ma io avevo nella mente
tramonti e le piroghe lente

Mi guidavano parole
le vedevo da lontano
come le stagioni dentro il sole
da qui sopra l'aeroplano

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