Considerandole patrimonio dell’umanità, proseguiamo il nostro impegno per la valorizzazione delle launeddas, rendendo doveroso omaggio a Dionigi Burranca (Samatzai, 1913 - Ortacesus, 1995), definito da Giovanni Dore «grande e stimato suonatore (…). Conosceva e suonava meravigliosamente lo strumento che fece conoscere in tutto il mondo, qualificandosi come il più noto suonatore della Trexenta, area in cui operò dedicandosi con passione anche all’insegnamento».
Determinante fu l’incontro con A.F.W. Bentzon
Sono passati sessant’anni dall’anno in cui Bentzon, tra il ventitré febbraio e il nove marzo del 1958, iniziò a prendere contatti e a registrare sul campo il suonatore di Samatzai, trasferitosi a Ortacesus nel 1935, dove visse con la moglie, signora Felicita Diana, e i sei figli. La collaborazione fu intensa tanto da far scrivere al ricercatore, nel 1969, parole di elogio per lo spirito collaborativo e il dinamismo operativo: «… non è solo un bravo suonatore di launeddas ma anche un informatore molto intelligente ed esperto… mi fu di incalcolabile aiuto nel chiarirmi i punti oscuri, grazie alla sua rara capacità di rendere esplicite le peculiarità tecniche ed estetiche della sua musica…». Bentzon riuscì a conquistare progressivamente la fiducia di Burranca, il quale viveva in un’area dell’Isola che vantava un’importante tradizione poetica orale. Ideò il cosiddetto “Progetto Ortacesus” con l’intento di coinvolgere istituzioni culturali danesi, l’università di Cagliari con Alberto Maria Cirese e vari collaboratori, tra cui l’amico Aristide Murru, Ruth Zedeler e Jørgen Sonne (1925-2015), noto poeta danese, la cui moglie, Birgitte Sonne, ha donato all’Associazione “Iscandula” il materiale che il marito raccolse durante le ricerche in Sardegna. Il Progetto proseguì fino al 1963, poi si arenò. Tuttavia, grazie all’Associazione citata, è stato possibile pubblicare, nel 2006, “Unu de Danimarca benit a carculai. Il mondo poetico di Ortacesus nelle registrazioni e negli studi di Andreas Fridolin Weis Bentzon tra il 1957 e il 1962”, opera curata da Dante Olianas, con testi di Alberto Maria Cirese, Aristide Murru e Paolo Zedda.
Un saggio base che permette di focalizzare i punti nodali della ricerca condotta da Bentzon, centrata sul rapporto musica-poesia e le launeddas suonate da Dionigi Burranca. Negli appunti, lo studioso danese annotò come fosse “molto difficile fargli fare le registrazioni” tuttavia, consapevole della sua importanza musicale, con determinazione volle coinvolgerlo nel suo esteso progetto di ricerca sulle launeddas. Burranca era l’ultimo erede di una consolidata tradizione strumentale, in quanto allievo di Francesco Sanna e del figlio Giuseppe, a loro volta collegati ai suonatori Giuseppe, Antonio e Palmerio Figus, originari di Ussana. Di rilievo è la lettera scritta da Bentzon a Dionigi Burranca, nel luglio del 1958, al quale si rivolse con franchezza, facendo comprendere le ragioni per le quali fosse necessaria una comune approfondita ricerca sulla tradizione popolare locale: «Una autobiografia Sua sarebbe sempre di valore, anche se adesso pare molto ordinario, deve ricordarsi che queste cose devono rimanere eternamente come documenti sulla vita sarda, e quello che oggi è comune può meravigliare altre generazioni». Nella missiva, usò termini e modi comunicativi che, verosimilmente, riuscirono a far presa sui sentimenti del suonatore il quale, in quegli anni, viveva con amarezza il declino subito dalle launeddas anche a causa dell’affermazione degli aerofoni a mantice come la fisarmonica, strumento che lo stesso Burranca aveva iniziato a suonare per stare al passo coi tempi. Bentzon scrisse con tono di stima, dandogli del “lei” (“Carissimo Sign. Burranca”) e dichiarando di voler prevedere per il suo lavoro una cospicua remunerazione. Nella missiva fece riferimento al “tesoro” che avevano registrato insieme a Ortacesus e alle possibili «trascrizioni delle suonate dei Sanna e di altri vecchi suonatori che Lei ha sentito in vita Sua. Sarebbe un documento troppo importante sulle launeddas per lasciarlo finire in niente…». La collaborazione proseguì. Le registrazioni effettuate da Bentzon a Ortacesus sono di straordinaria importanza nel panorama degli studi musicali sardi e permisero il recupero e la salvaguardia del repertorio cantato accompagnato dalle launeddas. Il ricercatore danese era un antropologo con elevato interesse allo specifico musicale ed era solito condurre le ricerche con serietà, fermandosi sul territorio settimane (spesso a proprie spese), quando non anche mesi interi, come fece a Cabras e, successivamente, a Nule. Fra i suoi informatori, il suonatore di Samatzai si distinse per capacità e competenza, essendo attento e preparato nello spiegare, con termini tecnici, le differenti questioni teoriche legate allo studio delle launeddas, tra cui l’uso delle durate, denominate localmente con una specifica terminologia dialettale, corrispondente ai “passi di danza”.
Sempre al suonatore si deve la conoscenza di un sistema “sillabico” per denominare le singole note (“di, de, da do, dde, dda, ddo”, sorta di solfeggio cantato) anche in relazione all’uso degli abbellimenti e, in particolare, delle acciaccature. Ai fini del “Progetto Ortacecus”, per Bentzon risultò altresì importante il contatto diretto con Alberto Maria Cirese, all’epoca docente universitario a Cagliari e uno dei maggiori studiosi della poesia popolare sarda. Le registrazioni effettuate da Bentzon a Ortacesus comprendono “cantzonis, muttettus, modas, goggius, repentinas, currentinas”. A beneficio degli appassionati, evidenziamo che le registrazioni originali sono depositate negli Archivi Danesi del Folklore di Copenaghen (“Dansk Folkemindesamling”) e nell’Archivio dell’Associazione “Iscandula”; alcune registrazioni sono rinvenibili anche presso il “CNSMP” di Roma, nelle Raccolte “36” e “75”. Venti incisioni sono ascoltabili nel compact disc accluso al libro citato, tra cui il testo composto da Angelo Pili, titolato “Unu de Danimarca”, del 1958, ma registrato solo nel 1962.