È stata una delle belle scoperte dell’edizione 2017 dell’Ariano Folk Festival. La Yegros ha avuto così l'opportunità di esibirsi per la prima volta in Italia, sperimentando anche con il pubblico nostrano quell’attrazione a cui sottende il titolo del suo secondo album, “Magnetismo”, pubblicato per Soundway Records, la label indipendente britannica caratterizzata dal personale approccio del patron, Miles Cleret verso le musiche popolari delle varie parti del mondo. «Magnetismo – si legge nelle note – si riferisce all’attrazione tra due poli, e sta ad indicare quella sintonia che si è venuta a creare immediatamente tra il pubblico e l’artista». Il disco é distribuito in Italia da Audioglobe ma noi di “Blogfoolk” l’abbiamo reperito durante il festival, e ciò giustifica questa recensione tardiva, mentre nel frattempo, la cantante, autrice e compositrice argentina è al lavoro per il suo terzo album.
Con l’esordio nel 2013, “Viene de mi”, prodotto dalla ZZK Records – etichetta che gioca in casa in materia di fusione tra le musiche di tradizione folk, come la cumbia, e l’elettronica – La Yegros si è fatta conoscere ed apprezzare anche fuori dall’Argentina, sua terra natia, e in Francia, ormai sua seconda casa; il suo nome è iniziato subito a circolare con l’appellativo di “reina della nu-cumbia”, che la cantante non disdegna di onorare. Sul palco, non è solo la presenza vocale a colpire: il timbro crudo e stridente della voce che si staglia prevalentemente su registri acuti a mo’ di stratagemma, una reminiscenza dei canti amazzoni indigeni, l’uso del sapucai (l’urlo caratteristico del chamamé, la danza diffusa nel Nord dell’Argentina, nella regione di Corrientes, che é anche il grido di lotta dei gauchos, gli abitanti delle pampas), ma è l’estetica organica di La Yegros, fatta di vestiti, piumaggi, corpetti, foulards e volants dai colori appariscenti, e da tanti altri ammennicoli che richiamano l’atmosfera dei balli tradizionali e delle feste carnavalito. Tutte testimonianze dello stretto rapporto con la tradizione che questa interprete moderna rappresenta con stile personale; senza dire del temperamento esuberante, la sfrenata grinta narrativa, l’humor beffardo, che viene da raffigurarla come una musa uscita da un film di Almodovar. Dal vivo schiera un organico essenziale: percussioni (Gabriel Ostertag), chitarra elettrica e acustica (David Martinez), fisarmonica (Nicolas De Lucas), ma efficace nel dispensare quel mix esplosivo di stili, con quel tocco di elettronica mai ingombrante o gratuita, ripetitiva o saccente.
La carta vincente de La Yegros è data, a ben vedere, da un team di musicisti e compositori innovativi e creativi come Daniel Martin che collabora a parecchi brani, e dal produttore King Coya, al secolo Gaby Kerpel, decano di questa elettrizzante fusione tra vecchio e nuovo, tradizione e modernità, stili rurali e sonorità urbane, pioniere di quel meticciato sonoro che rappresenta una delle evoluzioni più felici della tradizione che fu e incarna quello che è oggi al di fuori dei propri luoghi di origine: le campagne del Sud America. Una formula che assicura una ricezione sorprendente anche quando è totalmente de-contestualizzata, urbanizzata, europeizzata (ad esempio, negli arrangiamenti). «La cumbia – ricorda Mariana Yegros – è uno stile di ballo che viene dalla Colombia e ha avuto una grande diffusione anche in Argentina, specie nella forma della cumbia villera; risale al periodo della schiavitù ed è un’espressione di protesta e di ribellione, una manifestazione di sofferenza delle classi povere. Infatti le mie canzoni parlano spesso di questi sentimenti, gioia, dolore, solitudine, amore, di tutte le manifestazioni dell’animo umano. La cumbia in stile moderno, elettrificato, la rende più fruibile ai turisti che vengono in Argentina e oggi la cumbia é ballata e ascoltata da tutti, anche dal pubblico europeo. In Argentina è però uno stile di nicchia, ancora relegato nell’underground. In Europa é più massificato». “Magnetismo” è una combinazione di stili elettroacustici in cui gli elementi del folk argentino come la cumbia, il chamamè, il carnavalito vengono trattati alla stregua di altri stili che vengono presi in considerazione nel disco, anche grazie all’apporto degli ospiti presenti, come il maloya de La Reunion (“Suenitos”, feat. Lindigo), il jazz colombiano/bossa brasiliana (“Arde”, feat, Sabina Sciubba e Puerto Candelaria), sovrapposti e stratificati dall’inventiva di La Yegros, Daniel Martin, Gaby Kerpel, che partecipa sia come manipolatore di suoni elettronici che come polistrumentista (viene accreditato al ronroco, ukulele, melodica, fisarmonica, flauto andino e percussioni)e produttore. Non si tratta tanto, in realtà, di stabilire il grado di sovrapposizioni, quanto piuttosto di osservare che dietro le relazioni interpretative che i musicisti instaurano con i patrimoni musicali tradizionali, prende forma un repertorio nuovo e originale, che rimane pressoché indefinibile nella misura in cui si perde nel marasma delle attribuzioni, delle terminologie, delle critiche. Si ascoltino a proposito brani come “Dejate Llevar”, “Fragil”, “Lejos”, tasselli diversissimi fra loro, eppure ascrivibili nell’alveo del medesimo discorso.
Grazia Rita Di Florio
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Sud America e Caraibi