Gabriele Mirabassi, Cristina Renzetti, Roberto Taufic – Correnteza (Hemiolia Records, 2016)

Quella del progetto Correnteza è una storia di passione sconfinata per il Brasile, la sua musica ed in particolare per il repertorio di Tom Jobim che Gabriele Mirabassi al clarinetto, Cristina Renzetti alla voce e Roberto Taufic alla chitarra, hanno riletto attraverso la loro originale cifra stilistica, dando vita ad un viaggio sonoro nel cuore di una terra tanto affascinante quanto ricca di contraddizioni. A margine del loro splendido concerto tenuto nel corso dei Seminari di Musica, Canto e Danza Popolare dell’edizione 2017 di Mare e Miniere, abbiamo intervistato Gabriele Mirabassi ed insieme a lui siamo andati alla scoperta di questo straordinario progetto artistico.

Partiamo da lontano, ripercorrendo la storia del Trio..
La storia del trio è una storia di enorme stima, rispetto ed amicizia, cose che ormai mettiamo tutti e tre al centro del mestiere di musicisti. Sia io che Roberto Taufic che Cristina Renzetti abbiamo avuto a titolo differente, ed in modalità differenti, un incontro che ha cambiato le nostre vite con questo paese straordinario che è il Brasile e là tutti e tre abbiamo imparato una cosa che qui in Italia era più difficile da capire e cioè che la musica appartiene alla sfera dell’affetto e non alla sfera delle abilità. Studiando il clarinetto da piccolo ho fatto tutto un percorso e sono cresciuto pensando che avevo imparato a fare una cosa, quando sono andato in Brasile, mi hanno subito svuotato questo cassetto dove custodivo la musica insieme alle mie, per altro ben scarse, abilità, e me ne hanno aperto un altro che non sapevo nemmeno dove fosse: quello delle affettività. Adesso la musica per me è custodita lì dentro. Correnteza è questo. E’ affetto fra di noi, per il Brasile e il maestro assoluto della musica brasiliana che è Tom Jobim. 

Esistono connessioni tra nuova musica brasiliana e jazz?
Sai che il jazz non lo tirerei in ballo se non fosse una questione biografica. Per quello che mi riguarda io ho vissuto la mia carriera musicale nel mondo del jazz, però in Brasile la cosa che mi è più servita è stata la mia precedente militanza nella musica colta. Quella del Brasile è una musica straordinaria, è una delle grandi musiche strumentali del mondo che ha un livello di sofisticazione e raffinatezza altissimi e che in qualche modo può permettersi di prescindere dal jazz. Io come musicista italiano, non sardo, salentino, napoletano o occitano, al di fuori quindi di queste speciali enclave musicali che sono sopravvissute, sono sempre stato orfano di una mia musica tradizionale. In Umbria c’è una musica tradizionale ma è oggetto di studi dell’etnomusicologia non della pratica quotidiana, il jazz ha costituito per me l’unica scelta possibile per un musicista che veniva dalla musica classica e voleva suonare una musica popolare con quella vitalità ed estemporaneità che caratterizza una musica popolare rispetto alla musica colta. In Brasile non è così…

Non è così perché probabilmente non c’è una classificazione rigida dei generi musicali…
Un motivo è certamente quello, ma poi va tenuto presente che è un continente che fa musica. Nel caso del Brasile: le dimensioni contano, si direbbe. Nel senso che è un paese talmente grande, la cui identità è la somma di tutti i popoli del mondo. Per cui è un enorme laboratorio, e per noi fondamentale ed urgente porci questo problema, di identità. Noi oggi siamo in un periodo storico complicato in cui la parola identità è diventata appannaggio dei settori più reazionari della cultura e gli abbiamo dato una connotazione esclusiva.
Identità per noi è: io sono tutto quello che gli altri non sono. L’America in generale e Sudamerica in particolare ed il Brasile più di tutti, sono un immenso laboratorio ancora in piena attività di creazione di identità inclusiva e la musica racconta di questo. Da dovunque si arriva, si trova in Brasile un pezzo della propria ancestralità che è incluso nella loro cultura e principalmente nella loro musica. Spesso ci dimentichiamo che San Paolo è una delle città più grandi del mondo con oltre ventidue milioni di abitanti, di questi sei milioni hanno il cognome italiano. Questo influisce tanto. Sai che uno dei padri fondatori del Samba di San Paolo si chiamava Joao Rubinato, il suo nome d’arte era Adorniran Barbosa e veniva dal Polesine in provincia di Rovigo. 

Come avete scelto i brani da inserire nel disco?
Sono venuti fuori in modo automatico dal nostro stare insieme. Sono i brani più volevamo che i nostri connazionali conoscessero perché il vero problema è che la musica brasiliana e Jobim sono vittime di uno stereotipo bestiale e tutti pensano di sapere di cosa parlano quando si parla di questo tipo di sonorità. Jobim viene immediatamente associato a “Girl from Ipanema”, alla bossa nova ed è vero perché lui è stato uno dei principali responsabili dell’invenzione di questo genere musicale, ma ha avuto un periodo limitatissimo nella storia della musica brasiliana. Lo stesso Jobim dopo il 1962 ha smesso di fare bossa nova e la sua stagione creativa successiva è veramente più vicina alla musica classica. Questo repertorio lo conoscono tutti in Brasile, lo cantano e li fa diventare tutti brasiliani, mentre noi qua lo ignoriamo completamente e facciamo quei quattro o cinque pezzi famosi di Jobim che sono quelli resi famosi da Frank Sinatra o Stan Getz ovvero gli americani.
Noi abbiamo deciso di far conoscere il Jobim che abbiamo imparato a capire in Brasile e le uniche due bossa nova sono De Safinado dove facciamo il gioco teatrale, e Chega de saudade che facciamo in ¾ per evitare di cadere nei soliti errori. A me piace tanto la bossa nova, ma è importante spiegare agli italiani che il Brasile non è la bossa nova.

Le vostre riletture sorprendono per l’eleganza raffinata degli arrangiamenti, qualcosa ben diverso dalle versioni patinate che spesso ascoltiamo…
Non c’è nulla di arrangiato è tutto improvvisato. Quello che mi piace di questo trio è che abbiamo una comunione di intenti molto acuminata, molto precisa, non tanto su cosa vogliamo fare ma su quello che sicuramente vogliamo evitare. La cosa che cerchiamo di evitare assolutamente nelle nostre riletture di Jobim è il jazz. 

Trio Correnteza è un progetto focalizzato sul repertorio di Jobim o in futuro si aprirà ad altri materiali?
Si aprirà. Stiamo architettando un prossimo capitolo interamente dedicato al Minas Gerais, questo stato tanto grande quanto meraviglioso che è alle spalle di Rio De Janeiro e di San Paolo. E’ uno dei posti più emozionanti del mondo, e forse il Brasile più vero e profondo perché è quello più africano. E’ l’unico stato del Brasile con una cultura antica che comincia nel Cinquecento con delle città barocche e dove non c’è il mare. Insomma ancora una volta, il Brasile lontano dagli stereotipi, ma piuttosto avvolto da una dimensione spirituale che rasenta il misticismo. Del Minas Gerais tutti conosciamo la sua voce principale che è Milton Nascimento, o ancora Tonino Horta insieme a loro ci sono cose straordinarie. Il nostro sogno è andarlo a registrare in una delle chiese barocche di questo stato.

Hai parlato di Brasile differente, oltre gli stereotipi, e non posso che fare riferimento al disco “Um Brazil Diferente” che hai realizzato con Roberto Taufic per DodiciLune…
In Brasile sono arrivato da jazzista normale e ne sono uscito un musicista differente. Ho scoperto l’acqua calda: lì c’è un mondo infinito, variegatissimo di musiche che non hanno nulla a che vedere con quella che pensavo fosse la musica brasiliana. E’ come quando vai in Cina e scopri che nessuno mangia gli involtini primavera.

L’intesa con Roberto è veramente straordinaria per la vostra capacità di far dialogare in modo superbo i vostri strumenti. Com’è nata questa alchimia?
Roberto è un personaggio straordinario da tutti i punti di vista. E’ una delle persone più belle che io abbia mai incontrato perché ha una disponibilità all’ascolto unica ed imparagonabile. Non ha nulla da perdere, è totalmente aperto e disponibile. Questa è una cosa che è il sogno di chi suona uno strumento solista come il mio, perché lui non ti accompagna ma ti crea le condizioni per andare in territori in cui da solo non ti potresti mai spingere. Ben sapendo che male che vada, se ti perdi, è lui che sa in qualche modo rimetterti sul sentiero giusto. E’ una roba veramente emozionante. Roberto poi ha fatto un percorso inverso rispetto al mio, essendo nato in Brasile, ha fatto gli anni della sua formazione lì, poi giovanissimo è venuto in Italia. Ormai sono più di vent’anni che è qui. Rispetto ai suoi colleghi che sono rimasti in Brasile che sono ovviamente dentro la loro storia e la loro tradizione lui l’ha potuta rileggere con degli strumenti diversi.
Io che dall’Italia sono arrivato in Brasile ho dovuto fare un grande percorso per riuscire ad apprendere questa tradizione che per me era estranea, ma portandovi dentro la mia esperienza accumulata suonando in diversi progetti. Con lui abbiamo una porzione di background enorme in comune, perché c’è quella brasiliana e quella europea che coincidono. I diversi elementi che possiamo mettere in gioco e sviluppare l’uno dell’altro sono maggiori di quando suoni con un musicista europeo o brasiliano che conosce un unico ambito. 

E’ un legame che si è sviluppato anche dal punto di vista compositivo…
Noi scriviamo tutti e due e nel repertorio abbiamo anche dei brani nostri, ma quasi mai abbiamo voglia di farli, perché sono talmente belli quelli degli altri che li mettiamo sempre avanti. Roberto è pazzesco anche da questo punto di vista e lo si nota anche in “Um Brazil Differente” lui non prende un assolo e non perché non si sappia fare ma perché non esiste una gerarchia che stabilisce chi è il solista e chi accompagna. Lui da il suo contributo talmente in modo esagerato alla musica che non c’è alcun bisogno di rimanere da solo. Lui è il Pirlo della squadra perché magari il gol lo lascia fare a me ma se non mette lui la palla io non vado da nessuna parte.

Concludendo. Con Roberto avete appena registrato un disco dal vivo. Ce ne puoi parlare?
L’etichetta CAM Jazz ha dato vita ad un progetto meraviglioso per le cantine del Collio in Friuli, mettendo in piedi un festival di cinque giorni dove ogni sera si esibiva un duo o un solo che veniva registrato dal vivo in una di queste meravigliose cantine. A noi è toccato un posto meraviglioso, un luogo di eccellenza sotto tutti i punti di vista e di fronte ad un pubblico di invitati abbiamo registrato dal vivo tra le botti questo nuovo duetto selezionando un repertorio che ci piace molto, c’è Guinga, c’è Tonino Horta e Tom Jobim e alcune cose nostre. L’uscita è prevista per l’autunno.



Gabriele Mirabassi, Cristina Renzetti, Roberto Taufic – Correnteza (Hemiolia Records, 2016)

#CONSIGLIATOBLOGFOOLK

La musica spesso ci riserva l’inattesa scoperta di gioielli di pura bellezza che prendono vita lontano dalle logiche commerciali, ma piuttosto sono il frutto di veri e propri atti d’amore. E’ il caso del progetto “Correnteza”, nato dall’incontro tra Gabriele Mirabassi (clarinetto), Cristina Renzetti (voce) e Roberto Taufic (chitarra), tre straordinari musicisti accomunati dalla passione per la musica brasiliana ed in particolare per il repertorio di Tom Jobim, e desiderosi di svelarne il fascino e la bellezza al pubblico italiano. Uscendo dai ristretti confini dei grandi classici portati al successo da Frank Sinatra e dai sentieri della bossa nova, il trio ha dato vita ad un originale percorso di ricerca attraverso le pagine meno note del songbook di Jobim, riportando alla luce la poesia e il suo animo denso di lirismo. Significativo in questo senso è stata anche la scelta di “Correnteza” come nome del progetto e titolo del disco che, nella sua molteplice lettura, rimanda idealmente tanto al brano omonimo del musicista brasiliano, quanto al suo significato più profondo che individua la corrente di un grande fiume, carico di passioni ed emozioni, nel quale sono confluite le tradizioni di tutti i popoli che compongono la nazione brasiliana. Correnteza, però, è anche l’incontro tra tre musicisti che hanno creato un legame più forte di una semplice collaborazione artistica nel quale convivono libertà, stupore, spregiudicatezza, imprevedibilità ma soprattutto una tensione continua ad esplorare nuovi percorsi sonori nel dialogo tra il clarinetto e la chitarra nel quale magicamente si inserisce la voce della Renzetti. Registrato su nastro magnetico nella Chiesa di Santa Croce di Umbertide, dove è conservata la Madonna del Signorelli ed editato completamente in analogico, il disco raccoglie tredici brani caratterizzati da eleganti architetture sonore in cui che si reggono essenzialmente sull’interplay tra chitarra e clarinetto. Aperto dal brano omonimo che Jobim firmò con Luiz Bonfà, il disco entra nel vivo con “Chovendo na Roseira” in cui emerge a pieno come il Trio Correnteza riesca ad esaltare la varietà di colori sonori che caratterizza la scrittura di Jobim. Dal tratto più intimista e riflessivo cono i brani in cui l’amore è l’elemento centrale come nel caso di “Se Todos Fossem Iguais A Você” o “Caminhos Cruzados” mentre sorprendono le riletture dei brani più noti come nel caso di “Chega de Saudade” che viene riscritta in un originale arrangiamento in ¾ o il divertissment di “Desafinado” che già nel titolo racchiude tutta la sua natura. Insomma “Correnteza” è un disco di rara bellezza che ha il pregio di restituirci il lato più intenso della poesia di Tom Jobim.


Salvatore Esposito

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