Andrea Nonne
Ha trentanove anni ed è il coordinatore del gruppo denominato “Su cuncordu de Onne”, al quale fa capo un’Associazione culturale che persegue l’obiettivo di valorizzare la cultura locale e in particolare quella poetico-musicale. Ci ha raccontato che canta a “cuncordu” da quando aveva circa quindici anni. Come cantore, desidera dare risalto alla specificità musicale locale: “Da noi, canto “a tenore” è entrato in uso solo da alcuni decenni. Come fonnese, ritengo importante mantenere, nel rispetto della cultura locale, la denominazione “a cuncordu”. Bisogna fare corretta informazione. In diverse occasioni sono stato contattato per partecipare con il Gruppo a manifestazioni canore. Quando dico che ci chiamiamo “cuncordu”, spesso mi sento dire, “ … no, noi cerchiamo gruppi di canti profani, non quelli religiosi”. Gli spiego la particolarità, ma spesso non ne vogliono sentire, perché (da impreparati) sono convinti che chi canta in Sardegna “a cuncordu” esegua solo un repertorio religioso. Ciò può essere vero in diversi paesi, ma non a Fonni, a Ovodda o in altri paesi dell’Isola. Bisogna conoscere e imparare a rispettare le particolarità dei singoli paesi”.
Da diversi anni, Andrea si diletta “a istionare” (a parlare, tempestando di domande) con gli anziani della comunità, per svolgere investigazioni sulla tradizione fonnese, i cui esiti renderà pubblici solo dopo avere completato le ricerche: “Gli anziani da cui ho raccolto le informazioni musicali spesso raccontano meglio con il canto che con le parole, bisogna saperli ascoltare, comprendendo le regole sottostanti ai loro ragionamenti, ai modi di eseguire nel “cuncordu”, per il quale è sempre bene avere una guida anziana, che ha esperienza rispetto ai canti tradizionali(...)”.
Attualmente, Nonne sta approfondendo il repertorio vocale religioso, per il quale è necessario tenere in debito conto la storia locale delle confraternite e de “sos cantos de sos Uffizios” (i canti degli Uffici) nei riti liturgici e paraliturgici. Nel “Dizionario Casalis-Angius”, scritto nel XIX secolo, su Fonni abbiamo potuto ricavare alcune generiche informazioni sulle confraternite, sui canti funebri, sull’uso di mascherarsi a carnevale; inoltre, è specificato che “in occorrenze fauste si balla all’armonia del coro”. Nel canto solista, a Fonni, è in uso la definizione “a bohe (o boghe) sola” (a voce sola, monodica), in passato prevista per accompagnare i balli in alcune situazioni comunitarie, quali matrimoni, preparazione del pane, tosatura, carnevale etc. Andrea Nonne, nel 2012, come solista, ha inciso un cd denominato “Ballos de Onne … a boghe sola”, presentato da Paolo Pillonca, nel quale ha incluso diciotto brani del repertorio locale profano (sàrtiu, torrau, ’e duos, ’e trese, e sos mutos), con alcune registrazioni d’epoca e altre accompagnate da due validi suonatori fonnesi: Raffaele Serusi (detto “Virottu”, all’organetto) e Michele Carta (virtuoso armonicista, vincitore di premi internazionali). Nonne, come “vohe” (voce), in passato, ha fatto parte di altri due Gruppi a “cuncordu”: “Vrammentu”, dal 1995 e, successivamente, “Gennargentu”. La sua voce è riscontrabile in diverse incisioni discografiche e in video girati dalle televisioni locali le quali, sin dagli anni Ottanta, hanno incentivato le trasmissioni folcloriche, spesso riprese dal vivo nelle piazze dei singoli paesi sardi, talvolta in concomitanza con feste patronali o ricorrenze particolari. “Vrammentu” è il soprannome di Matteo Mureddu (1760-1841), noto poeta locale, del quale diversi gruppi a “cuncordu” sono soliti cantare i versi. Era un trisavolo di Angelo Mureddu, nostro interlocutore più anziano. “Vrammentu” è il termine impiegato per indicare “quel prodotto indispensabile per la produzione del pane (la cosiddetta “pasta madre”, è sembrato di capire), senza del quale non può uscire buono”. Il poeta e cantore era socievole e buono d’animo. Pare riuscisse a mettere pace nelle diverse situazioni conflittuali, per questo motivo ricevette il soprannome di “Vrammentu”.
Tre giovani voci del cuncordu
Alberto Mattu è la “hontra” del Gruppo. Ha ventidue anni ed è un ragazzo attento nell’ascolto, ma di poche parole. Ha voce profonda, durante le prove era l’unico cantore a tenere la mano vicino all’orecchio: “La mano la uso perché mi funziona da cassa di risonanza. L’avevo vista usare dagli anziani, ma solo provando a cantare ho compreso l’utilità… nel mio posto avere la mano vicino all’orecchio è una comodità, perché sono spostato dal centro del suono (cioè quello della “vohe”), soprattutto quando siamo a cantare sul palco e si usano i microfoni. Per cui, devo stare particolarmente attento e concentrarmi quando partono le risposte del “cuncordu” … Il mio orecchio deve dare ascolto alla voce, però io mi regolo molto anche con sa “mesuhoe”, perché è quella che mi dà il giusto tono e influisce molto sul mio canto: se è stonata come “hontra” ne risento subito. In generale, tenere la mano vicino all’orecchio mi aiuta ad “attonare” (tenere il canto intonato)”. Fabio Mureddu è su “bassu”, rispetto al canto ha riferito: “Devo sempre seguire con attenzione sa “vohe”, devo capire dove sta andando con la melodia, è lei che dice che cosa fare…, però devo stare attento anche alla “mesuhoe”, perché mi devo regolare a seconda che faccia i giochi verso l’alto o il basso… con la “hontra” mi devo anche regolare perché siamo un suono unico … nella pratica so come mi devo regolare, ma con le parole non è semplice a spiegare. Io ho capito che nel “cuncordu” posso fare solo su “bassu”, ho provato le altre voci ma non sono portato per queste. Lo stesso vale per Alberto con sa “hontra”, mentre gli altri due (Andrea e Francesco) riescono a fare anche altre voci, in particolare Andrea riesce a cantare tutto e, ovunque lo metti, canta bene”.
Cuncordu: libertà esecutiva, contesto sociale e ambiente
Torniamo al concetto di “passione” nel canto. Dice Fabio che “… il bello del canto a “cuncordu” è cantare perché piace, senza avere altri interessi. È bello cantare con tranquillità, tra amici, godendosi il suono in rapporto alle parole, al testo poetico, di cui spesso gli ascoltatori ignorano i significati. I momenti più belli del canto io li vivo qui, quando proviamo vicino al camino. Prosegue Andrea: “Il canto a “cuncordu” è libertà, ha bisogno di potersi sviluppare senza vincoli, non è importante la durata, ma è fondamentale lasciare ai cantori la possibilità di esprimersi senza vincoli di tempo. Su “cuncordu” devi lasciarlo fare, non bisogna forzarlo, in nessun modo. Sul palco spesso ci sono i minuti contati, la tranquillità esecutiva non la si può avere, c’è confusione, inoltre il suono si disperde attraverso gli altoparlanti e le spie di ritorno. Cantiamo staccati, ma noi abbiamo bisogno di contatto, non necessariamente fisico, ma spesso riferito agli sguardi e al sentirci sonoramente vicini. Su un palco, per un motivo o per l’altro, non si riesce mai a rendere al cento percento”. Sui concetti generali sopra espressi, tutti i cantori trovano accordo. Certo, a loro piace essere invitati nelle manifestazioni folcloriche regionali e in quelle continentali o estere. Apprezzano il confronto con le differenti modalità di canto e le altre culture. Viaggiare e partecipare a rassegne e concorsi hanno permesso loro di maturare amicizie e importanti conoscenze, tuttavia, nei discorsi, la loro principale attenzione è rivolta agli eventi familiari e comunitari. Nonne ha evidenziato come, a Fonni, il canto a “cuncordu” sia ben gradito anche in ambito religioso, definendo buoni i rapporti con le autorità ecclesiastiche: “C’è capitato spesso di fare delle prove nelle chiese, di essere invitati a matrimoni, a ricorrenze particolari o nelle feste, in alcune delle quali si organizzano pranzi che superano i mille invitati”.
Paolo Mercurio
Copyright Foto 1,4,5,6,7: Paolo Mercurio
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