Aurelio Porcu e la valorizzazione delle launeddas come bene dell’umanità

Com’è nelle nostre corde, scriveremo delle launeddas ad ampio raggio, per ricordare, a dieci anni dalla scomparsa, il suonatore Aurelio Porcu (Villaputzu 1914-2007), uno dei massimi virtuosi delle launeddas, che abbiamo già avuto modo di valorizzare nel saggio “I Maestri delle Launeddas” e nell’opera monografica “La Cultura delle Launeddas”, con nota biografica di Sandra Mantovani Leydi. Negli anni Ottanta e Novanta, Porcu divenne suonatore di riferimento per tutti i ricercatori che, in chiave diacronica, ambirono a studiare lo sviluppo, il declino e la rinascita dello strumento tricalamo, simbolo della civiltà musicale sarda e patrimonio dell’umanità.  

La Scuola di Villaputzu e l’apprendimento strumentale
Nel 1996, al giornalista Paolo Branca, Aurelio Porcu raccontò il suo primo incontro con le launeddas: “Avevo sette anni e a quell’età il silenzio e la solitudine sono ancora più insopportabili. Un giorno in campagna incontrai un pastore anziano che suonava le launeddas. Me le regalò e mi insegnò la respirazione a fiato continuo per farle suonare: “Così eviterai di addormentarti…”. Ci misi poco a imparare, anche perché avevo a disposizione tutto il tempo che volevo». In un’intervista rilasciata “in limba” a Pier Sandro Pillonca, chiarì che il suo primo strumento lo comprò da Efisio Melis, pagandolo una forma di formaggio. Porcu fu allievo di due importanti maestri suonatori di Villaputzu, Antonio Lara (1886-1979) ed Emanuele Lara (1888 - 1941), i quali avevano appreso l’arte esecutiva dal padre Giuseppe, a sua volta, allievo del mitico Agostino Vacca (Villaputzu, 1842-1896). 
Di quest’ultimo, purtroppo, non esistono registrazioni (solo alcune fotografie), tuttavia egli è figura storica di rilievo e tra i suoi allievi ebbe anche Giuanicu Cabras (Villaputzu 1872 - Decimomannu 1942), maestro di Efisio Melis. Da Melis, Aurelio Porcu (durante il servizio militare svolto a Cagliari) ebbe modo di prendere alcune lezioni, che gli permisero di affinare la tecnica strumentale, ma il suo stile si formò soprattutto grazie agli insegnamenti della scuola dei fratelli Lara, considerata più lineare e vicina alla tradizione (se messa a confronto con lo stile virtuosistico e innovativo di Efisio Melis) e, per questa ragione, maggiormente gradita ai ballerini di Villaputzu e dei paesi limitrofi. Se riferito alle launeddas, il periodo di apprendimento delle conoscenze di base e del repertorio musicale poteva durare anni. Talvolta l’allievo si “trasferiva” a casa del maestro suonatore (pagando o lavorando per lui). Con lui condivideva la quotidianità e apprendeva artigianalmente i segreti del mestiere.  Nel saggio “Il declino delle launeddas”, Giampaolo Lallai, apprezzato suonatore e ricercatore (deceduto nel 2013), ha riportato quanto raccontatogli da Aurelio Porcu in riferimento al rapporto con Antonio Lara (al quale pagava 50 lire al mese). Per una settimana lo aveva fatto lavorare nella sua vigna e nei campi, senza insegnare niente di nuovo. I due ebbero un alterco e da allora Porcu continuò a studiare con il fratello di Antonio, Emanuele Lara (che iniziò a pagare con starelli di grano).  Anche Aurelio Porcu ai tempi delle sue prime esibizioni pubbliche veniva pagato “in grano” e, per spostarsi da un paese all’altro, usava la bicicletta, con la quale, all’occorrenza, percorreva decine di chilometri. Per divenire seri suonatori erano richieste abilità e capacità tecniche, acquisibili solo a seguito di un prolungato training. Era, infatti, utile conoscere le tecniche costruttive dello strumento, della respirazione, la conoscenza delle “nodas” e delle “iscalas” nonché il loro rapporto con i passi dei differenti balli. Era importante saper contrappuntare le singole note e calibrare i suoni, in funzione dei tempi e dei ritmi, avendo chiara la funzione delle singole melodie da eseguire come, ad esempio, quelle per le processioni religiose paraliturgiche. Per tutto l’Ottocento e per i primi decenni del XX secolo, le launeddas restarono strumento principe della musica tradizionale popolare, in buona parte del sud dell’Isola. 
Venivano regolarmente impiegate per l’accompagnamento dei balli e delle processioni religiose, per scandire marce militari, per rallegrare la domenica e i giorni festivi, per solennizzare battesimi e matrimoni o, semplicemente, per suonare serenate alle ragazze.   Dalla fine degli anni Venti del secolo scorso, le richieste professionali per i suonatori di launeddas andarono progressivamente scemando. Numerose, in quegli anni, furono le modificazioni economico-sociali che lentamente cambiarono l’assetto tradizionale e conservativo della società sarda nel suo insieme. Gradualmente si allentò la consuetudine dei balli domenicali, che rappresentava la principale fonte di reddito per i musicisti.  I suonatori di launeddas - i quali avevano studiato anni e anni per acquisire la tecnica strumentale, e investito cospicui capitali per pagare le lezioni ai maestri più accreditati - dovettero ripiegare su impieghi secondari, utili per garantire almeno livelli minimi di sussistenza.  I suonatori “a tempo pieno”, a partire dalla metà degli anni ’30, praticamente scomparvero. Antonio Lara, maestro di Aurelio Porcu, lavorò come ciabattino. Efisio Melis (Villaputzu, 1890 - Cagliari, 1970) investì i guadagni delle prestazioni musicali in attività artigianali (produzione e vendita di vino, confezionamento e vendita di malloreddus etc.). Il più autorevole suonatore della scuola della Trexenta - Dionigi Burranca (Samatzai, 1913 - Ortacesus, 1995) - operò come calzolaio, lo stesso mestiere di Felicino Pili (Villaputzu, 1910 - Oristano, 1982) che alternava con quello di venditore di pesce. Aurelio Porcu lavorò come barbiere e calzolaio, dedicandosi anche ai lavori agricoli, in particolare alla coltivazione della vite.
  
Launeddas e libera professione 
Dagli anni Trenta del secolo scorso, per esercitare la professione di suonatore di launeddas, alcuni comuni iniziarono a richiedere specifiche licenze rilasciate dalle pubbliche autorità locali. La promulgazione di leggi restrittive portò all’applicazione di norme più rigorose relative all’attività dei suonatori e allo svolgimento dei balli pubblici. Chi non ottemperava agli obblighi di legge rischiava multe salate (e, in casi eccezionali, il carcere). 
Sempre nell’intervista rilasciata a Giampaolo Lallai, Aurelio Porcu, in merito, ricordò di quando, nel 1934, durante una delle sue esecuzioni pubbliche, il maresciallo dei carabinieri di Armungia gli si avvicinò per visionare la “licenza”. Egli, non capendo che cosa gli fosse stato richiesto, mostrò un certificato di esonero dal servizio militare, che portava sempre con sé. Pensando di essere stato preso in giro dal musicista, in tono perentorio, il maresciallo ordinò ai suoi sottoposti di portarlo in guardina. Aurelio Porcu con difficoltà riuscì a chiarire il disguido, poi tornò repentinamente a Villaputzu, paese nel quale le stesse direttive pubbliche non vennero subito applicate.  Il musicista, a distanza di circa sessant’anni dall’evento narrato, espresse una sua ipotesi, secondo la quale il maresciallo del paese agì in quel modo, non solo per essere ligio alla legge, ma forse anche per accontentare il parroco di Armungia, il quale riteneva che Porcu, con la sua musica, “fuorviasse” i fedeli dalle funzioni religiose domenicali.  Il rapporto tra suonatori di piazza e clero, in Sardegna, venne sempre regolato da accordi orali più che scritti. Tali accordi, in genere, prevedevano che prima si svolgessero le funzioni religiose e, solo in seguito, i divertimenti coreutico-musicali. Gli storici riferiscono che, fino agli anni ’30, le launeddas furono sempre tollerate e ammesse all’interno di funzioni religiose e durante le processioni, ma l’argomento è troppo vasto per essere trattato in questo contributo in modo compiuto.  Nella prima metà del XX secolo, altri due fattori portarono ad aggravare la posizione dei suonatori di Launeddas. Il primo è riferibile all’ingresso in guerra dell’Italia, il secondo fattore è legato all’introduzione e all’uso dell’organetto e della fisarmonica, i quali progressivamente sostituirono gli strumenti polifonici tradizionali un po’ in tutto il sud dell’Isola. La tenacia caparbiamente conservativa di alcuni anziani musicisti, tra cui Aurelio Porcu, permise la continuazione della tradizione delle launeddas in alcune zone dell’Isola. Infatti, rispetto alle tradizioni musicali, nel secondo dopoguerra, le istituzioni pubbliche si mostrarono poco attente e, in Sardegna, riuscirono a promuovere solo alcune importanti ricerche etnomusicologiche. Aurelio Porcu riteneva importante trasmettere alle giovani generazioni la conoscenza e la “ricchezza” dello strumento tricalamo e per questo motivo, negli ultimi decenni, collaborò attivamente a diverse iniziative d’insegnamento, ricordando che per suonare bene era indispensabile quello che definiva “l’istinto di natura”.
Da diversi anni, a Villaputzu è operativa l’Associazione culturale “Maistus de Sonus”, all’interno della quale agiscono alcuni giovani suonatori formatisi alla scuola di Porcu, tra cui Andrea Pisu e Giancarlo Seu. L’Associazione è promotrice del “Festival delle Launeddas”.   Giovanni Casu, da anni il suonatore più rappresentativo della cosiddetta Scuola di Cabras, era molto amico di Porcu e lo considerava come un padre. Quando quest’ultimo decise di smettere di suonare in pubblico (o comunque di rallentare molto le uscite), a Cabras, il 26 maggio del 1996, venne organizzata in suo onore una festa riservata, alla quale parteciparono oltre alla moglie, signora Claudia, i noti cantori cabraresi Salvatore Murtas (detto “Patata”) e Salvatore Manca (detto “Gavaurru”). Su richiesta di Porcu, furono arrostiti grosse anguille (dette “filatrote”) e muggini (preparati “a mrecca”), accompagnati da vino rosso, vernaccia e “filu ’e ferru” (acquavite sarda). Una giornata musicale indimenticabile.  Casu ci ha raccontato che Porcu era solito ricordare ai giovani allievi che la “prima” scuola di launeddas non si deve mai dimenticare, in quanto rappresenta il corrispettivo delle scuole elementari per chi diventerà maestro. Inoltre, ci ha ricordato che egli invitava i giovani a evitare quelle inutili dispute verbali, che talvolta caratterizzavano il rapporto professionale tra i virtuosi dello strumento.  Ogni musicista, secondo Porcu, doveva concentrarsi sull’esecuzione del proprio repertorio, suonando con serietà e abilità, al fine di tenere alto l’orgoglio del proprio paese. Lasciando, poi, al pubblico la libertà di apprezzare o meno le doti tecniche di ogni suonatore. In merito alle qualità umane, il suonatore di “bídulas” Peppe Cuga ci ha riferito che «tziu Aureliu era un uomo favoloso. Le volte che l’ho incontrato, era sempre scherzoso. Un giorno ci siamo trovati prima di una manifestazione pubblica ed erano presenti le rispettive mogli. Mi salutò con uno sguardo e un cenno della mano, poi andò subito ad abbracciare la mia giovane moglie e scherzando disse: - Così li facciamo un po’ ingelosire. Ridemmo tutti e quattro. Rispetto alle suonate, ricordo che tziu Aureliu una volta me ne parlò facendo riferimento allo scorrere di un fiume. Partono lente, poi man mano s’ingrossano e si sviluppano (…). Era veramente un grande suonatore che usava da virtuoso anche la mano sinistra per le melodie (...)».
Non a tutti sono note le sue qualità di cantante e di ballerino. Storiche rimangono le incisioni di una “canzone a curba” e di un “muttettu”, nelle quali Aurelio Porcu venne accompagnato con le launeddas da Antonio Lara.  Tali incisioni, molto acutamente, furono selezionate da Bentzon e inserite in una pubblicazione (“Is Launeddas”) ideata da Gianni Bosio, per arricchire le produzioni sonore dell’ “Istituto Ernesto De Martino”. Nel 1972, alcune sue suonate vennero incluse nel disco “La zampogna in Italia e le launeddas”, curato da Roberto Leydi e da Bruno Pianta. Unanimemente apprezzato per le sue doti musicali, in alcune rassegne “world”, Porcu ebbe modo di suonare dal vivo con musicisti di varia estrazione musicale (tra cui, Ornette Coleman, sassofonista Jazz; Michel Aubry, suonatore di cornamusa; Badal Roy, tablista indiano). Come interprete, Porcu compare nel documentario “La musica è quattro” (regia di Rosalie Schweizer) e in diversi servizi televisivi, nei quali è stato immortalato nella sua tipica postura, concentratissimo e con gli occhi serrati durante l’esecuzione delle suonate.In merito  alle pubblicazioni discografiche, ricordiamo quella pubblicata, negli anni ’70, dalla “Tirsu”, con il titolo “Danze a launeddas”. Come ricordatoci da Giovanni Casu, Aurelio Porcu fu anche uno dei più importanti costruttori di launeddas, il quale possedeva una raffinata tecnica nella realizzazione delle ance. Virtuoso dello strumento, Porcu suonava con disinvoltura i diversi “cuntzertus”, in particolare “Fiorassiu, Spinellu (o ispinellu), Punt’ ’e organu, Zampogna, Fiuda Bagadia” (detta anche “Fiudedda”).Vi è da rilevare che ogni “cuntzertu” è realizzato con ambiti scalari, ai quali corrispondono specifici rapporti intervallari tra le singole note e tra le “accordature” delle tre canne. L’estensione delle launeddas normalmente si sviluppa entro tre ottave.

Per non dimenticare
A. D. 2007, venerdì 15 giugno. In questa data si tennero a Villaputzu i funerali di Aurelio Porcu. Nel suo paese, “tziu Aureliu” (come veniva affettuosamente chiamato da amici e compaesani) venne ritualmente salutato per l’ultima volta con le launeddas, suonate da alcuni suoi allievi nel corso delle celebrazioni funebri.  Tuttavia: “Ars longa, vita brevis”. Grazie alle registrazioni audio e video e agli scritti a lui dedicati, le sue suonate e il suo percorso artistico continueranno a essere ricordati negli anni a venire. Con il cuore e la mente inondati dalle sue fluenti ritmiche polifoniche, ripensiamo al messaggio che, con tenacia e decisione, volle insegnare agli allievi ai fini della salvaguardia di una Scuola strumentale, quella di Villaputzu, molto ben identificata nell’articolato panorama della musica sarda. Aurelio Porcu è stato uno dei più autorevoli maestri delle launeddas del Novecento. Profondamente attaccato alle proprie origini musicali, agì con la consapevolezza che, nonostante i cambiamenti sociali e tecnologici epocali, le launeddas restavano uno straordinario bene strumentale dell’umanità e simbolo per la Sardegna, capace di renderla musicalmente attraente in tutto il mondo.  La sua resterà una lezione di stile della quale sarebbe utile facessero tesoro anche le nuove generazioni, che invitiamo a spendersi con analoga passione, rigore e “cuncordia”, ai fini della tutela dei patrimoni di tradizione orale secondo consona sensibilità.

Paolo Mercurio

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