Nisia – Pandora e Cumpagnia (Homerecords, 2016)

Nisia è il nome di un duo composto da Emanuela Lodato e Vincent Noiret. “Pandora e Cumpagnia” è il loro secondo album, che segue a distanza di un paio d’anni l’esordio discografico con “Eredità”. Si tratta, in termini generali, di una ricerca sulle tradizioni musicali del sud Italia, orientata da una passione evidentemente profonda e sospinta da un progetto di diffusione di alcune sonorità italiane in un ambito internazionale. Il duo risiede, infatti, in Belgio e da lì “guarda” a una parte dei nostri suoni con attenzione, trovando una distanza interessante entro cui dare forma a una riproposta attenta ed equilibrata, alla base della quale si riconosce sì una sorta di passione romantica ma soprattutto un’interpretazione senza troppi vincoli, né formali né concettuali. Scorrendo i dodici brani in scaletta emerge il riferimento ad alcune tracce del repertorio popolare, scelte con il supporto della catalogazione e la documentazione effettuate in campo etnomusicologico o, più precisamente, antropologico e demologico – tra cui “Aò a figghia mia riposi un pocu” e “San Giusippuzzu unn’atu statu”, due ninna nanne raccolte rispettivamente a Ragusa e Siracusa da Antonio Uccello, “’Niminu”, presa in “Canti popolari siciliani raccolti e illustrati da G. Pitrè”, “Rosa canta e cunta” di Rosa Balistreri – ma vi sono anche diversi brani originali. Ora, sia questi che quelli, risentono di un insieme di influssi eterogenei. Non solo legati al paesaggio sonoro di tradizione orale a cui la band fa riferimento ma, più trasversalmente, a un panorama pieno di world music, dentro il quale tutti gli strumenti dialogano con equilibrio e dinamicità. A questo proposito (a proposito degli strumenti, con i quali centriamo il nucleo più denso di questa produzione) è necessario sottolineare una non comune attenzione all’incastro, che determina una timbrica coerente con il progetto generale sempre piacevole e armoniosa. Si potrebbe anche dire che questa piacevolezza – il risultato multiforme di un programma musicale, di una scelta narrativa, oltre che di ricerca delle fonti – è dovuta alla reiterazione di divergenze che aumentano considerevolmente lo spettro sonoro. Il quale, in altri casi e dentro metodologie di scrittura e di elaborazione meno strutturate, avrebbe sicuramente subìto il peso della reificazione e si sarebbe presentato come più astratto e solo apparentemente più coerente. La coerenza non è data dall’allineamento dei suoni prodotti dal duo con i suoni evocati dalla selezione delle fonti, ma piuttosto dalla capacità (tutta musicale) di spingere gli elementi che compongono l’insieme verso poli a volte anche opposti. In questo modo non solo si ravviva il repertorio di tradizione orale, ma si propone una lettura contemporanea di qualcosa che è stata generata e ha avuto uno sviluppo in ambiti culturali che ormai appartengono alla storia di un’area, di un gruppo sociale, e non certo alla nostra contemporaneità. In questo quadro, che trova la sua matrice nella convivenza di tamburelli, tammorre, bendir, riqq, jews harp e caxixi (suonati da Manuela Lodato) e contrabbasso, chitarra battente, glockenspiel e chitarra (suonati da Vincent Noiret), intervengono Virginia Maiorana con la fisarmonica cromatica, Antonio Putzu con zampogna, friscaletto e flauto, Pascale Snoeck (programmazione) e Ghalia Benali. Quest’ultima presta la sua voce in “Aò a figghia mia riposi un pocu”, un brano allungato prima sul dialetto siciliano e poi interpretato in arabo. A sostenere le due voci – che qui riassumono in modo esplicito le polarità dell’album – vi è soltanto la chitarra battente. L’atmosfera è tesa e stringe l’intero brano in un andamento piacevolmente ambiguo: prima più silenziosa e rarefatta, con parole allungate e melismatiche, poi più piena e cadenzata, con una voce più definita sul piano del ritmo. L’ambiguità riflette in fondo il contenuto del brano e, a corroborare l’idea di un’elaborazione intensa e viva di cui ci rende partecipi Nisia, il repertorio delle ninna nanne popolari. 


Daniele Cestellini

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