Michael Chapman – 50 (Paradise of Bachelors, 2017)

Strano destino, quello del chitarrista-cantautore di Leeds: a 76 anni, pur considerato un caposcuola e un innovatore dello strumento, non ha raggiunto la celebrità dei suoi coetanei e compagni di esordio (Ralph McTell e John Martyn, per citarne solo un paio), fama sfiorata più volte grazie a dischi che sono dei veri e propri capolavori (ad esempio i primi due: “Rainmaker” e “Fully Qualified Survivor”), e ancora in questi anni sopravvive suonando in bar e piccoli locali non tralasciando di render ancora più cospicua la sua già sterminata discografia con uscite scandite annualmente. Il nuovo disco “50” celebra i cinquant'anni di attività del musicista britannico; composto di materiale per lo più già edito, quasi tutto tratto dal catalogo più recente, e totalmente ri-arrangiato per l'occasione, fa da apripista per il primo tour importante da svariati decenni, con puntate in importanti festival, teatri e sale da concerto in tutto il Regno Unito e passaggi in Francia e Belgio. spirato da chitarristi di diversa estrazione come il jazzista Grant Green e il caposcuola del “primitive finger-style” John Fahey, del quale, grazie anche ad alcuni riusciti brani (e interi album) strumentali, è stato considerato l'omologo inglese, il suo stile deve in egual misura al jazz, al rock, al blues del delta e al ragtime. “50” è prodotto e arrangiato dal chitarrista americano Steve Gunn, che è anche titolare dell'etichetta Paradise of Bachelors (che, fra l'altro, si sta occupando della ristampa del back-catalogue di Terry Allen, incluso l'epocale album “Lubbock on Everything”). Gli ambasciatori del sound “New Cosmic Americana” come Meg Baird e Riley Walker citano spenno Chapman come fonte di ispirazione e non è difficile, grazie agli arrangiamenti di Gunn, che di quella scena è una sorta di guru, risalire a quella matrice sonora. La chitarra di Chapman, il suo stile e il suo finger-picking preciso sono rimasti impeccabili e efficaci; la sua caratteristica voce strascicata ha perso forse un po' di fascino, ma l'età l'ha ammorbidita. Brani storici come “The Mallard” e “The Prospector” hanno acquisito una veste sonora inaspettata ma sempre rispettosa dell'originale, altri come “Memphis in Winter” sono molto simili rispetto alle versioni primigenie. L'inedito “Spanish Incident” rievoca Dylan sin dal titolo con numerose citazioni dal canzoniere dylanesque (il protagonista si chiama Ramon e l'azione si svolge a Durango) e lo strumentale “Rosh Pina” sembra uscito direttamente dal recente “Fish”, raccolta di brani per chitarra uscita appena un anno fa. Il punto più alto del lavoro è il brano finale “Navigation”, ancora una volta simile all'originale ma con un sound che rende giustizia alla produzione di Gunn. In conclusione, un disco che, se non aggiunge nulla all'opera di Chapman è un punto di partenza per riscoprire il musicista e il personaggio e può invogliare anche a riscoprire i suoi lavori degli anni '60 e '70, fra cui il bellissimo “Deal Gone Down” del 1974 recentemente ristampato con numerosi inediti e, magari, l'omaggio “Oh Michael, Look What You've Done”, registrato nel 2012 , fra gli altri, da Thurston Moore dei Sonic Youth, Meg Baird e Bridget St. John che presta le armonie vocali anche in questo “50”. 


Gianluca Dessì

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