La seconda edizione del “Festival Popolare Italiano - Canti e corde, mantici e ottoni”, con la direzione artistica di Stefano Saletti, ha preso il via il 1 marzo al locale del Pigneto ‘Na Cosetta; un inizio col botto, potremmo dire, visto che il primo concerto è stato “Extra”, della band romana Têtes de Bois. C’era un’aria particolare a Roma quella sera: aria di derby d’andata, quello della semifinale di Coppa Italia. E quando si tratta delle squadre della Capitale tra i vicoli di Roma c’è sempre un’aria rarefatta, quasi irreale. Un’aria che è rimasta anche dopo ma nessuno in quei vicoli ha fatto “a pezzi una canzone”, come avrebbe detto Lucio Dalla. Tutt’altro: è stata una bella nottata di musica e di poesia, in un ambiente sereno e caldo. Se Stefano Saletti ha temuto di non riuscire a ricreare il clima amicale e soddisfatto che solo l’arte, il buon vino e il calore umano sanno dare - quel clima che nella prima edizione si era creato felicemente al Baobab - ebbene, si è sbagliato. Si è capito subito invece che questo Festival vuole vivere e sa dove andare.
Come era quasi scontato, i Têtes de Bois, tra eleganza e sottile e bonaria ironia, non hanno deluso. Anzi: sono sempre garanzia di benessere e di riuscita. Lo sapevamo e anche il 1 marzo ce lo hanno confermato. Un avvio autorevole e allo stesso tempo rassicurante che ha fatto bene ai presenti.
La sala è piccola e ci si mangia, ma il rispetto della musica è al primo posto ed era tutto pieno. C’era soprattutto la volontà collettiva di stare bene, di fare squadra, di lasciare spazio solo alla poesia. E cosa c’è di più popolare della poesia? Perché è stata lei a farla da padrona. Il gruppo ha presentato il disco “Extra”, vincitore nel 2015 della Targa Tenco per la migliore opera di canzoni non proprie. Un album interamente dedicato a Léo Ferré: per i Têtes era il secondo cd dedicato al grande artista monegasco e il concerto si è mosso attraverso le tracce dei due dischi, alla ricerca dei grandi poeti: da Rimbaud a Baudelaire, da Porta a Campana, da Verlaine a Ferré naturalmente. Non sono mancati gli ospiti: la giovane italo-canadese Sara Jane Ceccarelli, che ha cantato “There But for Fortune” di Phil Ochs (una bandiera antivietnamita che in era Trump ci stava proprio bene) e ha poi reso omaggio a Leonard Cohen (a proposito di poeti) con “Winter Lady”: la strofa in italiano è stata tradotta proprio da Andrea Satta.
È stata poi la volta di Canio Loguercio e Alessandro D’Alessandro con l’organetto – accompagnati al piano da Rocco de Rosa - a interpretare due brani del loro nuovo album sulle "Ipocondrie D’ammore", che sono allo stesso tempo poesia e musica popolari.
I Têtes de Bois hanno poi concluso raccontando la storia di Passannante Giovanni, cuoco di Salvia (ora Savoia di Lucania), repubblicano, attentatore della vita di Umberto I. Condannato al carcere a vita in condizioni inumane. Morto ma non seppellito. Il suo cranio e il suo cervello hanno fatto bella mostra al Museo Criminologico di Roma per quasi tutti i 150 anni di Unità nazionale. Tanto per omaggiare le teorie lombrosiane. Ebbene: per riuscire a far riconoscere il diritto sacrosanto alla sepoltura, gli amici Têtes de Bois e l’attore Ulderico Pesce hanno smosso mari monti e Castelli (nel senso del Ministro della Giustizia di leghiana memoria). Non bastò nemmeno Diliberto: ci volle un più democristiano intervento di Mastella. E ora Passannante riposa in pace. Nel paradiso dei ribelli, dei rivoluzionari, degli irriducibili al potere. Se preferite, degli anarchici. E con “Gli anarchici” di Léo Ferré si è conclusa la prima serata del Festival Popolare Italiano di Stefano Saletti.
Elisabetta Malantrucco
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