Speciale Folk-Rock: Pupi di Surfaro, NiggaRadio, Akkura, Karbonica, Sine Frontera, Daushasha, NH3, Ivan Romano, Pier Mazzoleni, Alea, Lisa Giorè

Pupi Di Surfaro – Nemo Profeta (Autoprodotto, 2016)
Vincitori dell’ultima edizione del Premio Andrea Parodi e finalisti al Premio Fabrizio De André, i Pupi Di Surfaro sono un trio folk-rock siciliano con alle spalle un percorso artistico ormai decennale che li ha visti pubblicare un Ep e due album, ma soprattutto mettere in fila numerosi concerti in tutta Italia. A distanza di tre anni dalla pubblicazione di “Suttaterra” tornano con “Nemo Profeta”, album che raccoglie nove brani, arrangiati da Aldo Giordano e registrati presso Rec-Studio di San Cataldo (CL). Rispetto ai lavori precedenti, questo nuovo album vede il gruppo abbandonare gli stilemi e gli strumenti della tradizione popolare siciliana per aprirsi ad un nuovo percorso di ricerca sonora tra elettronica e rock, il tutto partendo da una rinnovata consapevolezza nelle loro radici culturali. Antico e moderno, melodia e rumore, acustico ed elettrico si sposano a testi graffianti, provocatori e dissacranti cantati ora in dialetto siciliano, ora in italiano ora ancora in inglese. Ad aprire il disco è la trascinante “Li Me’ Paroli”,  brano che li ha condotti alla vittoria del Premio Parodi e nel quale sono sintetizzate bene le istanze sonore e liriche del disco, racchiudendo una invettiva contro la mediocrità e la banalità spesso imposte dalla società moderna. Se “Quannu Diu Fici A Tia” nasce come omaggio all’opera del poeta siciliano Bernardino Giuliana, la successiva “Kicking The Donkey Style” è un fortunato esperimento sul contrasto tra l’inglese e il marranzano con la complicità di Davide Urso dei Beddi. Di grande intensità è poi “’Gnanzou”, nata dalla collaborazione con il musicista senegalese Jali Diabate, nella quale si intreccia il canto della mattanza “Cialoma” con un testo che racconta il dramma dei migranti che troppo spesso vedono le loro speranze naufragare nelle acque del Mediterraneo. Si prosegue con la bella rilettura di “Ruzaju” dal repertorio di Andrea Parodi, e “Soldatino” che intreccia la struttura di un canto fanciullesco con un testo sulla follia della guerra. La ballad “Per Amore, per Libertà” ci conduce verso il finale del disco con “L’Arca di Mosè” in cui sono citati alcuni brani della genesi e la preghiera laica “Soffio dell’Anima”. Insomma, questo terzo album dei Pupi Di Surfaro non può che confermarci pienamente le buone impressioni ricevute dal lavori precedenti, e tutta la bontà del loro progetto artistico.

NiggaRadio – FolkBluesTechno’n’Roll… e altre musiche primitive per domani (Dcave Records, 2016)
“Folkbluestechno’n’roll… e altre musiche primitive per domani” è il secondo album dei siciliani NiggaRadio e giunge a due anni di distanza dal fortunato esordio “’Na Storia”, durante i quali hanno avuto modo di mettere in fila numerosi concerti e raccogliere importanti risultati come le partecipazioni all’edizione 2015 del Concerto del Primo Maggio, al Medimex e al Cous Cous Festival. Prodotto, registrato e missato da Daniele Grasso, il disco raccoglie undici brani inediti che vedono la band siciliana proseguire il cammino tracciato nell’album di debutto, proponendo un originale intreccio tra la tradizione siciliana e le sonorità d’oltreoceano, il tutto impreziosito dall’utilizzo di strumentazione vintage. In questo senso è importante quanto scrivono nella presentazione del disco: “Usiamo parole e musiche di ieri, di oggi, le misceliamo per un domani possibile. Sei canzoni “collettive”, cinque “personali”, buone per tutti o per nessuno, chi può saperlo”. Aperto dall’anthem “U me dirittu", il disco entra subito nel vivo con il torrido blues sul lavoro nero “Messinregola” e l’alt-folk introspettivo di “Rema” con la partecipazione di Cesare Basile. Se il singolo “’U balcuni ‘i l’incantu” è un sinuoso canto d’amore radiofriendly, “Cantò” è un inno d’amore verso la loro terra. L’istantanea da un mercato del sud Italia “’A fera” e il canto di non amore “Senza” ci conducono poi a “Nananà” canzoncina sullo shopping compulsivo che si presta perfettamente al contrasto con la storia di emigrazione di “’U pullman pa’ Germania”. L’electroblues “Signuri” e il folk acustico “Dimmi unni si” suggellano un disco pregevole che non mancherà di regalare belle sorprese agli ascoltatori.

Akkura – Cosmotropico (Malintenti Dischi, 2016)
Nati alla fine degli anni Novanta, gli Akkura sono una band palermitana dalla ormai consolidata esperienza discografica e concertistica in Italia come all’estero, a cui si aggiungono prestigiose collaborazioni come quella con Arto Lindsay, e due dei più autorevoli rappresentanti della nuova scena brasiliana, Moreno Veloso e Domenico Lancellotti. A distanza di sette anni dal pregevole “Brucerò la vucciria con il mio piano in fiamme”, li ritroviamo con “Cosmotropico”, album che mette in fila nove brani nuovi di zecca nei quali la canzone d’autore si sposa ora con influenze world, ora con i suoni del mediterraneo, ora ancora con la musica sudamericana, il tutto impreziosito dalla partecipazioni di alcuni ospiti come Angelo Sicurella (Omosumo), Fabrizio Cammarata e Serena Ganci. Durante l’ascolto ad emergere è senza dubbio il lavoro di ricerca compiuto sulle melodie e la particolare attenzione per le poliritmie che si sostanzia nell’incontro con il battere e levare giamaicano dell’iniziale “Fame e Sete” e nel groove di “Io, Nico ed Emily”, per pervadere prima la trascinante “Cavallo” e poi le sonorità spaziali di “Daubaidesì”, fino a giungere all’incontro con la canzone d’autore di “Sera e “Reminiscenz” e da ultimo i suoni dell’Africa di “Peresoso”, quest’ultima in debito di ispirazione con Paul Simon. Insomma, “Cosmotropico” è un altro ottimo lavoro per la band siciliana, ormai pronta a salpare verso il più che meritato successo.

Karbonica – Quei Colori (Autoprodotto, 2016)
Segnalatisi in vari festival e rassegne, nonché per la partecipazione al tributo a “17 Re” dei Litfica, i Karbonica sono una rock band siciliana che giunge al debutto con “Quei Colori”, album che segue a quattro anni di distanza la pubblicazione dell’Ep “Live in Studio”. In questa loro opera prima hanno raccolto dieci brani originali dal tratto modern rock, caratterizzati da un interessante tra influenze pop, hard rock e alternative, in cui protagoniste sono le due chitarre elettriche ben supportate dalla sezione ritmica. Durante l’ascolto si spazia da brani che raccontano la crisi economica di questi anni e la sua ricaduta sociale (“L'inganno”, “Pezzo d'Africa” e “Ti racconterò”), a spaccati introspettivi (“La tua città”), passando per momenti più spensierati (“Libera”) e canzoni d’amore (“Quel bisogno che” e “Scappo”), senza dimenticare una dedica alla musica (“Lei è musica”). “Quei colori” è insomma una buona prova iniziale e siamo certi che in futuro i Karbonica sapranno mettere sempre più a fuoco la loro ispirazione e le loro potenzialità.

Sine Frontera – Restiamo Umani (LeParc Music/IndieBox Music, 2016)
Anticipato dal singolo “Mar dei Migranti”, “Restiamo Umani” è il nuovo disco della band mantovana Sine Frontiera con il quale rendono omaggio alla figura di Vittorio Arrigoni, giovane reporter pacifista ucciso a Gaza nel 2011, e che con questa affermazione era solito chiudere ogni suo articolo. Si tratta di un concept album, nel cui filo narrativo si dipana una profonda riflessione sull’uomo e le sue contraddizioni, ed in parallelo ci offre un’analisi sull’involuzione della società contemporanea. Dal punto di vista sonoro il disco si dipana attraverso sonorità differenti che spaziano dal patchanka dub della title-track al reggae della già citata “Mar Dei Migranti” passando per il folk di matrice irish di “Nubi Nere” e “Il Barbanera”, e lo sguardo verso le radici della tradizione mantovana con “Pino l’orb” e “La fòla del babau”. Non manca uno sguardo verso i Balcani con lo strumentale “Balkan” e “Circus” ma il vero vertice del disco arriva sul finale con la tenue elegia acustica “Le favole e le nuvole” che chiude il disco. 

Daushasha – Luna (LeParc Music/IndieBox Music, 2016)
Folkrock band veneta formata da sette strumentisti dal diverso background musicale, i Daushasha mescolano influenze che spaziano dalla canzone d’autore al punk fino a toccare la musica balcanica, il tutto permeato da una tensione continua verso la contaminazione. Dopo aver debuttato nel 2013 con “Canzoni dal Fosso” ed aver messo in fila numerosi concerti in tutta Italia e partecipazioni a festival come Home Festival, Suoni di Marca e Musica nelle, li ritroviamo con “Luna”, album nel quale hanno raccolto otto brani dal sound ora allegro e ballabile ora malinconico e riflessivo, caratterizzati da testi interessanti e mai banali. In questo senso piacciono brani come il singolo “Il Freno” la cui trama balkan la rende perfetta per i live act, la melodica “Canzone Clandestina” con le sue influenze gypsy o ancora la gustosa incursione nel kletzmer con “Luna abbraccia troppe stelle”. La bella rilettura del tradizionale russo “Oci Ciornie” chiude un disco forse non particolarmente rivoluzionario ma senza dubbio autentico ed appassionato.

NH3 – Hate and Hope (Long Beach Records/IndieBox Music, 2016)
“Hate and Hope” è questo il titolo del quarto album degli NH3, band pesarese dalla solida esperienza attiva a partire dal 2002. Il disco raccoglie tredici brani dall’affascinante storytelling che, nel loro insieme, si sviluppano intorno ai temi della speranza, da ricercare e riscoprire in valori come l’amicizia, la solidarietà e l’antifascismo, e dell’odio visto come la scintilla che fa esplodere il desiderio di rivalsa e la necessità di agire. Messaggi chiari e senza compromessi che si sposano alla perfezione con il sound dinamico e senza troppi fronzoli che caratterizza gli arrangiamenti metà strada tra punk e ska-core, con l’aggiunta di una potente sezione di fiati a rimarcare la loro attitudine combat. Durante l’ascolto a spiccare sono l’attualissima “No borders”, l’invettiva contro il moderno schiavismo de “La tratta degli schiavi” e la condanna della politica estera ne “L’odio”, ma soprattutto quel gioiello che è la loro originale rilettura di “Bella Ciao”, per nulla retorica ma piuttosto ben contestualizzata nel concept del disco. Insomma, gli NH3 con “Hate and Hope” hanno firmato un disco da ascoltare con grande attenzione.

Ivan Romano – L’inventore saltuario (Arie Record Studio, 2016)
Cantautore dalla solida esperienza maturata prima come bassista turnista e poi con la band Arie, Ivan Romano giunge al suo debutto come solista con “L’inventore saltuario” disco che raccoglie nove brani incisi presso il suo studio di registrazione a Cervinara (Av) con la partecipazione di un eccellente cast di strumentisti composto da Carmine Ioanna (Fisarmonicista), Nicola Albanese (Trombettista), Antonio De Nisi (Batterista), Giuseppe Branca (Flauto), Lorella Monti (Tammorra e cori), Massimo Palumbo (Piano) e Angelo Marino (Percussioni). Presentato nel corso dell’edizione 2016 dello Sponz Fest, organizzato da Vinicio Capossela, il disco mescola influenze diversificate che spaziano dalle melodie della tradizione musicale campana ai ritmi latini, con l’aggiunta di una particolare cura per i testi in cui a dominare è il tema dell’amore, ora per una donna, ora per la musica ora ancora per la propria terra. Aperto dalla onirica title-track, l’album scorre piacevole durante l’ascolto facendosi apprezzare per il songwriting diretto ed essenziale di brani come “Vento di primavera”, “Salento” e “Sarebbe Inutile”, fino alla bella sorpresa finale con la rilettura folkie di “Voce ‘e notte”. 

Pier Mazzoleni – Gente di terra (Autoprodotto, 2016)
“Gente di terra” è il quinto disco in studio per Pier Mazzoleni, cantautore dalla lunga esperienza in ambito jazz, il quale ha raccolto undici brani, scritti in collaborazione con Domenico Ventura e caratterizzati da arrangiamenti acustici. Si tratta di una sorta di concept album sul mondo e sui nostri tempi in cui l’esigenza di fuggire verso un futuro migliore si accompagna alle paure degli uomini in cammino. Il tema del viaggio viene, così, declinato attraverso uno storytelling asciutto e diretto, nel quale si innestano spaccati riflessivi dettati dall’esigenza dell’autore di indagare in parallelo anche sé stesso. Durante l’ascolto a spiccare sono brani come l’inziale “Un giorno un uomo”. che ci offre un ritratto di un uomo che ha saputo attirare a sé la gente con la sola forza della parola, il toccante ritratto di “Dolce Maddalena”, l’evocativa “Uomo di legno” e l’intensa title track. Insomma “Gente di terra” affascina per le sue trame poetiche, perfettamente incorniciate da strutture musicali eleganti e raffinate.

Alea – Spleenless (Luna Rossa Records, 2016)
Appassionatasi sin da piccola alla musica ed attiva artisticamente su più fronti, Alessandra Zuccaro in arte Alea è una giovane e talentuosa cantautrice pugliese che giunge al suo debutto con “Spleenless” disco, nato dalla collaborazione con il pianista ed arrangiatore Pasquale Carrieri e registrato live in direct presso gli studi della Corrado Production. Nelle sue canzoni, la cantautrice pugliese si racconta a cuore aperto ed allo stesso tempo racconta gli altri, partendo dal concetto di spleen baudelairiano che la porta a sfuggire ai disagi generazionali attraverso la musica. Ogni brano racchiude un pensiero, uno stato d’animo, una sensazione sia essa l’angoscia per il futuro o l’esigenza di apparire, ma il tutto è raccontato attraverso un songwriting leggero e dal sapore agrodolce. In questo senso ci piace citare l’iniziale “Never better”, scelta anche come singolo di lancio, il R&B “Dentro Me”, e l’introspettiva “Non c’è pace” ma il vero vertice del disco arriva con la bella rilettura di “Miss Celie’s blues” di Quincy Jones che mette in luce tutte le qualità di Alea come interprete. “Spleenless” è, dunque, una buona opera prima che ben evidenzia le potenzialità della cantautrice pugliese.

Lisa Giorè – Le vie dell’insonnia (Volume! Records/Boxtune/Believe Digital, 2016)
Elisa Giorello, in arte Lisa Giorè, è una giovane cantautrice e bassista senese con alle spalle studi in ambito musicali e già attiva con la band La Fabbrica di Polvere con la quale ha dato alle stampe un album nel 2014. A distanza di due anni da quest’ultimo arriva il suo debutto come solista con “Le vie dell’insonnia”, disco che raccoglie dieci brani di matrice pop-cantautorali in cui si mescolano influenze che spaziano dal rock all’elettronica fino a toccare il folk e lo swing. A caratterizzare però i brani sono i testi molto personali, come racconta la stessa Giorè: “Il filo conduttore tra i brani dell’album è uno stato d’animo incline a colorarsi di grigio, costantemente in bilico tra ansia, autocontrollo, ossessioni, percezione alterata della realtà. I testi sono curati maniacalmente, sono fiumi di parole utilizzate per costruire poesie agrodolci, atmosfere malinconiche, immagini surreali e parentesi ironiche: l’obiettivo è quello di unire melodie piacevoli, ricche di suoni, riff e ritornelli orecchiabili ed incisivi, a liriche elaborate che devono essere ascoltate con attenzione per essere comprese fino in fondo”. Durante l’ascolto si spazia tra brani trascinanti con repentini cambi di tempo e momenti più riflessivi e poetici. Ad aprire il disco è la trascinante “Lo stato attuale delle cose” seguita dall’amara ed inquieta “Aria di tempesta” e dalla desertica “Sabbia” tutta giocata tra piano e chitarre. Se “Danza Macabra” racchiude un incubo surreale, la seguente “Settembre” è il racconto sofferto della lenta perdita della propria essenza cancellata da una malattia. L’attualissima “Scarse prospettive” apre la strada alla storia d’amore “Parlo di te” mentre “Dracula” nasconde una doppia lettura metaforica su coloro che sfruttano il prossimo a loro beneficio. L’introspettiva “Il contrario del silenzio” e l’incursione nell’elettronica de “L’effetto del vento” chiudono un lavoro di buon spessore cantautorale.


Salvatore Esposito

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