Palestine Music Expo, vetrina della scena musicale palestinese

Un punto di partenza per tracciare una geografia sonora della Palestina è il doppio album pubblicato dalle Rough Guides nel 2014: un’antologia di artisti che vivono nei Territori Occupati, in Israele o che sono parte della diaspora palestinese. Un disco che offre un panorama di stili e approcci molto variegato, dalla centralità dell’’ūd dei fratelli Joubran e di Hosam Hayek al canto appassionato di Amal Murkus, dal reggae del Golan dei Toot Ard al rock di Nazareth di Jowan Safadi, dal chitarrismo jazz di Michel Sajrawy alle sperimentazioni di Kamilya Jubran e Werner Hasler, dal bouzouk del compositore Ramzi Aburedwan (fondatore dell’associazione Al Kamandjâti) al rap del trio Dam. Andando oltre “Rough Guide to the Music of Palestine”, dovremmo parlare di tanti altri artisti, tra i residenti e i diasporici, quali gli oudisti Samer Totah (anche costruttore del liuto arabo a Ramallah) e Adel Salameh, dei fratelli Chehade, del Kohoury, degli sperimentatori Checkpoint 303, dei rocker El Contanier, della folk singer anglo-palestinese Reme Kelani (da ascoltare il suo nuovo live album, “Reem Kelani: Live at the Tabernacle”). E che dire dell’Orchestra Giovanile nata in seno alle attività didattiche del Conservatorio “Edward Said”? Poi c’è la fiorente scena hip hop con DAM, Shadia Mansour e altri ancora, nonché un circuito indie rock e folk tutto da scoprire. 
La crescita del panorama musicale palestinese si rispecchia nei festival che, tra immense difficoltà organizzative, stanno sbocciando a Gaza e in Cisgiordania, come il Palestine International Festival for Dance and Music, il Jasmine Festival e The Sea and Freedom Festival. La grande novità di quest’anno è il lancio di una tribuna per la cultura musicale contemporanea palestinese, rappresentata dal prossimo Palestine Music Expo (PMX), tre giorni di showcase e altre iniziative culturali e di incontro di professional del settore, che si svolgerà dal 5 al 7 aprile 2017 nella città della Cisgiordania di Ramallah e ad Haifa, ma si spera di poter realizzare un tour anche a Gerusalemme. Gli ideatori sono Martin Goldschmidt, fondatore dell’etichetta indipendente britannica Cooking Vinyl, e Mahmoud Jrere dei DAM, che hanno radunato artisti e operatori culturali palestinesi. Tutto è iniziato nel 2015, quando durante la rassegna "Tune In Tel Aviv”, Goldschmidt ha voluto cambiare prospettiva rispetto al conflitto israelo-palestinese recandosi… dall’altra parte, in Cisgiordania. Nel corso di un incontro con musicisti palestinesi, è stata concepita l’idea dell’Expo. All’interno dell’Advisory Board, entrati nella cordata creata da Goldschmidt, ci sono l’organizzatore del festival di Glastonbury Nick Dewey, Benji Rogers, fondatore di Pledge, Stephen Budd di African Express Project e l’altro veterano di Glastonbury, Martin Elbourne. Tra i partner anche l’organizzazione non governativa britannica In Place of War, che fa capo all’Università di Manchester. 
Abbiamo raggiunto Mahmoud Jrere, originario di Lyd, fondatore dei DAM, storico trio di rapper con passaporto israeliano, da almeno dieci anni uno dei crew più in vista della scena hip hop locale. Jrere sta ultimando il suo primo album solista (“Eqaa’ Elqabila”), un mix di hip hop, elettronica, metal rock e tradizione araba per denunciare settarismo, stereotipi e violenza sulle donne. Ci introduce alle ragioni dell’Expo. 

Come nasce il PMX?
«L'obiettivo del Palestine Music Expo è di sostenere i musicisti locali e di collegarli con la scena musicale internazionale. Con questo scopo, organizziamo una tre giorni, che diventerà una vetrina di musica dal vivo, che aprirà nell’aprile 2017. Abbiamo creato un team di musicisti e attivisti. Con me che sono fondatore e membro del gruppo hip hop DAM, c’è Martin Goldschmidt, c’è Abed Hathout, membro del gruppo rock Khalas, e Rami Younes, che è un attivista palestinese e giornalista.

Come è finanziato?
L’Expo è finanziato da donazioni di amici, che hanno aderito alla gofundme campaign, dalla Qattan Foundation e da Cooking Vynil. Stiamo continuando la raccolta di fondi, a cui si può aderire.

Cosa prevede il programma?
Speriamo di puntare i riflettori sulla scena musicale palestinese e condividere la bellezza della nostra cultura. Ci saranno artisti affermati ed emergenti per il pubblico locale e delegati dell’industria musicale internazionale, tra cui case discografiche, agenzie di booking, promotori di festival e media. Lo sforzo è quello di costruire relazioni e sviluppare opportunità di networking in Palestina. Stiamo ancora lavorando all’organizzazione, i musicisti possono aderire attraverso il nostro sito. Il pubblico e i nostri ospiti sono invitati a partecipare agli showcase e a interagire con gli artisti per comprendere come creiamo musica in Palestina. Per ora più di venti artisti hanno chiesto di partecipare e ci sono trenta ospiti dall’estero. Stiamo ancora lavorando al programma degli showcase e ai luoghi che li ospiteranno.  Il PMX avrà come centro di concerti e workshop Ramallah, ad Haifa ci saranno altri eventi che precederanno la tre giorni. Stiamo anche pensando a un tour a Gerusalemme. Per adesso, a Ramallah saranno il Beit Anisa e GrandPark Hotel e a Haifa, il Kabareet Bar e il teatro Al-Midan.

Novità da tenere d’occhio nella scena musicale palestinese?
Ci sono molti artisti che stanno emergendo, ma ciò che più mi entusiasma è la sua diversità. Mi vengono in mente Rash Nahas, Hawa Dafi, Bil3ax, Ghazal, Maysa Daw, che è anche membro dei Dam, e che sta per incidere un album solista.

Quali le difficoltà per gli artisti palestinesi?
Ce ne sono molte, ma dovendo parlare della principale barriera per un musicista palestinese, devo per forza iniziare dalla situazione politica e dall'occupazione che limitano agli artisti palestinesi la possibilità di viaggiare o di esibirsi al di fuori della Palestina. Per un musicista palestinese che vive a Gaza è quasi impossibile viaggiare, anche andare a suonare in Cisgiordania, che è considerato Territorio Palestinese, è una grande sfida. La maggior parte delle volte gli occupanti israeliani non concedono  il permesso. Anche per il palestinese che vive in Cisgiordania quel viaggio è anche una sfida, ma non è difficile come a Gaza. In un certo senso, un musicista palestinese dovrebbe avere l’abilità dei Ninja così per poter suonare all'estero: è davvero frustrante. Era più facile per un palestinese che viveva nel ’48…
Quella dei Territori è una scena musicale senza etichette discografiche o agenzie di booking. Perfino i canali radio in Cisgiordania e a Gaza passano più musica internazionale che palestinese. Eppure, vediamo che ci sono nuove band e musicisti che fanno dischi e tanta buona musica. Con l’Expo contiamo di iniziare a cambiare le cose e di sostenere la scena musicale. 

Come si può sostenere l’Expo?
Vorrei dire ai lettori e agli addetti ai lavori che PMX ha bisogno del loro sostegno. È possibile donare alla campagna di gofund (www.gofundme.com/palestinemusicexpo . Tutte le donazioni raccolte saranno utilizzate per pagare i costi di copertura delle spese di viaggio e di alloggio per i nostri delegati, nonché quelli di produzione associati con la gestione degli eventi e degli incontri. Sarà anche istituito un fondo di 10,000 dollari per assistere i musicisti palestinesi. 





Ciro De Rosa

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