Mattinata fresca qui a Santiago. Mi reco alla Cidade da Cultura, stupenda opera di architettura contemporanea che ospita la ventitreesima edizione della fiera-festival Womex, con molta curiosità e soprattutto con la corroborante convinzione che ci incontrerò tutti gli operatori di questo sempre più misterioso mondo della world music, su cui si è dibattuto recentemente anche al Premio Parodi a Cagliari. Arrivo a questa edizione ancora più confuso e curioso di tastare il polso alle nuove proposte per l'anno lavorativo che cercano ingaggi almeno fino all'estate, e mi accoglie il consueto frenetico viavai che si svolge sui tre livelli della fiera, senza contare quello delle conferenze che non riesco neanche a visitare, data la mastodonticità del palazzo dove mi trovo. Come sempre mi guardo intorno per capire chi c'è dall'Italia, come sempre riscontro la presenza di tanti piccoli e medi addetti ai lavori, i quali singolarmente si presentano a queste occasioni (categoria che include senz'altro anche me e la mia etichetta). Gli unici in grado di fare lobby, nel senso originario del termine, ossia con un'accezione positiva, sono sotto il cappello di Puglia Sounds, anche se riscontro una presenza meno imponente in termini di stand rispetto a quanto visto a Marsiglia per il Babel Med o alla stessa edizione del Womex di Budapest 2015. Un altro piccolo gruppo si riunisce sotto la sigla di Toscana Musiche con tanto di brochure, poi tutte 'schegge impazzite', da Finisterre al sottoscritto;
addirittura c’è il Comune di Napoli, nella persona di Claudio de Magistris (la cui presenza apprendo dalla brochure, ma che non incontrerò nei giorni seguenti), c’è il manager di Enzo Avitabile e per chiudere con un artista, Stefano Saletti, con cui scatto il primo selfie di questa avventura. La giornata fila via liscia tra chiacchiere amichevoli con agenzie, giornalisti, festival, per arrivare alla fase degli aperitivi offerti nei vari stand. Oltre al canonico e sempre gradito vin santo e cantuccini firmato Musicastrada, mi imbatto in sorprendenti mescite di vino bianco e rosso nello stand Horizons, tutto gestito da inglesi,scozzesi, irlandesi e gallesi: una vera concentrazione di superstar: dal periodico Songlines alla Real World Records, dal Womad festival al Celtic Connections, fino a Sam Lee con i suoi compagni di viaggio del Nest Collective. Stesso dicasi dell'area Sounds of Spain, con Carmen Paris che ha inaugurato l'Expo con un concerto il 19. Faccio due chiacchiere con la sua manager, Mayte, ricordando con piacere la loro venuta a Napoli nella rassegna da me curata al Porto Petraio, e mi rendo conto che anche la loro presenza è organizzatissima, con tavoli per meeting ‘one to one’ dei principali festival ed agenzie. Per non parlare dello spazio di Austria e Svizzera con l’ottimo caffè offerto e persino dell'Azerbaijan, che sfoggia un allestimento davvero notevole. Duole dirlo, ma come al solito l'Italia non brilla in contesti come questo, superata in lobbying da paesi che considereremmo minori per tradizione e proposta musicale, ma che, diversamente, si dimostrano organizzati ed efficienti.
Sposiamoci nella sezione più avvincente, quella degli showcase di quarantacinque minuti l'uno, dislocati nel centro di Santiago, ma non esattamente contigui, per cui opto per lo stage dove il palco è doppio e posso assistere a più concerti. Il primo nella mia lista è quello di Trad'attack, trio estone con intenzioni piuttosto aggressive. Che dire? Mostrano grande energia ma la chiave di tutto Il set sembra essere il consueto 'cassa dritta' (in questo caso suonata dal batterista e non elettronica) più 'elemento folclorico, nella fattispecie una parente estone della cornamusa suonata con grande tiro dalla leader della band, che si distingue anche come flautista e persino con il famoso e trasversale scacciapensieri, che probabilmente appartiene anche alla tradizione musicale del piccolo paese baltico. Si tratta di un approccio prevalentemente rock, con chitarra distorta (anche se non elettrica...), batteria e in aggiunta la pirotecnica solista di cui sopra, un po' come se i White Stripes avessero dimenticato l'elettrica a casa ed offrissero posto ad una suonatrice di strada di Tallinn. Mi giro dall'altro lato per il set dei New York Gypsies All Stars....qui succede che un clarinettista macedone, un suonatore di kanun ed un batterista entrambi turchi, un pianista tastierista con cognome ispanico ed un muscoloso bassista sei corde greco si esibiscano nelle più incredibili ed ardite piroette in tempi dispari con unisoni che rasentano la perfezione e con uno sfoggio tecnico talmente esorbitante da risultare persino eccessivo all'ascoltatore.
Così come i Trad attack andrebbero benissimo in un festival rock, allo stesso modo i NYGAS farebbero faville in rassegne di jazz con retrogusto etnico. Ma ecco che mentre affiora la consueta domanda: "Ma allora cos'è questa world music?" Il nuovo palco è pronto per accogliere Faada Freddy, che la brochure indica come 'senegalese street-dandy style icon'. Abbastanza per incuriosire chi scrive. Apprendo che la band non ha strumenti, ma che si tratta di un sestetto vocale a cui vengono affidati i ruoli di basso, batteria, tromba, o presunta tale, body percussionist è così via. E devo dire che il set è davvero notevole. Quaranta minuti di spettacolo di prim'ordine, una voce e una presenza scenica super, con arrangiamenti al limite dell'incredibile se si considera che non si sente mai la mancanza degli strumenti veri. Il sound ha un che di soul/hip hop con punte di funk, con un groove incessante. Senz'altro la cosa migliore che ho sentito, world o non world... Cambio aria e location, assaggiando anche un tipo di palco più intimo, in teatro. Tocca ai Bareto, formazione peruviana di cumbia 3.0, con innesto di chitarra elettrica vagamente psichedelica e incursioni manuchaoesche di reggae e dub. Niente di speciale sul piano dell'innovazione, ma un sound davvero compatto che fa pensare che questa band avrebbe dovuto esibirsi non in teatro ma nella venue con volumi adeguati alla loro energia.
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