Ben Glover – The Emigrant (Appaloosa/I.R.D., 2016)

Il nuovo lavoro di Ben Glover è un disco che emoziona, cosa di per sé già abbastanza rara, ma ha una serie di altre caratteristiche che lo rendono uno dei dischi più belli e interessanti di questo 2016. Innanzitutto, non è facile rendere piacevole un CD che per larga parte prevede la ri-esecuzione di brani famosi e addirittura abusati del songwriting e della tradizione irlandese, ma Glover ci riesce grazie a una sempre elevatissima qualità dell'esecuzione e degli arrangiamenti, rigorosamente acustici (non sono mai presenti chitarra elettrica e batteria) e senza assoli ad appesantire strutture di canzoni che, belle come sono, si reggono assolutamente da sole; così come è rilevante che Ben si conceda qualche licenza sull'interpretazione di canzoni così famose (da “The Parting Glass”, a “Moonshiner”, a “Waltzing Matilda” di Eric Bogle, alla epica “The Auld Triangle” di Dominic Behan) tanto da farli sembrare, a loro volta, dei brani originali. A seguire, la qualità dei brani di nuova composizione, scritti da Glover con Mary Gauthier, Gretchen Peters e Tony Kerr, tutti bellissimi. Poi, la voce, sempre straordinaria, un timbro da rocker in un vestito da folksinger, matura, intonata, aromatizzata di torba e whiskey. Infine “The Emigrant” è il ritorno a casa del cantautore irlandese di Glenarm, contea di Antrim, che da oltre dieci anni ha stabilito la sua residenza a Nashville, condizione necessaria per poter stare a contatto dell'ambiente musicale americano che conta, soprattutto per un songwriter, ma non sufficiente per avere un successo che finora è stato limitato al circuito della canzone d'autore fra folk e Americana music contemporanea, almeno fino all'esplosione del progetto Orphan Brigade condiviso con Joshua Britt e Neilson Hubbard, ambedue, a diverso titolo, presenti in questo nuovo lavoro (il primo come grafico, il secondo come produttore), sodalizio che ha fruttato l'epocale “Soundtrack to a Ghost Story”. 
L’idea del disco, nelle parole dello stesso Glover, è quella della ricerca di un senso di appartenenza, esprimendo quei sentimenti universali che ogni migrante prova: irrequietezza, il tendere verso un'idea di casa, o qualcosa che le somigli, e la nostalgia. Nella track-list è difficile trovare un brano meno efficace degli altri; dirò che le versioni di “From Clare to Here” di Ralph Mc Tell e “The Band Played Waltzing Matilda”, nulla hanno da invidiare, anzi, sono addirittura migliori di quelle celebri di Nancy Griffith (la prima) e di Pogues o June Tabor, e che “Parting Glass” e “Moonshiner” (a.k.a. “The Wild Rover”) perdono totalmente la loro fastidiosa connotazione “drinking-song” per una resa raffinata e originale, così come “Green Fields of Antrim”, in un arrangiamento che sembrerebbe cucito per Tom Waits. Ma la preferenza va ai tre brani originali “A Song of Home”, “The Immigrant” e “Heart in my Hand”, dove l'uso di piano, uilleann pipes e violino rendono ancora più evocative melodie già superbe. Il lavoro è pubblicato in Italia da Appaloosa Records, su licenza Proper Records. Nel libretto allegato al CD sono presenti le traduzioni in italiano dei testi. Disco bellissimo e stra-consigliato, decisamente la migliore prova del cantautore irlandese. 


Gianluca Dessì

Posta un commento

Nuova Vecchia