No Logo Festival, Forges à Fraisans, Fraisans, dal 12 al 14 Agosto 2016

Una cartolina da Fraisans, No Logo Festival, nel segno dell’indipendenza 

È ormai assodato che per capire il reggae non è necessario andare in Giamaica. Perché in Europa esistono oggigiorno tantissimi artisti, luoghi ed eventi impegnati a legittimare un genere ancora collocato, per varie ragioni, in fondo alla scala delle gerarchie della musica popular (o meglio delle “musiche” popular). E gli organizzatori dei festival sembrano fare a gara per proporre cartelloni e location sempre più allettanti e ricercate. Come il No Logo che ha luogo da quattro anni alle Forges de Fraisans, un vecchio sito metallurgico trasformato in un “haut lieu” (ardua la traduzione in italiano) del patrimonio industriale della Franca-Contea proprio nel cuore dell’Alto Giura, riabilitato allo scopo di ridare vita a un luogo carico di storia. Il festival ubicato al punto d’incontro tra il fiume Doubs e un parco verde di 1100 ettari, si é svolto dal 12 al 14 agosto, in cui una carovana di visitatori paciosi e festanti ha invaso il piccolo centro del Giura, quasi raddoppiando le presenze della scorsa edizione (aumentate dalle 19000 del 2015 alle 36000 di quest’anno); il parco e la riva del fiume si trasformano per tre giorni all’anno in un’oasi accogliente tra musica, fumi e bagni di sole ed uno spirito calmo e allegro.
Questo il climax registrato tra i festivalieri accorsi qui da tutta la Francia e dalle nazioni limitrofe (Svizzera, Germania) per ascoltare i loro beniamini convocati da ogni parte del mondo e gustarsi l’incredibile panorama,  in perfetta sintonia con  l’attitudine spiccatamente indipendente del festival. La denominazione di No logo é infatti un riferimento del tutto voluto all’omonimo saggio di Naomi Klein (2000)e al  fenomeno del branding e del movimento no-global, di cui gli organizzatori condividono appieno l’ispirazione anti-brand e anti-globalizzazione  che traducono nell’ideazione di un evento culturale che non fa ricorso a finanziamenti, né pubblici né privati, e conta esclusivamente sull’adesione del pubblico a questo spirito no-global. Per queste ragioni lo sforzo di mettere insieme un cartellone di proposte musicali così prestigioso è apparso ancor più encomiabile visto e considerato che annoverava vecchie e nuove leggende della musica giamaicana, (venerdì 12), Morgan Heritage e Damian “Jr Gong” Marley, (sabato 13) Inner Circle e Israel Vibration, (domenica 13), The Congos e Kabaka Pyramid e band europee dall’ indiscussa consacrazione come i  Dub Inc (13), con un occhio di riguardo per  gli “autoctoni” come il dj e producer Manu Digital(12); e ancora Alborosie, Balkan Beat Box (14) e molti altri, alcuni dei quali già incontrati sul lato della costa atlantica francese, al Reggae Sun Ska, di cui abbiamo già raccontato.
Tra i nomi meno noti c’è da segnalare la performance della cantante olandese Leah Rosier, una sorta di “égérie” (testimonial) del festival accompagnata dalla locale Shine&Rise band; nel pomeriggio, sotto un sole cocente, é toccato alla ex-modella ed erborista di Amsterdam, presenza statuaria e voce d’angelo, dare la stura alla carrellata dei concerti dei nomi stellati che dal venerdì e nei giorni consecutivi hanno calcato il palco del No Logo Festival, dalla “royal family” del reggae Morgan Heritage al figlio del re, Damian “Jr Gong” Marley (12) che ha ripetuto il medesimo set del Reggae Sun Ska sul quale permangono le impressioni già riportate. Apprezzabile lo show dei figli dell’artista Denroy Morgan che hanno presentato brani intramontabili da “Protect Us Jah” fino all’ultimo album “Strictly Roots”. Nella prima serata, una sorprendente rivelazione é stata Flavia Coelho, la trentaseienne nata a Rio de Janeiro e trapiantata a Parigi da ormai dieci anni, di cui abbiamo particolarmente gustato la gradevole miscela di ritmi pernambucani e battiti in levare condensati in un’inebriante “Bossa Muffin” (l’album uscito nel 2011) e la vitalità contagiosa che questa novella Gal Costa dalla folta chioma di capelli ricci spruzzava da tutti i pori. Ma i nomi storici del reggae giamaicano sono giunti a Fraisans nella seconda serata (sabato 13), gli Inner Circle, ormai orfani della leggenda che fu Jacob Miller alla cui memoria i superstiti fratelli Ian e Roger Lewis hanno reso omaggio con brani quali “Forward Jah Children”, “A chapter a day”, e “Tenement yard”; questo momento commemorativo è stato il più memorabile di un set molto tirato e ricco di prestazioni in pieno stile statunitense, visto che la band si è trasferita a Miami da tempo.
Più roots e contemplativa è stata senza dubbio la performance di Skelly di Israel Vibration, altro trio vocale dell’epoca d’oro della musica giamaicana, fondato nel 1975 da tre musicisti malati di poliomelite, Cecil “Skelly” Spence, Albert “Apple” Craig et Lacelle “Wiss” Bulgin conosciutisi in un centro di riabilitazione per malati di polio a Kingston. Nel 2015 Wiss e Skelly hanno rilasciato il loro diciottesimo album in studio, “Play it Real”, per festeggiare i loro quarant’anni di carriera. Skelly é atterrato da solo in Europa a causa dei soliti problemi con il visto d’ingresso che ha trattenuto Wiss in Giamaica. Skelly si é sobbarcato il set in solitaria accompagnato da quella macchina ritmica che sono i Roots Radics, preparando egregiamente la scena in perfetto stile mistico agli Inner Circle e in chiusura Dub Inc, effervescenti come non mai. Domenica (14) la serata conclusiva con Alborosie, The Congos, Kabaka Pyramid e Balkan Beat Box, tra i più significativi. I Balkan Beat Box hanno irrotto sulla scena al tramontar del sole facendo saltellare tutti gli astanti con il loro lisergico gipsy-punk; Tomer Yosef, il cantante è un eccellente performer, israeliano di origine yemenita Yosef si è mostrato molto attento a uno degli aspetti più interessanti del fervore musicale emerso in Israele negli ultimi anni come la rinascita della cultura mizrahì, che appartiene agli ebrei di origine nordafricana e mediorientale, producendo ritmi per il trio vocale femminile A-wa.
Si tratta di comunità che hanno convissuto con quelle musulmane per secoli, intrecciando attività e relazioni, fino alla nascita dello Stato ebraico e alla conseguente ostilità tra le due fazioni; un modo come un altro, il suo e quello delle A-wa, per promuovere il dialogo e l’integrazione tra popoli e culture differenti. Tornando allo show, impossibile resistere alla scarica elettrica e al muro di suono di questi specialisti della patckanka, assai più godibili dal vivo. Il misticismo però l’hanno portato i leggendari The Congos di Cedric Myton; a quasi quarant’anni dalla realizzazione del loro capolavoro “The heart of Congos” prodotto da Lee Perry questo incredibile gruppo, passato attraverso varie disavventure è arrivato fino ai nostri giorni con la suggestione delle armonie vocali  pressoché intatta, il pubblico in trance ha applaudito e sognato fino alla fine. Ci aspettavamo di più invece da Kabaka Pyramid, giovane esponente del cosiddetto Reggae Revival, che ha omaggiato il compare Chronixx con una cover non molto convincente di “Who Knows”. Una menzione speciale per le coriste, che relegate nell’ombra, costituiscono spesso l’ancora di salvezza di molti show.



Grazia Rita Di Florio

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