Artista eclettico, dotato di una voce tenorile riconoscibile per bellezza, intensità e timbro, Marco Beasley è noto al grande pubblico per la sua lunga attività artistica con Accordone, gruppo unico nel panorama europeo nato dall’incontro con Guido Morini e Stefano Rocco, nonché per i vari progetti come solista e le collaborazioni come quella con L’Arpeggiata di Christina Pluhar e Nederlands Blazers Ensemble. Lo abbiamo intervistato in occasione della pubblicazione dell’album “Solve et coagula” con Guido Morini ed Accordone e del lavoro come solista “Il Racconto di Mezzanotte”, per ripercorrere con lui le tappe più importanti della sua formazione e del suo percorso artistico, per soffermarci in fine sui suoi più recenti progetti artistici.
Sin da piccolo sei stato attratto dalla musica della tradizione napoletana, e successivamente ti sei dedicato allo studio della musica vocale rinascimentale e barocca. Puoi raccontarci dei tuoi primi passi nel mondo della musica?
I miei genitori non erano musicisti ma in casa si ascoltava tantissima musica, in particolare quella legata ai cantanti americani, ai cosiddetti crooner: i vari Frank Sinatra, Nat King Cole, Pat Boone, Bing Crosby erano compagni di giochi durante la giornata. Questo perché mio padre, inglese di nascita e cultura, aveva contagiato mia madre, profondamente napoletana, con i ritmi che appartenevano ai suoi ascolti preferiti.
Come si sono indirizzati i tuoi studi in ambito musicale?
Dopo il diploma al liceo scientifico a Napoli, attraversai un periodo in cui non sapevo che fare, se iscrivermi all'università oppure cercare subito un lavoro. Decisi di seguire la mia passione di quel tempo e mi iscrissi alla scuola di volo dell'Aeroclub di Napoli: speravo ardentemente di diventare pilota, ma i costi per farlo privatamente erano molto alti, quindi abbandonai quest'idea pur conservando la passione per il volo. Ascoltavo molta musica e molta se ne faceva con gli amici. Ascoltavo commosso il Banco del Mutuo Soccorso, con la voce dell'indimenticabile Francesco di Giacomo che toccava il cuore e i suoi testi magnifici, ma anche Giorgio Gaber, il suo modo di fare teatro; i Pink Floyd, ascoltati rigorosamente al buio e ad alto volume così come i Gentle Giant o i King Crimson. Vivevo a Napoli e seguivo con passione e ammirazione il lavoro e la novità di Roberto De Simone e la sua Nuova Compagnia di Canto Popolare, imparavo le loro canzoni a memoria, si aprivano orizzonti e mondi interi con la potenza di quelle emozioni. Nonostante non avessi mai frequentato il Conservatorio mi iscrissi a Bologna, al DAMS, dove ho potuto sviluppare questa seconda mia passione, quella musicale. Non pensavo né di diventare musicologo, né musicista. Non sapevo bene quale sarebbe stato il mio destino, non mi importava, non ero veramente orientato. Mi piaceva, studiavo, la teoria musicale era difficile, complessa, tante volte mi sentivo incapace rispetto ai miei amici che provenivano da studi musicali consolidati ma alla fine è andata bene, mi sembra.
Quanto è stato importante per il tuo percorso artistico l'incontro con Cathy Berberian?
Fu un incontro che mi dette nuovi motivi per continuare la mia attività. I miei amici, fra i quali devo mettere in primis Stefano Rocco col quale continuo ancora oggi la mia attività di musicista, mi spinsero a frequentare un corso estivo di una decina di giorni da lei diretto, al quale mi iscrissi con mille perplessità. Non pensavo che una personalità così forte, così importante nell'ambito della musica colta potesse essere interessata a un giovane che muoveva i primi passi in un mondo a lui ancora poco conosciuto. Cathy Berberian mi ascoltò, mi ammise alla sua classe e cominciammo a dialogare sui come e sui perché di un certo modo di cantare, ascoltò le mie perplessità e le domande che da tempo mi andavo ponendo con i miei stessi amici e mi dette fiducia sull'uso della mia voce, mi disse che sarebbe stato un cammino lungo e difficile ma che avrei trovato una chiara identità vocale. Questa fiducia, questa spinta che mi ha sempre accompagnato e il pensiero di quegli anni di "costruzione", è costantemente presente in me, qualsiasi sia il palco sul quale mi trovo a cantare.
Dal punto di vista della vocalità, quali sono i tuoi riferimenti a livello stilistico?
Di certo la vocalità di stampo britannico mi ha sempre affascinato, ho sempre cercato quel tipo di sonorità che in un certo senso e per provenienza paterna mi apparteneva; ma essendo profondamente napoletano, una certa passionalità, un'apparente ma sofferta e interiore drammaticità ha sempre avuto una forte presenza nella mia voce. Mi reputo molto fortunato ad avere caratteristiche di entrambe le culture non solo musicali; la telluricità di un canto di tarantella passa attraverso la leggerezza delle melodie monteverdiane per poi accostarsi alla dolente solitudine delle melodie di John Dowland.
Nel 1984 hai fondato con Guido Morini e Stefano Rocco l'ensemble Accordone. Come si è evoluta la vostra ricerca e il vostro approccio al repertorio della musica antica in questi trent'anni?
Sulla scia delle ricerche musicologiche e sull'enorme banca dati che è la Biblioteca del Conservatorio Martini di Bologna. Il fenomeno della "musica antica" era in piena evoluzione alla fine degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta. Personalmente, lo studio della paleografia musicale, il cantare nel coro dell'Università i repertori che si studiavano teoricamente in aula, la frequentazione dei manoscritti originali (penso al periodo in cui cantavo nella Cappella Musicale di San Petronio), mi hanno spinto a un lavoro interpretativo basato sulla letteratura trattatistica e sul materiale sopravvissuto e consultabile. Guido Morini ha una provenienza accademica e una competenza che già a quel tempo era molto solida, le sue conoscenze organologiche e di strumentista gli permettevano indicazioni stilistiche preziosissime per lo sviluppo di un'interpretazione e Stefano Rocco coi suoi strumenti apriva un orizzonte sonoro che per me era molto stimolante.
“Frottole” e “Recitar Cantando” sono ricordati come i dischi di riferimento nel tuo percorso artistico con Accordone. Come li giudichi a qualche anno di distanza?
- Sono dischi che amo molto, ma questo non significa che io consideri gli altri progetti "minori". Sono però poco pubblicizzati, purtroppo e sono dischi che non hanno avuto quella diffusione che secondo me meritavano. Non per la bellezza del suono o dell'interpretazione, non vorrei peccare di superbia: di certo per la loro novità, espressa principalmente nella scelta interpretativa. “Frottole” vede la presenza di tre liuti in contemporanea che suonano parti diverse, alcune improvvisate e altre scritte apposta da Guido. Non c'è da scandalizzarsi, era una prassi dell'epoca aggiungere o semplicemente adattare il brano musicale a seconda dello strumento a disposizione. Era la loro musica contemporanea, e allora come oggi le note scritte sono la base sulla quale elaborare un'interpretazione. “Frottole” è innovativo in questo senso, è un disco che restituisce a quel repertorio - secondo me - tutta la freschezza che la polvere dei secoli ha cristallizzato. Con “Recitar Cantando”, siamo andati ancora oltre: la competenza storica e compositiva di Guido lo ha spinto ad aggiungere parti strumentali in brani in cui queste parti erano assenti ma non certo perché l'originale ne fosse privo o apparentemente incompleto, affatto. Penso per esempio alla “Lettera Amorosa”, in cui vi sono dei momenti strumentali che accompagnano il canto entrando a far parte del basso continuo, una prassi esecutiva testimoniata per esempio da Agostino Agazzari agli inizi del Seicento. Oppure al Monteverdiano “Combatimento di Tancredi et di Clorinda” eseguito per strumenti e una voce sola che interpreta le tre parti, com'è nella tradizione del cantastorie - di cui la “Gerusalemme liberata” è da sempre parte del repertorio - o come fosse una vera lettura ad alta voce del dramma. Una scelta interpretativa forte, un'invenzione, una proposta nata già nel 1991 con uno spettacolo intitolato “Lo Tasso napolitano” e imitata poi da molti altri gruppi.
Tra i dischi più recenti realizzati con Accordone c'è "Storie di Napoli", disco che mi ha colpito molto, tanto dal punto di vista del repertorio quanto per l'approccio interpretativo. Com'è nato questo progetto?
“Storie di Napoli” è un disco tutto dedicato alla città e alle sue espressioni musicali in diversi periodi della sua esistenza. Un disco trasversale, che unisce il Cinquecento con il XXI secolo, che canta la tarantella più sfrenata o la serenata più struggente... L'amore a Napoli - e vorrei che fosse così ovunque, oggi - si esprime con il silenzio più nobile o il grido di dolore; i compositori napoletani e non solo loro, questo lo hanno capito benissimo e ne hanno scritto molto. La forza della canzone napoletana sta nell'immediata riconoscibilità di questi sentimenti, si partecipa alla canzone, si viaggia con lei attraverso i mari della passione. E' sempre stato così, dai canti delle lavandaie del Vomero a Pino Daniele; dalla bellezza delle melodie tradizionali alle elaborate armonie della musica di corte del Sei-Settecento, passando attraverso i salotti della borghesia nascente degli inizi del novecento. “Storie di Napoli” ha nel titolo le diverse identità di queste passioni, storie nate con uno sguardo in tralice ma sempre affettuoso al Vesuvio, 'a Muntagna nosta.
Quanto è stato importante per Accordone la ricerca musicologica sulla musica tradizionale, e quanto quella sulle composizioni di epoca rinascimentale e barocca?
Hanno avuto entrambe ampio spazio di sviluppo, un po' a seguito dei corsi di etnomusicologia tenuti da Roberto Leydi che ascoltavo con un certo rapimento e un po' per la reperibilità delle fonti manoscritte e a stampa per quanto riguardava la musica antica, come dicevo sopra a proposito della Biblioteca del Conservatorio di Bologna. Abbiamo trovato spesso elementi di dialogo fra i due generi e ne abbiamo proposto ascolti nei nostri concerti. Una ricerca ad ampio spettro anche di carattere letterario perché il testo è sempre stato per me il punto di partenza di ogni nostro progetto musicale.
Veniamo al più recente "Solve et Coagula". Cosa ti ha spinto a dedicare una intera opera da camera a Raimondo di Sangro Principe di Sansevero, alchimista, letterato, ed ideatore della Pietatella, chiesa che sorge nel cuore di Napoli e che custodisce gran parte dei suoi misteri?
Raimondo di Sangro è stato un uomo in anticipo sui tempi. Un personaggio molto sui generis, nobile di casata e di cultura, appassionato d'arte e di conoscenza, uomo che ha fatto della Cappella Sansevero un tempio della Spiritualità e che ha cercato una sua elevazione spirituale attraverso simulacri artistici di grandissimo effetto. L'atmosfera della Cappella Sansevero, la luce vivida delle sue sculture vive ancora oggi avvolta nel ventre di una Napoli che si è sempre pensata oscura, ovattata, poco solare nei suoi vicoli bui. Eppure a ben guardare così non è stato mai, perché proprio lì c'era la Napoli dove convivevano la cultura e il sotterfugio, a due passi dai Quartieri Spagnoli e a uno dal Conservatorio San Pietro a Majella, vicinissimo al Monastero di Santa Chiara, alla piazza del Gesù ma non così vicino ai luoghi del potere, al Palazzo Reale col suo teatro di corte o al San Carlo. Per il popolo che lo circondava, Raimondo di Sangro poteva apparire uno stregone ma forse anche un prezioso taumaturgo. Le sue invenzioni al limite della leggenda ancora oggi sono motivi di studio, le sue conoscenze altrettanto. Com'era possibile quindi per me trascurare una personalità cosi variegata e interessante?
Quali sono stati i riferimenti e le ispirazioni dal punto di vista compositivo per il libretto?
Nella stesura del testo ho lavorato su diversi piani di lettura. Il primo è più biografico, basato su richiami alla sua vita presenti simbolicamente all'interno della Cappella: la Pudicizia, il Disinganno... figure per sua stessa ammissione riconducibili ai genitori. Poi un livello più alto con l'elaborazione scientifica e apparentemente "occulta", con le Macchine Anatomiche; infine la rappresentazione del Cristo Velato, la summa della ricerca spirituale della conoscenza che passa attraverso il sacrificio di una vita, ricerca intuibile ma che resta vaga e offuscata ai più. Ma il livello zero dei diversi piani di lettura del lavoro di “Solve et Coagula” è quello di una passione per i contrasti; è quello che mi fa sentire privilegiato perché mi è permesso esprimermi non solo in musica ma anche in parola, perché mi viene data la possibilità di cantare frasi e versi non soltanto di altri autori ma miei, perché a quasi sessant'anni ho ancora voglia di mettermi in gioco...
Come si è indirizzato il vostro lavoro in fase di scrittura ed arrangiamento dei brani?
Tecnicamente la collaborazione fra Guido e me funziona così: io scrivo un testo, Guido lo raccoglie e compone una musica che poi mi sottopone. Molto spesso scrivo dei versi che mi immagino già musicati e ciò che elabora poi Guido non corrisponde al mio pensiero originario. Invece ecco che lo migliora, portandolo a un livello espressivo più elevato. La nostra conoscenza reciproca che risale alla fondazione del nostro gruppo, nella primavera del 1984, la nostra preziosa amicizia, ci permette di avere un respiro comune che aiuta tantissimo la composizione di un'opera.
“Solve et Coagula” sancisce la chiusura della tua esperienza con l'ensemble Accordone. Come valuti il tuo percorso retrospettivamente?
Accordone ha rappresentato la mia vita musicale fino al settembre dell'anno scorso e mi ha regalato bellissimi momenti, mi ha fatto vivere esperienze straordinarie. Non riesco ancora a raccontare trent'anni passati insieme, posso solo dire che questa decisione arriva non in un momento di stanchezza ma di creatività, un momento di maturità artistica che esige un'ulteriore evoluzione.
In che direzione si muoverà il tuo percorso musicale come solista?
Rientro in una dimensione più intima del mio canto, a cantare al liuto per esempio, privilegiando il repertorio rinascimentale e del primo barocco, ma non per questo rinunciando alle tarantelle o a momenti dedicati alla canzone napoletana. Non cambia molto, in verità, ma lascio Accordone libero di decidere altri repertori non legati esclusivamente alla mia presenza sul palco. Tuttavia, un paio di progetti in comune restano attivi.
Molto recente è anche la pubblicazione de "Il Racconto di Mezzanotte", disco che ruota intorno alla relazione tra racconto e parola, sia essa recitata o cantata. Raccoglie brani tradizionali che vanno dalla Puglia alla Corsica, dal repertorio di canti Gregoriani al Barocco. Come nasce questo progetto e con quale criterio hai selezionato i brani da inserire nel disco?
In quasi tutti i concerti ho sempre tenuto un momento in cui resto da solo di fronte al pubblico per cantare un brano "a voce sola". Questo perché amo molto il contatto diretto col pubblico, l'assenza di mediazione fra chi ascolta e chi canta, mi piace essere insomma “uno di noi”. Cito una nota del programma di sala: "La possibilità della voce di evocare storie è praticamente infinita. Il bisogno di comunicare le emozioni e i vari aspetti dell'animo attraverso la voce è nella natura di tutti noi: il riso, il pianto, il dolore e la gioia, sentimenti spesso raccolti intorno alla parola Amore, ne disegnano i tratti, ci offrono esperienze personali di vita. “Il Racconto di Mezzanotte” ruota intorno a questa idea di narrazione, a volte letta e a volte cantata, che rende questo concerto una forma di spettacolo più intima, in cui non c'è separazione reale tra chi racconta e chi ascolta ma dove si vive un momento di condivisione più intensa." Ho cercato delle musiche che toccassero il cuore del pubblico come hanno toccato il mio nel leggerle, nell'ascoltarle durante i miei viaggi, nel ricantarle. Spero di esserci riuscito, almeno in parte.
Dal punto di vista stilistico, ci puoi parlare del tuo approccio nell'arrangiamento e nella reinterpretazione dei brani?
Il progetto intitolato “Il Racconto di Mezzanotte” ha la caratteristica di essere a voce sola senza alcuno strumento, completamente "a cappella" come si dice tecnicamente. Non sono molti i cantanti che amano esibirsi da soli in questo modo e ciò rende il programma abbastanza inusuale. Ho voluto perciò proporre delle elaborazioni di brani originariamente scritti a più voci ma di cui fosse possibile eseguire una sola voce senza cambiare la forza evocativa della sua espressione musicale. I brani sono fortemente eterogenei: stilisticamente molto diversi tra di loro (“Vergine bella” di Dufay è poco riconducibile al sardo e tradizionale “Deus te salvet Maria”), li ho scelti in base alla forza del testo, elemento quanto mai fondamentale in un programma a voce sola. Una voce narrante, una figura che racconta, non un fine dicitore fiero della propria articolazione verbale. Un uomo di fronte a se stesso, alle proprie scelte e alle proprie contraddizioni, all'osservazione delle esperienze che la vita ci offre, riconoscibili e condivisibili da chiunque.
Quali sono i progetti futuri?
Già diversi programmi sono pronti e girano in varie date di concerti, dal “Racconto di Mezzanotte” a “Le Strade del Cuore”, da “La Clessidra” a “La Passacaglia della Vita” fino ad “Anima di Mare,” quest'ultimo con la partecipazione di un poeta del tamburo a cornice, Alfio Antico. Programmi sull'amore e sulla vita, sulle fortune e sulle sfortune, sulle variegate esperienze della nostra esistenza. A questi si unisce la rielaborazione di un programma di qualche anno fa dedicato alla musica inglese intitolato “Dowland in Italia”, che spero di poter eseguire spesso. Il viaggio continua.
Marco Beasley, Guido Morini, Accordone – Solve et Coagula (Alpha Productions, 2014)
La caratteristica peculiare dell’ensemble Accordone è stata, da sempre, quella di riuscire ad attualizzare nella contemporaneità il patrimonio musicale del Rinascimento e del Barocco, spaziando dalla polifonia fiamminga fino a toccare Bach, sintonizzati con la sensibilità dell'uomo d'oggi e utilizzandole tecniche dedotte dai grandi maestri del passato. Come dimostra la loro trentennale attività discografica, ogni progetto prende vita da solide basi culturali in cui l’intensa ricerca musicale e un raffinato approccio compositivo vanno di pari passo. Dopo aver esplorato la cantata settecentesca partenopea (“Il Settecento Napoletano”) e i canti della tradizione orale (“Storie di Napoli”), Accordone chiude la sua ideale trilogia dedicata a Napoli con “Solve et Coagula”, disco nato dallo spettacolo portato in scena per celebrare il terzo centenario della nascita di Raimondo di Sangro (Torremaggiore, 1710 – Napoli, 1771), una delle figure più affascinanti e misteriose della Napoli del Settecento. Noto per la sua cultura, il suo genio multiforme che spaziava dall’arte militare all’architettura, il Principe di Sansevero fu poco amato tra i suoi contemporanei, non solo per la sua appartenenza alla massoneria di cui fu primo Gran Maestro a Napoli, quando per i suoi studi che abbracciavano l’alchimia, l’anatomia, la musica, fino a toccare le lingue antiche come il sanscrito, l’ebraico e il greco. Della sua carrozza marina alle macchine anatomiche, tante furono le invenzioni e gli esperimenti per i quali fu tacciato di stregoneria dal popolo, ma il suo lascito più importante, il suo testamento spirituale impresso nella pietra è la Pietatella, cappella gentilizia, che costruì nel suo palazzo nel cuore di Napoli, laddove cento anni prima avvenne la tragedia che portò all’omicidio commesso dal grande compositore Gesualdo da Venosa. Proprio la Cappella Sansevero e le sue meravigliose sculture del XVIII secolo, hanno rappresentato un ispirazione importante per questo disco in cui la figura di Raimondo di Sangro torna a risplendere nella sua illuminate importanza storica, ed in tutte le mille sfaccettature della sua personalità. Registrato dal 4 al 7 marzo 2014 nella Chiesa di Santa Maria Incoronata di Martinengo, il disco presenta diciotto brani attraverso i quali Marco Beasley, Guido Morini e Accordone, sono riusciti ad evocare in modo mirabile il percorso iniziatico racchiuso nella Cappella Sansevero, dando vita ad un concept di grande spessore. “Solve et coagula” è una innovativa opera da camera, in cui si alternano spaccati strumentali, parti cantate e recitativi, in cui emerge tutta l’intensità interpretativa di Marco Beasley. Se dal punto di vista prettamente musicale spicca il lavoro compositivo e di direzione da parte di Guido Morini (clavicembalo ed organo), e la perizia strumentale degli strumentisti Elisa Citterio (violino), Rossella Croce (violino), Gianni Maraldi (viola), Marco Frezzato(violoncello), Vanni Moretto (contrabbasso) e Franco Pavan (tiorba), da quello lirico colpisce la cura che ha caratterizzato la scrittura di Marco Beasley. Il risultato è, dunque, un lavoro di grande pregio nel cui titolo, che rimanda alla formula alchemica per eccellenza, è racchiuso il pensiero illuminato del Principe di Sansevero. A schiuderci le porte della Pietatella è la suggestiva “Sinfonia”, varcata la “Porta” con l’invito alla contemplazione e alla riflessione su sé stessi, la voce di Marco Beasley ci svela il fascino misterioso delle statue “La Pudicizia”, ed “Il Disinganno”, ma ecco stagliarsi dal buio la figura di Raimondo di Sangro. “Aria di Don Raimondo” porta con sé le pene, il dolore del dubbio e la convinzione del Principe che la sola Scienza varrà a trovare una nuova realtà. Le splendide “Sol” e “Luna”, riflettono nella musica il contenuto filosofico ed alchemico dei testi, mentre la travolgente “Tarantella Tapanella” è uno spaccato sonoro della Napoli, fuori dal palazzo del Principe. La struggente “Il Compianto del Cristo Velato” che rimanda alla drammaticità della statua del Cristo posta al centro della Cappella, ci conduce verso il finale in cui spiccano “La Formula” e “Le Macchine Anatomiche” in cui brilla l’utilizzo del gramelot nei testi e le mirabili architetture sonore di Accordone, e quei gioielli che sono “I Lazzari” e “L’Angelo”. Chiudono il disco tre recitati “Il Testamento di Raimondo Di Sangro”, “Giovedì” e “Venerdì”, che nel loro insieme costituiscono il completamento della narrazione. “Solve et Coagula” è, insomma, una riflessione profonda su Raimondo di Sangro, un uomo che ha visto nella Scienza, lo strumento per l’elevazione spirituale più alta, di un uomo del dubbio alla continua ricerca, figlio della Napoli settecentesca e del suo fermento culturale. Un patrimonio della nostra cultura che Marco Beasley ed Accordone hanno saputo omaggiare in modo mirabile, suggellando trent’anni di musica ed emozioni nel modo migliore che potessero fare.
Marco Beasley – Il Racconto di Mezzanotte (Old Mill Records, 2015)
“Il Racconto di Mezzanotte”, rappresenta una tappa fondamentale del percorso artistico di Marco Beasley, non solo perché segna l’inizio della propria carriera come solista dopo la conclusione dell’esperienza con Accordone, ma anche perché pone al centro della ricerca musicale la sola voce. Partendo dalla dimensione dei racconti a fine giornata, intorno al focolare domestico, tra storie di amori, morte, ingiustizie e gioie, Beasley attraverso quindici brani, quindici monologhi, tra cantati e recitati, mira a riscoprire quel rapporto inscindibile tra chi narra o canta, e chi ascolta, dove la voce diventa strumento dalle potenzialità evocative infinite. Spaziando dalla musica antica ai canti popolari della tradizione orale, questo album offre la possibilità di cogliere come il canto assuma il tratto del suono di una narrazione fatta di visioni, di emozioni senza tempo, di storie dette e cantante, storie intorno al fuoco, dimensione da ritrovare per allontanarci per un momento dal quotidiano che spesso non lascia spazio a noi stessi e alle nostre riflessioni. Ne è nato un disco molto intimo nato direttamente dall’esperienza osmotica che si crea tra l’artista e il pubblico sul palco, con la voce di Beasley che si muove in libertà senza barriere o codici prefissati, improvvisando, inventando, e toccando il cuore e l’anima dell’ascoltatore. Spaziando attraverso i diversi registri emotivi dall’appassionato all’aggressivo dal riflessivo al sofferto, Beasley è riuscito a far emergere il gusto antico del racconto e del canto. Durante l’ascolto non si può non rimanere incantati dal susseguirsi dei vari brani che spaziano da canti gregoriani come il “Magnificat” o il “Kyrie”, alla tradizione orale corsa di “Le Sette Galere” e “Lamentu a Ghjesu”, fino a toccare la struggente versione di “Deus Te Salvet Maria” e la conclusiva “Iesce Sole”. Insomma “Il racconto di Mezzanotte” è un disco prezioso, da ascoltare con attenzione cogliendo ogni sfumatura della voce di Marco Beasley.
Salvatore Esposito
Tags:
Contemporanea