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Il passato del riccioluto Aziz Sahmaoui, musicista originario di Marrakech, è noto: parliamo di una carriera ventennale che va dalla co-fondazione dell’Orchestre National de Barbès alle collaborazioni, tra gli altri, con Nguyên L ê e alla militanza nel Joe Zawinul Syndicate. Il suo presente è l’University of Gnawa, (diciamolo, però: un nome non proprio irresistibile), il quartetto messo su nel 2010 a Parigi all’insegna del métissage sonoro con Alioune Wad (basso), Hervè Samb (chitarra), Adhil Mirghani (percussioni), Cheikh Diallo (rhodes, kora). Prodotto, registrato e mixato da Sodi (produttore di Fela e Femi Kuti, Le Negrésses Vertes, Mano Negra, Rachid Taha, Chinese Man), “Mazal” – che in arabo significa “proseguire”, “persistere” – è il secondo lavoro, che arriva dopo il lusinghiero album eponimo del 2011. Sin dalle note della mandola, in primo piano nell’opener “Inchallah”, ci rendiamo conto di essere finiti in un groove arab-rock di grande impatto. Il mélange di chaabi e tinte sonore subsahariane prevale in “Hada Ma Jari”, contrassegnata dal bell’intro di kora, mentre la ritmica gnawa portata dal cordofono ngoni (che poi è imparentato con il liuto guimbri usato nella musica delle confraternite gnawa) s’impone in “Une Dune Pour Deux”, una canzone call-and-response con belle tessiture del flauto di Naïssam Jalal e liriche in cui Aziz usa la metafora dell’albero piantato nel giardino del vicino per parlare dei conflitti contemporanei.
Non è solo la veste afro-maghrebina a prevalere, come nel disco precedente, Aziz si fa forte di uno slancio melodico che ci porta anche dalle parti della chanson, e che si realizza pienamente in brani come la title-track, “Mazal”, dove entra il tar di Amar Chaoui, oppure “Water-line”, dal caldo coro di voci e dalle linee jazzate di sax soprano (Emil Parisien). Un’impetuosa chitarra elettrica fa virare verso il rock “Jilala”, mentre “Yasmine” si presenta con una magnifica fioritura poetica e musicale andalusa apportata dal chitarrista di Almeria Niño Josele (una sua precedente collaborazione con Aziz è datata 2002) che incrocia le corde amabilmente con la chitarra elettrica di Hervé Samb. Non calano i giri del disco nel raï-flamenco “Lawah Lawah”, che è la rilettura della già conosciuta “Zawiya”, poi la band sembra rilassarsi sui tempi rilassati di “Firdawss”, sostenuta con dolcezza da flauto e violino (Michael Nick) e nella fusion di “Daw Daw”. La band si ricarica alla grande nell’iterativo tributo al marabut “Baba Mimoun”, tema proveniente direttamente dalla tradizione cerimoniale dei maestri del guimbri, e nella coralità della conclusiva “Allah Daym”, anch’essa appoggiata sui ritmi ipnotici gnawa. Da non mancare l’appuntamento con questo eccellente ritorno di Aziz Sahmaoui e dei suoi “accademici” compagni.
Ciro De Rosa
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Africa