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Dell’ensemble ungherese a base familiare (gli Eredics, tre fratelli e un cugino), più un quinto componente, Attila Buzá, che ha scelto come strumento elettivo la tambura, cordofono tastato e suonato con un plettro, ci siamo già occupati in occasione del loro disco di debutto, incentrato sulle musiche delle comunità serbe e croate presenti nel territorio magiaro. Il secondo album per il mercato internazionale, “Tamburocket” (il cui sottotitolo, “Fuochi d’artificio ungheresi”, è tutto un programma…), rinforza quanto di trionfante è stato scritto su questo sfavillante quintetto di virtuosi, presentando brani raccolti nel secolo scorso dal compositore Béla Bartók e dall’etnografo Tihamér Vujicsics. Lo strumentario è costituito da voci, tambura di differenti timbri e fattezze (dal più grave, di forma simile al contrabbasso, a quello più squillante, che rassomiglia a un mandolino), fisarmonica, flauto pastorale, tromba, clarinetto, sax, kaval, hulusi (fiato cinese ad ancia libera dotato di tre canne innestate in una zucca), percussioni (darbuka e tapan). “Jozo”, una canzone d’amore dal testo nonsense (sic), che nella versione raccolta da Vujicics nell’area a ridosso del fiume Drava era imperniata sul suono della cornamusa croata: i nostri prodi musicisti l’hanno trasposta sulla piccola tambura samica.
Altra prova di tecnicismo e di elaborata costruzione musicale d’insieme arriva nella successiva “Marice”, una celebre canzone croata. Con “Evo Srcu” ci trasferiamo nell’area serba della Vojodina, ancora oggi terra elettiva della tambura. Si gioca la carta macedone in “Hulusination”, sinuosa e articolata composizione di nove minuti a ritmo di čoček, poggiata su darbuka, fraseggi di flauto, hulusi e sax. Non meno spericolata, piena di cambi di velocità, è la dolce e ruggente “Hulusi”, che è ancora un tema di provenienza macedone, in cui i Söndörgő danno prova di aver assimilato la lezione del fantasioso signore dei tempi zoppi, Feruv Mustfov, con cui hanno collaborato in passato. Accoppiata di primtambura e un saettante flauto pastorale in “Drago Kolo”, mentre i cordofoni dal registro basso prendono il sopravvento in “Srpski Madjarik”. Un frammento di cornamusa d’archivio (registrazione di Bartók del 1912) fa da preludio alla canzone rituale matrimoniale “Majka Kceru”. Dura solo ventisei secondi “Natrag Dosla”, prima che sopraggiunga di gran carriera una nuova danza chiamata “Landing Cocek”, dal tiro che fa impallidire molti rocker, dove è protagonista la fisarmonica di Salamon Eredics. Si chiude il cerchio… con la leggerezza gioiosa della danza “Kolovodja”.
Ciro De Rosa
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Europa