Rinaldo Vacca, liutaio tra sogno e ricerca del suono (parte prima)

Sin da giovane, Rinaldo Vacca ha scelto di divenire liutaio, abbandonando un lavoro sicuro e redditizio. Di carattere riservato, si definisce «un appassionato della chitarra e della liuteria, con il continuo desiderio di approfondire e migliorare la costruzione degli strumenti musicali». Le sue chitarre si contraddistinguono per un equilibrato rapporto tra “volume” e qualità sonora e per un design ricercato, ma senza troppi fronzoli. Nel laboratorio dove vengono realizzate le raffinate chitarre, ho dialogato a lungo con Rinaldo Vacca per focalizzare il suo percorso artistico e professionale, che di seguito ho sintetizzato organicamente facendo parlare il liutaio in prima persona. 

Io e la chitarra classica 
Proprio qui dove oggi lavoro, sono nato e cresciuto cinquantaquattro anni fa. In casa mia nessuno suonava o cantava. Mio padre era bracciante, mia madre casalinga. Come molti giovani della mia generazione ascoltavo musica pop. A Roma, durante il servizio militare, ho però avuto modo di sentir suonare la chitarra classica e me ne sono innamorato a tal punto che, quando ho preso l’ultima paga, l’ho spesa per acquistarne una. Il negozio era in via Nazionale. Ho scelto una “Suzuki”, costava novantamila lire. Eravamo nel 1980. 
Tornato a Cabras, mio paese natale, ho ripreso a fare il muratore, lavoro che avevo iniziato già da ragazzino. Con l’amico d’infanzia, Sandro Vargiu, abitante nella mia stessa via, ci siamo appassionati alla sei corde. Col giradischi passavamo le giornate ad ascoltare “Asturias” e ci eravamo messi in testa di imparare a suonarla a orecchio. Un giorno a Oristano avevamo avuto modo di ascoltare un concerto di chitarra classica, eseguito da Armando Marrosu. Il concerto era stato organizzato da Reno Serra (negoziante oristanese) e da un musicista che si proponeva come insegnante di chitarra, mandolino e fisarmonica. Lanciai l’idea a Sandro di iniziare a prendere lezioni, ma non era convinto, perché preferiva continuare con il nostro metodo da autodidatti. Visto che i miglioramenti non arrivavano, ci siamo convinti ad andare a lezione da un nostro compaesano, Tore Erdas, che aveva studiato in Conservatorio. Abbiamo iniziato a studiare gli arpeggi, il “Sagreras”, le scale etc. Lui abitava a Oristano. Tutte le settimane prendevamo il “vespino” e la nostra chitarra Suzuki per andare a lezione. Abbiamo studiato per cinque anni, restando sempre a livello amatoriale. Io lavoravo come muratore. Mi alzavo alle sei e mezzo la mattina. Studiavo solfeggio, poi mi esercitavo con la chitarra. Una veloce colazione e via a lavoro, fino alle cinque-sei di pomeriggio. Alla sera, dopo cena, potevo di nuovo studiare un pochino. In quel tempo avevo in testa “Giochi proibiti”, per me era il massimo, tuttavia, andando avanti, ho capito che c’era sempre da imparare, che non si finiva mai. 

La prima chitarra 
Parallelamente ai nostri studi con Erdas, a Sandro Vargiu venne in mente di costruire una chitarra. Lui lavorava nell’azienda di famiglia. Stava di frequente dietro a un macchinario detto “la giostra”, dove le stecche di legno giravano e venivano tagliate su misura per fare cassette. Lui doveva controllare che tutto procedesse bene, per cui aveva tanto tempo per pensare … e pensava sempre alla chitarra. Costruirne una era suo desiderio. Un giorno Graziella Erdas, nostra insegnante di solfeggio, sapendo di questo interesse, di ritorno da Cremona (dove si era recata per ritirare la sua viola), ci portò un “Quaderno della liuteria” interamente dedicato alla costruzione della chitarra classica. Sandro lo studiava di continuo, io no, all’epoca mi fidavo di lui anche perché era più esperto nella scelta dei legni. Abbiamo provato a fare una chitarra. Fasce fondo di eucaliptus rosso, tavola armonica di “ramin” (simile all’abete). Pensavamo di aver ben seguito il metodo proposto nel libro, ma quel manico sulla cassa andava da tutte le parti, tutto era storto. Una vera delusione, dopo tanto lavoro. Alla fine, per vedere se la chitarra era robusta, ci siamo saltati sopra. Almeno questa soddisfazione giovanile ce la siamo presa! Chitarra distrutta, ma Sandro l’anno dopo è tornato alla carica. Un giorno mi dice di aver ricevuto in regalo un bel pezzo di legno di abete che poteva avere più di cent’anni. «Possiamo riprovarci», mi disse. «Bella idea - gli risposi - ma la chitarra falla tu». Quando ha iniziato a costruire, però, essendo un amico mi dispiaceva lasciarlo solo, per cui gli ho dato una mano. Questa volta ci siamo addentrati nei dettagli della costruzione e siamo riusciti a chiudere l’incastro “a coda di rondine” anche se con qualche zeppa per compensare gli squilibri. 
La paletta era lunghissima, il disegno della rosetta a pennarello, quando s’inzuppava il legno, s’ allargava. Insomma, c’era molto da migliorare, però siamo riusciti a montare le corde e … suonava. Anche di questa chitarra però non è rimasto nulla, ma da qui si può dire che è iniziata la passione per costruire. Nel 1985, io continuavo a fare il muratore. A tempo perso con Sandro riuscivamo a costruire due chitarre all’anno, seguendo sempre il metodo del libro regalatoci. Intanto avevo iniziato ad allestire un piccolo laboratorio, più attrezzato. Avevo persino contattato un liutaio di Bologna, per seguirlo mentre lavorava. Ma non avevo soldi e dovevo lavorare nell’impresa di costruzioni, per cui non sono mai partito. Dentro me, intanto, la passione cresceva. Eravamo vicino al Natale. Ricordo che un giorno, rientrando da lavoro con il camioncino, per tutto il tragitto, continuavo a pensare “io voglio imparare a fare bene le chitarre, lavorando come muratore non potrò mai farlo”. Per cui dicevo tra me e me, “mollo o non mollo, mollo o non mollo? …Mollo!”. In quel momento è iniziata la mia avventura professionale come liutaio. 

I legni e il sogno 
Ho abbandonato un lavoro redditizio che non mi dispiaceva, ma il desiderio interiore era troppo forte. Così sono partito all’avventura, all’inizio sperimentando molto, a volte con legni riciclati. Poi ho iniziato a ordinare i materiali da “Rivolta”. Con Sandro in quel periodo usavamo l’eucaliptus bianco, che ci sembrava qualcosa di fenomenale, però, alla fine, i risultati erano spesso deludenti. Utilizzavamo anche attrezzi un po’ improvvisati. Ad esempio, per scaldare le fasce, usavamo un cannello da muratore, uno teneva, l’atro spingeva. Una volta mi sono bruciato mezzo braccio. Prova dopo prova, sbaglio dopo sbaglio, ho iniziato a pormi domande sempre più precise per migliorare la parte tecnica. In particolare, c’erano diversi aspetti del libro che non mi convincevano. Ho cominciato a sperimentare soluzioni alternative, per la forma interna e per le piegature esterne. Un giorno andando alla “Stanza della Musica” di Oristano, ho avuto modo di sfogliare il catalogo di una nota chitarra spagnola, nel quale si spiegava la procedura costruttiva: era come quella che stavo sperimentando! 
Ero contento di essere arrivato a capire il procedimento da solo e di aver ricevuto conferma che la strada che volevo seguire non era sbagliata. In questo mestiere c’è sempre qualcosa da imparare, a piccoli passi. All’epoca non c’erano internet e i video di You Tube. Tutto scorreva più lentamente. Per ordinare i materiali, bisognava scrivere una letterina, poi, dopo circa un mese e mezzo, arrivavano i legni richiesti. Da allora sono passati tanti anni, ma tutto quello che ho imparato, l’ho appreso qui nella mia bottega, da autodidatta, facendo e disfacendo. Ogni chitarra è un’esperienza nuova. Lentamente progredivo nella tecnica di costruzione. A volte vendevo delle chitarre, il chitarrista era contento, mentre io lo ero solo parzialmente. C’è stato un periodo della mia vita in cui mi capitava di addormentarmi e di sentire nel sogno un “suono” meraviglioso provenire dalle chitarre. Mi svegliavo e dicevo «che bello, vorrei tanto che le mie chitarre suonassero così». Mi succedeva spessissimo, ma nonostante i miei sforzi quel “suono” dalle chitarre che costruivo non fuoriusciva mai. La ricerca è continua e adesso, dopo circa trent’anni, sento che questo “suono” si sta tramutando sempre più in realtà. 

Paolo Mercurio

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