Pensate ad un folk club a 1121 metri d’altitudine in un borgo che è emblema di sviluppo turisticoeco-sostenibile, adagiato ai piedi di imponenti gruppi montuosi, all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Da 14 anni Civitella Alfedena, paesino dell’aquilano, è sede di un festival di musica tradizionale a misura d’uomo, ormai radicato nel territorio, organizzato in punta di piedima con ostinazione dall’Associazione Mantice di Latina, con il sostegno dell’amministrazione comunale. Una settimana di concerti, laboratori (quest’anno dedicati adorganetto, tamburello e canto, tarantella alla zampogna e ballo sul tamburo nello stile dei Monti Lattari), e non da ultimo, un incontro sulle danze pugliesi non riconducibili all’inflazionata pizzica mediatizzata. Quello di Civitella è unfolk festival che costruisce anche una sua ritualità, componendo una piccola comunità di cultori e suonatori, che si concretizza nelle jam session spontanee che coinvolgono i musicisti protagonisti della rassegna, ma soprattutto nel corteo musicale della Notte dei Tamburi (venerdì 29), durante la quale si sono avvicendati molti musicisti, tra cui ricordiamo Leonardo Casale (zampogna) del gruppo Mantice e Alessandro d’Alessandro dell’Orchestra Bottoni (organetto), ma soprattutto hanno lasciato il segno i musicisti e ballerini innescati dal ritmo delletammorre di Raffaele Inserra, dal canto e dalla fisarmonica di Catello Gargiulo, dal giovanissimo ma sorprendente cantatore Gianfranco Ricco (grande scoperta di Inserra), dall’altro vocalist Agostino Spina e dalla danza di Hiram Salsano.
Il sentimento dello stare insieme si è rafforzato in Piazza Mercato ne “Te l’ho portata la serenata” (ma quest’anno la prima parte della serata conclusiva si è svolta in teatro, a causa della pioggia), con protagonisti Francesca Trenca, le donne di Civitella, cantatrici e cuoche sopraffine, ed altri artisti presenti alla manifestazione. Nondimeno questo è un festival che sa anche aprirsi a nuove idee:è il caso del concorso “Verdinote” (dove il colore è simbolo del territorio che ospita la rassegna, non dell’età degli artisti), che ha visto vincitori (scelti da una piccola giuria di giornalisti, musicisti e addetti ai lavori) i lombardi Abacà, già conosciuti dai lettori di Blogfoolk. Il quartettosi è esibito all’interno del parconell’area di Rocca in Tramonti, posta ai piedi della magnifica riserva integrale della Camosciara, con un repertorio da bal folk ma di nuova composizione, suonato con freschezza da un organico strumentale insolito (fagotto, clarinetto, chitarra, bouzouki, banjo, fisarmonica). Uno sguardo sulla musicalità d’Abruzzo lo ha portato il gruppo Terre del Sud, formazione lancianese (chitarra battente, chitarra, violino, organetto 8 bassi, fisarmonica, flauti, tamburi a cornice, grancassa, castagnette), guidata da Mimmo ed Emanuele Spadano, che ha come punti forti la presenza di quattro voci (maschili e femminili) di diverso colore, timbro e impatto scenico, la presenza di un percussionista estroso come Antonio Franciosa ai tamburelli e la scelta di rivestire musicalmente le liriche di poeti abruzzesi. Tuttavia, il gruppo mostra limiti nell’equilibrio dei timbri: la grancassa è troppo invadente, le armonizzazioni si richiamano a tratti ad un certo folk vintage. Per di più i Terre del Sud, facendo fede al loro nome, si lasciano “possedere” dalla devianza delle pizziche e delle tarantelle à la page.
Il giorno successivo (25 agosto) abbiamo assistito ad una serata ricca, che ha avuto come incipit la ghironda modificata del giovane Luca Turchet, altro musicista di cui noi di Blogfoolk ci siamo occupati. C’è la gioia di suonare, sposata ad una spontaneità comunicativa ea perizia tecnica nel set di Filippo Gambetta, organettista capace di attraversare in un’ora di musicarepertori musette e per piffero delle Quattro Province, ma soprattutto disuonare nuova musica acustica che mette insieme matrice popolare e sensibilità contemporanea. Diverso l’approccio dei Molifonia, capitanati dal grande Piero Ricci, il cui intento da anni è di “magnificare la zampogna”, portandola a confrontarsi con strumenti colti. Conosciamo il suo lavoro di ampliamento delle possibilità cromatiche dell’aerofono a sacco, suonato per l’occasione, sperimentando il Musair (macchinario progettato da Luigi Martino, che consente di evitare di introdurre l’aria con la bocca attraverso un tubo innestato direttamente nella canna di insufflazione dello strumento e collegato ad una macchina, a sua volta connessa a un compressore). C’è da dire che la procedura ha creato qualche problema di controllo delle dinamiche da parte dello strumentista molisano. Accanto alla zampogna geneticamente modificata di Ricci c’erano pianoforte a coda, mandolino e tamburello, radunatisi per arrangiare il repertorio storico del maestro zampognista, con qualche nuovo valzer, che ha visto Piero impegnato alla fisarmonica.
La maestosità di “Mainarde”, la gioia della “Danza di Mastro Gerardo”, le evocazioni naturalistiche di un altro classico come “Matese” non necessitavano della mediazione di una presentatrice, che interrompendo il flusso sonoro con i suoi interventi tra un brano e l’altro, ha spezzato l’onda emotiva creata dall’ensemble molisano. Di diversa natura la proposta dei conterranei Patrios, sestetto di giovani, versatili artisti ed abili strumentisti, soprattutto Christian Di Fiore (zampogna, organetto), Livio Di Fiore (ciaramella) e Antonello Iannotta (percussioni e flauto), che si sono uniti ad un dotato trio di impronta blues (la voce di Rachele Farese, la chitarra di Alessandro Coletta, la batteria e il basso di Fabrizio Musto). Entusiasmo giovanilistico, forte carica sul palco, ma identità musicale molisanada affinare, magari anche andando a riprendere le fonti sonore (le registrazioni di Cirese e Carpitella, in primis), superando certi cliché compositivi che portano a trasformare in giri blues i brani trad, ma specialmentelasciando da parte il repertorio di canti e musiche folk del sud (dalla Campania al Gargano). Che poi ci infilino “Maggio” di Banditaliana (un altro loro modello di riferimento), ci sta tutta. Ad ogni modo, i Patrios conquistano il pubblico del teatro del centro culturale civitellese (gli oltre duecento posti sempre tutti occupati nell’arco della manifestazione) per la loro esuberanza a tratti irresistibile.Veniamo al clou concertistico del festival, che è stato sicuramente la serata che ha ospitato Orchestra Bailam e Compagnia del Trallalero (Matteo Merli, o primo, Paolo Sobrero, o contrito, Gael Princivalle, o controbasso).
Il loro spettacolo “Galata” (dal titolo del disco pubblicato da Felmay) è ormai una performance rodata, concepita con intelligenza musicale, verve ironica, mestiere e indovinati profili solistici, disegnando immaginifici percorsi levantini, che trovano confluenza nelle voci della polivocalità genovese. È un’umanità varia che attraversa tempi e luoghiaprendere vita attraverso le note delle tre voci della squadra di trallalero, dei fiati (Edmondo Romano)e di plettri (Franco Minelli), contrabbasso (Tommaso Rolando),fisarmonica (Matteo Burrone), violino (Roberto Piga) e percussioni (Luciano Ventriglia). Il sestetto si muove tra tradizione genovese, sonorità balcaniche, rom, greche e turche, con i momenti più alti raggiunti quando i Bailam si integrano con il trio di cantatori. Una grande serata che mette d’accordo il pubblico e i tanti musicisti presenti. In definitiva, Civitella Alfedena Folk è uno slow festival, che si colloca fuori dalla logica delrichiamo di masse attratte da nomi mediaticamente appetibili, né intende ricercare atmosfere da sagra folk, piuttosto punta sulla qualità musicale, perseguendo un delicato equilibrio che non(s)travolga il grazioso villaggio aquilano.
Ciro De Rosa
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