Se diamo i numeri, con i suoi ottomila mq di spazi espositivi alla Fiera del Levante, i poco meno di cento stand, la ventina di showcase serali, i numerosi dibattiti e le nutrite opportunità di incontri face to face tra professionisti della musica e promoter dei importanti festival (jazz, rock, world), il fatto che il Petruzzelli abbia ospitato domenica sera la serata del Club Tenco per la cerimonia di consegna delle Targhe, dobbiamo convenire che Medimex – la fiera musicale barese organizzata da Puglia Sounds, giunta all’edizione numero tre – è una vetrina unica per il panorama artistico italiano. Ma se spostiamo un po’ il punto di osservazione o entriamo più in profondità nell’analisi delle frequentazioni, alla luce anche del confronto tra giornalisti ed operatori culturali adusi alle fiere musicali, non tutti i conti tornano. Certo, Medimex è un evento ancora giovane, che ha preso le mosse nel momento in cui la crisi economica ha iniziato a mordere più ferocemente, e tragicamente. Cionondimeno, la festa della musica pugliese appare aver un po’ smarrito quella unicità primigenia di voler essere faro mediterraneo, flirtando con il mainstream della carta stampata e della canzone italiana, per attrare pubblico eterogeno, giovane e non. Sennò come spiegare la presenza di Daniele, Baglioni e Finez, accanto a Mannoia, Mengoni e De Gregori, e perfino Arbore, per non dire di coccolate DJ star? Sono catalizzatori di numeri che poco hanno a che fare con la proiezione mediterranea concepita tre anni fa, ma anche con il “salone dell’innovazione”, che è il sottotitolo scelto dall’Expo pugliese per quest’anno.
Midem e Womex, tanto per indicare due expo che vanno per la maggiore e che spesso sono chiamati in causa, sono robe dai numeri non comparabili. È indubbio che la convention barese di temi interessanti sul tappeto ne ha posti parecchi, cercando di fare il punto sullo stato del produrre musica in tempi di irreversibile mutazione (o è un’agonia) dell’industria discografica, crowdfunding, web, streaming, talent show e possibilità artistiche per le future generazioni. Tuttavia, girando tra gli stand abbiamo notato defezioni tra le principali imprese editoriali pugliesi, per non dire del mondo nu-trad italiano e indie che sin dalla prima edizione, che ancora condivideva in parte spazi e vedute con il MEI, non hanno ritenuto evidentemente – e non senza ragioni – la vetrina pugliese un utile agorà mediatico e commerciale. Insomma, se dovessimo giudicare dagli espositori di Bari la musica italiana, ne trarremmo un’idea perfino fuorviante. In tal senso, va riconosciuto che la capitale dell’unica regione italiana che ha costruito un’immagine positiva di sé, mettendo al centro la produzione culturale ed artistica (all’ingresso acanto all’enorme chitarra elettrica campeggia lo slogan necessario: “La musica è lavoro”) non è un crocevia facilmente raggiungibile.
Del fitto programma di incontri, un buon numero ha riguardato proprio gli aspetti imprenditoriali del fare musica: dal codice deontologico del musicista al diritto d’autore, dai festival come volano di attrazione turistica alle normative legislative degli spettacoli. Qui ci piace segnalare la nascita, proprio a Bari, di un’emeroteca-mediateca musicale, in virtù della donazione fatta dal giornalista Luca de Gennaro della sua considerevole, oltre 5000, collezione di riviste pop e rock, che hanno raccontato i cambiamenti di musica e società in Italia dagli anni ’70 del secolo scorso ad oggi. Altro evento, la presentazione del progetto Sonata di Mare, curato dalla provincia di Grosseto, che ha l’obiettivo di creare un circuito transfrontaliero di festival e produzioni artistiche per la valorizzazione delle musiche di tradizione orale e contemporanea in un’ottica di sviluppo ecocompatibile in un’area che coinvolge Toscana, Liguria, Sardegna, Corsica. Non poche le suggestioni ricevute dai contatti personali con gli operatori: in primis, penso al progetto Voix Nomades, promosso dall’agenzia Marsab, che mette insieme i Cuncordu e Tenore di Orosei e i cantori e musicisti mongoli N. Ganzorig and Ts. Tsogtgerel. Un incontro fenomenale che speriamo di vedere dal vivo in Italia.
Per adesso, potete godervi online un estratto proveniente dal Festival delle Musiche Sacre di di Fez (http://www.youtube.com/watch?v=l2FO1WvaReU). Insomma, Medimex ha una sua ragion d’essere, e il nostro auspicio è che possa ancora crescere (ma ci saranno ancora fondi europei?) come punto di riferimento per l’intera Penisola. Detto questo, si constata che la linea ondivaga e semi onnivora, mutante di anno in anno, non contribuisce del tutto alla sedimentazione della proposta fieristica e alla fidelizzazione del pubblico locale, né attrae quello esterno alla città, per non dire degli addetti ai lavori italiani e stranieri. È vero che i dati ufficiali parlano di incremento di presenze di pubblico, ma tutto ciò quanto è da mettere in relazione con le sirene cantautorali e pop ospitate nella tre giorni? Perché alla sera del sabato il pubblico che si raduna per la rivelazione Imany, poi dirada, magari per andare ad investire energie nella degustazione di un succulento panzerotto, invece di seguire i successivi showcase? Ma qui siamo ricondotti a questioni di appeal mediatico che prevale sul gusto non affinato dalla pratica strumentale, dalla competenza musicale o ancora, vivaddio, almeno da curiosità intellettuale, come accade all’estero. La programmazione eterogena degli showcase può anche essere un’idea vincente (ma per quale pubblico? È lecito chiederselo.
Locale o di operatori che hanno già visto molti artisti magari in altre fiere?). In ogni modo, eccoci a parlare delle performance da 40 minuti ciascuna. Tanto per incominciare, due “bande” sopra tutti! In apertura, al venerdì, e in conclusione della manifestazione alla domenica. Si è iniziato con Bandadriatica dell’organettista Claudio Prima, orchestra coi fiocchi con uno live act e una sostanza sonora che reggono il confronto con le proposte estere e possiede anche molto appeal. In chiusura, la Banditaliana di Riccardo Tesi e Claudio Carboni, che ha presentato brani da “Tuscan Landscapes”, prossimo album in via di pubblicazione. Allargato l’organico a un sestetto (con violino e contrabbasso), l’ensemble mette a frutto l’incontro fertile, raffinato e spavaldo al contempo, tra moduli di tradizione popolare e aperture verso world e rock. Degli altri, si dirà che scorre leggero e accattivante il suono del quintetto salentino Crifiu; occhio di riguardo (seppure non al meglio nella serata barese) per il livornese Bobo Rondelli & l’Orchestrino: piglio scanzonato e graffiante che fa saltare i paletti della canzone d’autore, attingendo con leggiadria a molte latitudini sonore. Degno di nota anche Ogre, progetto spurio della vocalist portoghese Maria João, coadiuvata dal João Farinha (Fender Rodhes, synth) e André Nascimento (computer, tastiere). Palesa tratti björkiani (anche per la sua mise) la lusitana, che gioca con effetti fonici, esibisce notevoli virtuosismi vocali e mistilingui, in una fusione estetica, per fortuna indefinibile. L’alt-rock a tinte arabe dei maghrebini Hoba Hob Spirit e dei marsigliesi Temenik Elektric corrobora, mentre annaspa la figurazione sonica dell’oudista elettronico Smadj in combutta con MC, sax e percussioni: è elettronica un po’ sorpassata, con cliché hip hop che fanno nettamente rimpiangere quanto il franco-tunisino ha fatto in passato con i DuOud. Non scalfisce neppure la rumba catalana miscelata con l’elettronica degli Achilfunk Sound System, mentre della new diva Imany non resta che qualche assolo rock della band, tanto per scaldare il pubblico più maturo, e una bella voce, e non di poco conto, purtroppo risucchiata nel calderone ethnic-smooth con rimandi a Tracy Chapman e cover acchiappa nostalgici. In definitiva, che Medimex sia! Sappiamo, però, che nel Mediterraneo scorrono altre note vibranti.
Ciro De Rosa
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