Devo anticiparvi che i ragazzi di una volta capitanati dal grande Eddie Vedder non sono mai stati “my cup of tea”, anzi, ho vissuto un po’ da lontano la loro esplosione come costola del grunge movement di Seattle, tra derivazioni hendrixiane e punk revival. Mi sono piaciuti dischi atipici del gruppo come “Yeld”, non li ho mai visti live e così, l’uscita di questo nuovo lavoro l’ho vissuta in una camera di albergo di Napoli, dove, grazie a un bel wi-fi, ho potuto ascoltare il lavoro rock e ispirato di questi rockers. Le canzoni sono immediate, caratterizzate da un power rock da evidenti influenze che rimandano ai The Who, e con una ricerca di riff efficacissimi, e linee vocali che sono ad appannaggio di una ugola capace come quella di Vedder. Il lavoro produttivo è nelle mani capaci di Brendan O’Brien, e il disco è cristallino e potente. Particolare cura è stata messa nella ricerca di giri di basso effettati e virali, e la batteria pompa parecchio col bravo Matt Cameron a reggere le danze, mentre le chitarre gemelle di Gossard e McCready sono decisamente misurate. C’è una maggior introspezione sonora, tra echi di Pink Floyd e qualche bella ballad alla Springsteen che si fa apprezzare per la misura. Insomma i ragazzi sono cresciuti e sono diventati decisamente più godibili, meno da stadio e da inno rock. Sapere che un disco come questo, evidente pretesto per un lungo tour, se la gioca con onore è un bel segno per tutti, sulla serietà della proposta non credo ci possano essere dubbi. Da ultimo mi piace segnalare “Sirens”, una canzone liberatoria come non se ne sentivano da anni a questa parte. Insomma, con i Pearl Jam rock is alive and well!
Antonio "Rigo" Righetti