Cantare Il Maggio

Intorno al Calendimaggio, il rito, il dramma, il canto 

Francesco di Stefano detto il Pesellino, Trionfo dell'Amore
Il “Calendimaggio”, una storia millenaria 
Il “Cantar maggio”, è un'antica festa stagionale, forse più conosciuta come "Calendimaggio", deputata a celebrare l'arrivo della primavera; di qui, appunto, il riferimento esplicito al mese di maggio. L'usanza di accogliere festosamente la stagione simbolo del ritorno alla vita e della rinascita della natura era diffusa in tutta Europa, e questo sin dai tempi più remoti. Ricordiamo, ad esempio, che tra la fine del mese di aprile e l'inizio di maggio si svolgeva anticamente a Roma una festa in onore di Flora, dea che aveva compiti di protezione delle piante e soprattutto degli alberi nel periodo della fioritura. E sì, perché protagonisti di questa festa, in quanto emblemi indiscussi del ritorno primaverile sono, ovunque, proprio gli alberi. Piantati in terra (e lì ben radicati) e proiettati verso il cielo, gli alberi mettono insieme l'alto con il basso e, in questo senso, rappresentano un po' l'immagine dell'uomo stesso. Pensiamo, ad esempio, alla pianta dell'ontano e che cresce lungo i corsi d'acqua: essa è considerata un po' il simbolo della vita ed è per questo che è spesso presente nel rituale, che viene chiamato appunto: "piantare il maggio". Paolo Toschi, nel suo prezioso testo "Le origini del teatro italiano" (edito nel 1955, Ed. scientifiche Einaudi, poi rieditato nel 1976 dalla casa editrice Bollati Boringhieri), così descrive l'atto più significativo della festa: "...la notte del 30 aprile gruppi di giovani si recavano nei boschi e ne asportavano o interi alberi, o rami verzicanti e fioriti, e attaccavano questi alle porte o alle finestre delle ragazze come dichiarazione d'amore, o piantavano quelli davanti alla casa delle maggiori autorità del paese, o anche nelle piazze o nelle aie. Con ciò esplicitamente intendevano recare il segno della rinnovata fecondità della Natura, che avrebbe a sua volta procurato ai singoli e alla comunità l'abbondanza e la fortuna. Questo rito, nelle manifestazioni più o meno varie assunte secondo i diversi ambienti e tempi, è rimasto fondamentalmente uguale nel carattere e nel significato..." (pp. 453-454). 
Tiepolo, Il Trionfo di Flora
Quantunque il Toschi ci ricordi gli elementi fondanti del rito, protrattisi con forme simili sino ad oggi, non c'è dubbio che i festeggiamenti legati a questa tradizione abbiano subito in Italia un forte declino nel corso del tempo, il quale (e tralasciamo le epoche più antiche) si registra abbastanza rapido soprattutto nel corso del 1800, e ciò da un lato perché la Chiesa, proprio per contrastare questa tradizione di origine pagana, dedicò il mese di maggio alla Madonna; dall'altro, perché più tardi il movimento socialista fece del primo maggio la festa dei lavoratori. Quest'ultimo fatto indusse, in alcune zone d'Italia, molti gruppi di "maggiaioli" a politicizzare i testi cantati, trasformandoli in canti di protesta. Per questo motivo il fascismo proibì il Calendimaggio, festa che comunque, in molti territori dell'Italia Centrale, rinacque nel dopoguerra, anche per iniziativa degli anziani che ricordavano molto bene, e a memoria, le strofe. Occorre ancora segnalare che esiste un'altra usanza tipica di questi giorni, attualmente diffusa in una trentina di località, tra le province di Modena, Reggio Emilia, Lucca, Massa e Pisa. Si tratta del cosiddetto "Maggio drammatico". Esso si ispira prevalentemente a temi epico-cavallereschi (spesso alla lotta tra due eserciti rivali, come ad esempio tra quello cristiano e quello saraceno) o mitologici, ed ha il suo centro ideale nel duello fra le forze del bene e quelle del male, che poteva nascondere anche una lotta tra Primavera ed Inverno. Il carattere molto teatrale di questo maggio, cantato in una lingua arcaica e spesso accompagnato da musiche strumentali, lo ha reso tuttavia sempre più spettacolo autonomo e staccato dalle feste di Calendimaggio; in effetti, esso viene rappresentato anche in altri mesi dell'anno, soprattutto in estate e quindi prevalentemente all'aperto, in una piazza di paese ed interpretato dagli stessi abitanti del luogo di rappresentazione. L'origine del Maggio drammatico, così come lo conosciamo oggi, non è affatto chiara. Alcuni lo accomunano a tutta quella serie di manifestazioni giocose che tradizionalmente salutavano il mese di maggio con l'aiuto di canti e balli, quindi alle Maggiolate, altri lo fanno derivare, così come la Sacra Rappresentazione, dalla Lauda medievale. 

Dentro il rito 
Prospero Piatti, Floralia
Ma torniamo alla nostra festa del "Cantar maggio". La funzione magico-propiziatoria di questo rito è spesso svolta durante un'attività di questua processionale in cui, in cambio di doni (tradizionalmente uova, vino, cibo o dolci), i "maggianti" (o "maggerini", a seconda dei luoghi) cantano strofe bene auguranti agli abitanti delle case che visitano, molto spesso sotto le case delle ragazze da marito. Come ci racconta sempre il Toschi, il majo (il maggio) in tempi passati (ed ancora sporadicamente oggi, soprattutto in Molise - nei paesi slavo-molisani - ed in Toscana) era personificato e rappresentato da un giovane uomo, "rivestito di fronde verdi o di fiori o di nastri multicolori". Ma, per la verità, almeno in area neolatina, si riscontra in letteratura un netto predominio della Maja (la Regina di maggio) sul Majo (il Re di maggio), quindi di una personificazione femminile prevalente e di dominio, che evidentemente esalta l'idea di fertilità associata alla figura della donna. "In alcune zone del Piemonte, e specialmente nel Monferrato - è sempre il Toschi a darcene conto nel suo testo degli anni Cinquanta, citando un autore monferrino degli anni Trenta -, era ancora viva, fino ad alcuni decenni or sono, la figura della sposa di maggio. 'La mattina del 1 maggio...tre giovanette, una delle quali chiamata la sposa, più adorna delle altre due compagne, vanno in giro per il paese, sostando a ogni casa. Penetrate nell'aia, poggiano in terra, fingendovelo piantato, un alberello verde e adorno di nastri dai colori vivaci, quindi levano la voce al canto svelto e gioioso...' (Paolo Toschi, Le origini...cit., pagg. 465-466). Seguono alcune strofette in cui si tessono le lodi della sposa e anche quelle di "un bel giovane tutto vestito di rosso", a riprova che anticamente esisteva nel concreto la coppia della sposa e dello sposo di maggio, quest'ultimo poi rimasto evidentemente solo nel narrato della canzone. E' importante, a questo punto, addentrarci, per ciò che ci è possibile, all'interno del canto lirico collegato al rito, confermando che i concetti a cui si ispira sono di carattere propiziatorio e bene augurante. I canti di maggio tradizionali, si distinguono, secondo il Toschi (che nel suo testo ne cita e confronta un certo numero) per il loro assoluto valore, tanto che "talvolta il canto di maggio popolare tradizionale ha raggiunto, in linea estetica, cime non meno alte di quelle toccate dalla lirica d'arte..." (Toschi, Le origini...cit. p. 504). Vediamone un esempio concreto, offerto dalla canzone calabrese "Lu bellu maju", una canzone a ballo mimata: "Vi figurano: il capocoro che rappresenta, con appropriato costume, il maggio, un coro, e un semicoro. Il dialogo si alterna tra il corifeo e i cori, e si anima con alcune molto semplici ma significative azioni mimiche eseguite dal maggio... 

'U bellu maju 
Corifeo        Ed adò lu bellu maju 
Coro            E tràsicci maju 
                    E tràsicci cuntentu 
                    E 'no llu viditi a maju 
                    E ca è tuttu hiurutu (fiorito) 
                   E prigàti (pregate) aprili e maju 
                   E chi ficia lu lavuru 
1 semicoro Ed adduvi è jutu maje? (Dove è andato maggio?) 
2 semicoro Ed è 'utu 'mparavisu 
1 semicoro E cchi cc'è jutu a fari?
2 semicoro E' cc'è iutu a cogli hiuri (fiori) 
                  E cc'una cannistra 'manu 
Corifeo      Ed avanti ssi donni (fa cenno con le mani)
                  Ed a' llu pajis 'ntornu (il coro si muove qua e là guardando) 
Coro         E incrinaticci (inginocchiati), Maju (maggio si inginocchia) 
                 E sumatinni (alzati), Maju (maggio si alza) Tutti (al padrone di casa) E va' supra lu 'ntampatu (soffitta) 
                E va taglia lu salatu No' llu taglià né largu né strittu, Ca li tagli 'u jiditu piticchju (piccolo)" (citazione dal testo di Vincenzo Spinelli, Poesia popolare e costumi calabresi, 1923, pp. 20-24)

Il Calendimaggio al tempo del terzo millennio 
I Maggiaioli
Comunque, nonostante un obiettivo ridimensionamento della festa dal punto di vista della sua diffusione, il Calendimaggio rimane ancor oggi una tradizione praticata e vissuta (seppure in forme attenuate) in alcune regioni d'Italia: fra queste il Piemonte, la Liguria, la Lombardia, l'Emilia-Romagna, la Toscana, l'Umbria e la cosiddetta zona delle Quattro Province, un'area geografica che comprende le città di Piacenza, Pavia, Alessandria e Genova. I "canti del maggio" sono appunto le canzoni, poste in rima e musicate durante il Calendimaggio dai maggerini, sotto le case e per le vie di alcuni paesi italiani dell'alta Toscana, Liguria, Piemonte, Emilia, Umbria e della zona delle Quattro province, nella notte tra il 30 aprile ed il primo Maggio. Sono canti in lingua italiana, con più o meno leggere inflessioni dialettali e sono caratterizzate da un incedere allegro e gioioso, per dare il giusto benvenuto alla bella stagione, dopo il lungo inverno. I canti sono generalmente accompagnati dalla musica: stornelli, sonetti e tresche suonati con chitarre, violini, strumenti ad ancia, piccole percussioni e strumenti ritmici, i quali, comunque, non oscurano mai la voce, ora in coro, ora in solo, che “canta il maggio”. I temi dei canti sono svariati: la natura, la primavera e le stagioni, l'allegria in sé e anche un eros velato in serenate dolci e anche maliziose. Esse sono un diretto richiamo alla vita, alla rinascita e all'allegria, ad imitazione dell'arrivo della bella stagione. Per chi voglia vestire gli abiti del turista appassionato di cultura popolare offriamo, per concludere, tre ritratti dell'odierno Calendimaggio, trasformabili in possibili futuri itinerari di visita. 
Calendimaggio a Marsaglia
La prima incursione è in provincia di Piacenza, a Marsaglia, villaggio della media val Trebbia, divenuta nel corso del tempo il centro di affluenza di cantori e valligiani provenienti da varie frazioni, che in passato celebravano autonomamente la festa. Grazie ad un tessuto sociale che si è conservato compatto nonostante la crisi dell'economia contadina tradizionale, qui non sono venute meno quelle occasioni di aggregazione che sono fondamentali per la conservazione della cultura di tradizione, e in particolar modo del canto polivocale (con una blanda contaminazione con lo stile vocale del trallalero ligure, vista la vicinanza con la provincia di Genova) che a Marsaglia è oggi diffusamente praticato da persone di ogni età in modalità molto simili a quelle riscontrabili nelle altre valli del territorio delle Quattro Province, con le quali la val Trebbia condivide anche il repertorio musicale e coreutico dell'antico oboe popolare denominato piffero. Sullo sfondo della sostanziale integrità di un repertorio che ancora privilegia i motivi tradizionali, come "Moretto" o "Le carrozze" (canto nuziale de-funzionalizzato), nel corso della festa, nella lunga notte tra il 30 aprile e il 1 maggio, può accadere di sentire esecuzioni di canzoni moderne, tipo "Fin che la barca va” rieseguite in versione polivocale. Questa ricettività nei confronti di motivi provenienti da radio e televisione è per altro assai limitata e appunto recuperata e rivalutata nelle forme esecutive tradizionali. Anche il trallalero ligure, che pure rientra nel repertorio dei cantori locali, sembra aver perso oggi decisamente terreno a favore dello stile peculiare della val Trebbia, dove prevale l'impostazione con linee melodiche a intervalli di terza, rispetto all'impostazione contrappuntistica del canto genovese. Non è rara tuttavia, e questo vale per ogni versante delle Quattro Province, la commistione tra queste due linee fondamentali della polifonia popolare (sulla tradizione del Calendimaggio a Marsaglia, si veda: Paolo Ferrari, Il Carlin di maggio, in «World music magazine», 27 luglio 1997, p 18, da cui questo scritto ha attinto) Il secondo viaggio che sponsorizziamo è in Umbria, nella magnifica Assisi. 
Calendimaggio ad Assisi
Il Calendimaggio di Assisi, che fa rivivere feste e riti in uso presso l'antico popolo degli Umbri, è una festa per così dire di nuovo conio, essendo stata attivata ufficialmente nel 1954, anche se sotto altre forme aveva avuto una qualche risonanza negli anni '30 del secolo scorso. Secondo alcuni critici questo Calendimaggio è una festa senza radici. Eppure essa è molto sentita dagli assisani. Un tema questo molto importante, che evidentemente riprenderemo, che ci porta a riflettere di tradizioni radicate, di tradizioni tradite e di nuove tradizioni nascenti. In ogni caso, il Calendimaggio di Assisi si tiene ogni primo giovedì, venerdì e sabato dopo il 1º maggio di ogni anno, ed è una gara, un Palio in cui si sfidano due parti del centro storico della cittadina umbra, ovvero le due Parti nelle quali è divisa la città, la Parte de Sopra (denominata Nobilissima) e la Magnifica Parte de Sotto, attraverso lo svolgimento di cortei in costumi medievali (tra il XIII secolo e la metà del XV), scene recitate ed esibizioni musicali. La terza proposta riguarda infine una piccola località piemontese, Bajo Dora, una frazione del comune di Borgofranco d'Ivrea. Ebbene gli abitanti di questo delizioso borgo, quando si accorsero, nei primi anni Ottanta (siamo sempre nel '900), che la manifestazione stava dando segni di cedimento, principalmente per la mancanza di ricambio generazionale, per ridare vita alla tradizione e continuare a far una festa secondo lo spirito bajolese, cioè dalla sera dei 30 aprile a tutto il primo maggio, senza sosta, invitò cantori, suonatori e ballerini dal circondario. Attori principali della riattivazione di questa festa di comunità furono i coristi del Coro Bajolese (diretto da Amerigo Vigliermo), le stesse persone che, alcuni anni prima, diedero vita ad un vero e proprio centro di ricerca della gente canavesana, il "Centro Etnologico Canavesano", tutt'ora attivo. Ma, tornando alle manifestazioni che riguardano il Calendimaggio, visto che l'idea a Bajo Dora ebbe una così entusiastica accoglienza, da allora non ci fu più bisogno di ulteriori inviti, perché, come recita il volantino che promuove questa giornata: “Ormai tutti sanno che la FESTA SI FA e sempre con lo stesso spirito”.

Michele Santoro
Nuova Vecchia