Il Griot nella tradizione musicale africana è un poeta e cantore che ha l'importante compito di conservare e preservare la tradizione orale degli africani, ancor prima in epoca svolgeva anche le funzioni di ambasciatore e in alcuni casi di interprete. Il termine trae origine della prarola francesce Guiriot la cui radice deriva dal portoghese Criado, ovvero servitore, e le prime tracce di questo termine risalgono alle primissime esplorazioni in Africa da parte dei regni occidentali. Al Griot era demandato il djeli ovvero la trasmissione attraverso il sangue, ad indicare come di padre in figlio vengano trasmessi saperi, conoscenze e misteri legati alla loro funzione, che viene ad essere indentificata quasi come una casta, cosìcchè ogni giovane Djéli riceve una partcolare istruzione costituita da nove o dieci gradi di conoscenze composti da sette anni ognuno. Un percorso di conoscenza continua durante il quale apprendono le storie, le tecniche narrative e mnemoniche, per ricoprire poi all'interno della loro comunità un ruolo determinante in cui la figura del cantastorie diventa anche punto di riferimento morale e memoria storica. Una sorte di missione, insomma, che svolgono interpretando canti commoventi e toccanti, ballando accompagnati da strumenti tradizionali a percussione, a corde e a fiato. A seguito dell'esodo dalle campagne, dell'emigrazione e della globalizzazione questa particolare figura è andata via via scomparendo, ma molti artisti africani legati a questa tradizione per casta, ne hanno mantenuto vivo il ricordo, riproponendo questi particolari canti narrativi. Maestri della parola ed esaltatori del ritmo, Yacouba Dembelé e dei suoi fratelli, sono una famiglia di griot Djeli-Kan che arriva direttamente Burkina Faso del capitano Sankarà, che dopo una intensa attività dal vivo maturata nel corso degli anni, arrivano al loro disco di debutto, Sabary, registrato ad Abidjan e mixato in Italia presso la casa madre Materiali Sonori. Prodotto da Mino Cavallo e Arlo Bigazzi, il disco mette in fila undici brani che insieme vanno a comporre una sorta di diario di viaggio del gruppo nel quale sono raccolte tutte le collaborazioni che nel corso degli anni hanno stretto con molti musicisti dell'Africa Occidentale. La famiglia di Djeli-Kan è composta da Yacouba Dembelè (voce, flauto, goni, toma, kanian), Founè Dembelè (voce, shaker), Sekou Dembelè (voce, djembé), Souleymane Dembelè (voce, kora, goni, djembé) e Miriam Traorè (voce e cori), ai quali per l'occasione si sono aggiunti Souleymane Diabatè (djeli-goni), Ali Traorè (tastiere), Salif Dembelè (basso e cori), Prince Edouarde Ouedraogo (basso), Seydou Keita (Ballafon, bara), Harouna Dembelè (djembé, doun doun), Adama Diarra (doun doun, djembé) e Stanislas Ouedraogo (midi programming), nonchè il nuovo talento della musica africana Harouna Dembelé. Fondamentale a livello sonoro è anche l'apporto del progetto Canti Erranti, l'orchestra che coinvolge molti protagonisti della ricerca multietnica di Materiali Sonori composta da Mino Cavallo (chitarre), Arlo Bigazzi (basso), Vittorio Catalano (sax, flauto e ocarina), Marzio Del Testa (batteria) e Azzurra Fragale (collaborazione alle registrazioni). L'ascolto è entusiasmante e coinvolgente grazie alla carica evocativa delle voci che ricreano la misteriosa carica di energia che pervadeva le esibizioni dei Djeli-Kan tribali. Sono canti che nascono dal cuore, che parlano dell'Africa e dei suoi drammi, del razzismo, dell'immigrazione, della mancanza di cibo, dell'indifferenza, ma allo stesso tempo rivelano una speranza di fondo per un futuro migliore. Sabary è così un disco che ci apre ad una tradizione musicale antichissima, ma allo stesso tempo apre uno spaccato sulle tante problematiche che caratterizzano il Continente Africano.
Salvatore Esposito
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